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Michele La Ginestra: La risurrezione? Un mistero che ci interroga tutti

MICHELE LA GINESTRA

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Credere - pubblicato il 01/04/18

«Spesso si pensa che essere credente voglia dire astrarsi dalla realtà. Per me la fede va applicata alla vita quotidiana. Facendosi domande e anche qualche risata!»

di Francesca D’Angelo

Lo sguardo vispo, la parlantina veloce e quella zazzera che gli scompiglia la testa. Se non avesse quasi 54 anni, Michele La Ginestra potrebbe essere tranquillamente scambiato per il discolo della classe: il ragazzino intelligente ma irrequieto, quello dalla battuta irresistibile, la cui attenzione riesce a essere catturata soltanto da ciò che è veramente importante. Insomma, quanto di più lontano possa esistere dal clichédel bravo cattolico, compassato e contrito.

Ed è proprio questa, in fondo, la forza di La Ginestra: la sua vivacità intellettuale, assieme a un’innata passione per la vita, l’hanno portato ad andare a fondo della propria fede, arrivando persino a diventare catechista dopo cinque anni di formazione. Al contempo la sua aria malandrina e scanzonata gli permette di avere un’immediata presa sul pubblico.

Così, tra una battuta e l’altra, negli anni l’attore si è fatto portavoce di valori dimenticati e domande sopite. Il suo ultimo spettacolo teatrale, che ha girato i teatri italiani per tutto marzo, s’intitola Come Cristo comanda e racconta la crocifissione di Gesù dal punto di vista di due centurioni. La storia altro non è che una mitragliata di genuine domande sul mistero della risurrezione. Domande che tutti, prima o poi, ci poniamo ma alle quali in pochi hanno avuto il coraggio di dare voce e, soprattutto, di rispondere.

Ci vuole un bel coraggio a sollevare tali interrogativi…

«A volte penso che, se il mio cammino di fede non è stato tortuoso, è perché non mi sono mai accontentato: fin da ragazzo, se non capivo qualcosa, chiedevo, approfondivo, cercavo le risposte. Non ho mai accettato supinamente un’idea solo in quanto proferita da un’istituzione o da qualcuno che indossava una tonaca. Sono sempre andato alla ricerca di qualcosa che mi stimolasse: per esempio se il prete della mia parrocchia non mi piaceva, andavo in un’altra chiesa. Ed è un approccio che tuttora consiglio ai miei amici: spesso ci lamentiamo dei preti o dell’assenza di modelli di vita, ma, se questo accade, è anche perché ci accontentiamo di quello che abbiamo a tiro o che risulta più comodo».

Lei sembra nutrire una passione viscerale per la realtà. Da dove nasce?

«Spesso si pensa che essere credente voglia dire astrarsi in qualche modo dalla realtà che ti circonda. Nulla di più sbagliato: la nostra fede va applicata al quotidiano e a tutte le sue facezie. Tra l’altro noi siamo chiamati a essere esempio per gli altri: a far capire che, oltre al vivere civilmente, c’è anche quel quidin più che ti spinge ad amare chi ti fa del male. Solo così potremo essere catechisti, ossia portatori di una sana parola attraverso le nostre azioni: la Parola va tradotta nella quotidianità».

In questo suo rapporto così dialettico e vivace con Dio si avvale anche dell’aiuto di un padre spirituale?

«Sì. Conosco molti preti, ma il primo, decisivo, è stato padre Giuliano. È stato un sacerdote illuminato perché, quando io ero ancora adolescente, ha sostenuto la nostra idea di dare vita a un teatro all’interno della parrocchia. Intuiva l’importanza di coinvolgere i giovani con un mezzo che potesse essere alternativo alla catechesi classica. Oggi quel piccolo teatro è diventato il Teatro 7 di Roma. Tra l’altro, invecchiando, padre Giuliano è stato colpito dall’Alzheimer: è stata dura perché il mio faro di gioventù, colto e illuminato, era diventato un’altra persona, che sragionava. Tuttavia è stato bello vedere come, quando sei stato padre, poi in vecchiaia avrai qualcuno che sarà, a tua volta, padre nei tuoi confronti: fino alla fine il Teatro 7 è stata la sua casa. Ogni giorno usciva dal convento dove dimorava e andava lì per trovare conforto».

A proposito di giovani, lei è padre di due figli di 16 e 19 anni. Se una volta bastava il teatro, come ci si deve porre oggi per dialogare con le nuove generazioni?

«La difficoltà maggiore è conquistare la loro attenzione: sono costantemente distratti da altro. Molti, inoltre, non desiderano nemmeno cercare dei punti di riferimento. Il nostro compito è stimolarli a cercare qualcuno con cui confrontarsi. Inoltre dovremmo trovare un linguaggio che sia il meno bigotto possibile. Purtroppo tanti addetti ai lavori parlano in un modo ormai fuori dal tempo: per esempio, non è più possibile ascoltare le prediche lette o una Messa fatta con i tempi di trent’anni fa. Sarebbero più efficaci pochi concetti, ben espressi, e lo dico da addetto ai lavori: quando recito a teatro, devo continuamente rilanciare, scartare a destra a sinistra, per mantenere viva l’attenzione del pubblico».

Lei si cala spesso nel ruolo del prete, sia al cinema che a teatro. È una scelta voluta?

«Il personaggio del prete è diventato un mio cult: l’ho portato a Colorado, nel film e nella serie tv Immaturie, prossimamente, al teatro Sistina con lo spettacolo È cosa buona e giusta. Mi piace l’idea di interpretare un personaggio che sia coerente con il mio credo, ma che possa al contempo usare dei toni che dal pulpito non si potrebbero utilizzare. Al Sistina, per esempio, parlerò in modo scanzonato di matrimonio e confessione».

Qual è il valore aggiunto dato dalla risata?

«Permette di conquistare la fiducia del pubblico rompendo le barriere che di solito si innalzano quando ci si mette in ascolto. A quel punto, si può affrontare un discorso serio, attualizzandolo. Nei miei lavori mi piace inoltre sollevare le domande che tutti noi ci porremmo».

LA VITA DALL’ORATORIO AL PALCO
Classe 1964, Michele La Ginestra nasce a Roma. Attore di cinema, tv e teatro, ha fondato il Teatro 7 di Roma. Tra i suoi lavori più famosi spiccano il film e la serie tv Immaturi, il programma Solleticodi Rai Due, il talent Cuochi e fiamme di La7d e il film Questa notte è ancora nostra. è stato anche testimonial della De Cecco. A maggio sarà al teatro Sistina con lo spettacolo È cosa buona e giusta, mentre lo rivedremo prossimamente in tv con Il programma del secolo su Tv2000.

Qui l’articolo originale apparso su Credere

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