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Lele Joker è morto: era felice di vivere e ha affrontato con coraggio una dura malattia

LELE JOKER
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Paola Belletti - Aleteia - pubblicato il 26/03/18
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Non sottraiamoci al grande compito che come cristiani abbiamo: mendicare e portare Cristo in ogni circostanza, in ogni vita. Ora Gabriele Lo conoscerà, oltre il mistero della morte. Ma sosteniamo i suoi genitori, i fratelli e tutti quelli che amavaLo avevamo appena conosciuto, solo via web o in tv. Si chiamava Gabriele ma nel giro dei YouTuber era Lele Joker. Un bambino milanese di nove anni. E’ morto il 28 marzo 2018. Soffriva di un neuroblastoma metastatico, tumoraccio tipico dell’infanzia  Con prognosi favorevole per i molto piccoli, spesso infauste invece per chi non è più neonato.

Il nostro Gabriele è volato in cielo…” lo ha annunciato la famiglia (che famiglia, signori…!) in un video, brevissimo, silenzioso.

Voleva tanti followers e puntava all’obiettivo con la serietà tipica dei bambini che giocano, ma sapeva che rischiava di non diventare adulto. Allora è diventato grande: nell’amore, nella gratitudine, nella passione per la vita.

Se anche voi siete tra i fan sul canale YouTube avrete già potuto familiarizzare col suo faccino tondo, gli occhi grandi, belli, espressivi. E anche con i segni della malattia e delle cure alle quali si è lasciato sottoporre con coraggio e tenacia. “E’ un guerriero”, disse di lui il papà che lo ha accompagnato sempre e in tutti i sensi.

Guardando le ultime clip caricate avrete percorso con lui i corridoi dell’ospedale americano del quale si improvvisava entusiasta guida turistica (Grand Rapids, Michigan, USA). Avrete forse apprezzato la sua tenera audacia – esercitata a distanza di sicurezza, e guai se il papà accenna ad avvicinarsi troppo! –  nel proporsi come fidanzato di una bimba sconosciuta che stava saltellando in una zona gioco della grande clinica. Ci saremo commossi in tanti, contemporaneamente, guardando il servizio su di lui e la sua famiglia andato in onda su Rai1 a La Vita in diretta il 19 marzo; oppure in differita, andando a rivedere i primi video da baby YouTuber.


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In uno di questi si dice felice e per contro stupito di chi invece è così spesso tanto triste. E ancora invita ad inseguire i propri sogni, come fa lui, che di sogni ne ha due e tra quelli, nel racconto e nello slancio, forse oscilla a seconda della speranza che riesce a sostenere. Primo sogno: diventare un dottore e aiutare gli altri a stare bene, a guarire, come ora lui vuole guarire. Secondo sogno, che in tantissimi ci siamo affrettati a favorire e a rendere possibile, è “solo” quello di diventare un vero YouTuber, con almeno diecimila followers. La soglia dei diecimila l’ha oltrepassata durante la trasmissione di Rai1. Attualmente il suo canale ne conta 116.586. 

Durante una delle puntate più commoventi del rotocalco pomeridiano della rete ammiraglia Lele si mostrava come era e si sforzava di essere: sereno, combattivo, ingenuo e furbetto. Ma soprattutto tanto grato ai suoi genitori. Il papà in studio si commuove e si dice fortunato. Sì, lo dice! Ed è vero: in questa prova terribile, perché è terribile vedere una malattia così severa incrudelirsi sul proprio bellissimo bambino, dentro questa lotta nella quale lui da uomo mantiene salda la mano al suo piccolo, lo rassicura, lo asseconda, gioca con lui, lo aiuta, è costretto a guardare alla bellezza selvaggia della vita: “questo figlio che noi amiamo c’è e ci ama. Ci ringrazia del bene che gli vogliamo”, pensava. Lo si capisce da come cercava di non piangere.

Intorno ad ogni esca gettata alla speranza di farcela si raccoglievano insulsi piccoli pesci e insetti pronti a mordicchiarla, assottigliarla e renderla vana. Invece questi genitori sono rimasti saldi e dolenti, in bilico sulla rupe del presente, costretti alla gioia. A fare festa a questo figlio perché c’era. Il loro sì che era vero tifo. Coraggioso, onesto, virile, anche quello di mamma Marianna.

“ma chi è quella la mia mamma o la mia fidanzata?” chiede Lele in una clip. E lei dice che è la sua mamma, felice di esserlo, felice che ci sia. Intanto la sorellina parlotta e sgambetta dattorno, gli salta in braccio. Racconta di quando si è dimenticato come si camminava. E a seguire ci spiega cos’è l’amore per i piccoli. Aggiunge e conclude che lui ama tanto i suoi genitori.

Uno squarcio di quotidiano nel quale Gabriele ha voluto proprio farci entrare quasi per appendersi agli occhi di tutti, perché lo tenessimo nell’esistenza. Uno spettacolo involontario di acrobati e funamboli che si mostrano al mondo: senza rete sotto, camminano sul filo stretto e teso del vivere mortale, con la paura vera del pericolo che minaccia loro, noi, ma che ora ha schiacciato proprio lui, uno dei piccoli, dei “nati-da-poco”(come dice la scrittrice Silvana De Mari ne L’ultimo elfo).

E’ stato forte il piccolo Lele, forte il suo papà, forte la sua mamma; adorabile il fratello, gli amici, la graziosa sorellina. Ma non gli serviva il nostro tifo, se non come pretesto per stargli vicino; certo ci ha messi lui dalla parte degli spettatori ma siamo suoi commilitoni e come lui abbiamo la stessa battaglia da affrontare e vincere. Non gli servono (solo) followers rumorosi ed entusiasti ma intercessori. A Lele e alla sua famiglia sono serviti ottimi medici, resistenza fisica e psicologica; sostegno e amore. Ma non sono bastati. O forse sì; perché la sconfitta vera non è la morte.


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A Gabriele serve Cristo. Anche i bambini sanno che si muore, anche i fanciulli sanno che siamo fragili, che il male incombe, che la vita, di suo, prosegue nel suo incedere spesso ingiusto. Anche i figli sanno che si può arrivare al traguardo finale prima dei genitori. Penso che in questo bimbo così intelligente e sensibile, così buono e docile, sebbene combattivo, si annidasse anche uno specifico struggimento tipico dei figli: il timore di fare soffrire la mamma e il papà. Aveva bisogno, Lele, di sapere che Cristo, proprio Gesù di Nazaret era con lui e con i suoi. Ma ora lo sa. Questo avrebbe saziato la sua fame più di milioni di iscritti al canale. Avrebbe dovuto venire a sapere che lo amava; che il bene che passava dalle cure mediche veniva da Lui. Che la forza di sopportare iniezioni, radiazioni o altro l’ha presa da Lui. Che la sua piccola vita è preziosissima per Lui, fosse anche il solo che lo guarda e lo segue. E che non vuole che soffra e muoia. Non invano, non per sempre.

A questo adorabile bambino, reso più puro ancora dalla sofferenza, è toccata in sorte la partecipazione alla sofferenza di Cristo. Siamo nel pieno della Settimana Santa e Gabriele si è trovato innestato direttamente nell’architrave che sostiene tutta la storia: la passione e morte di Cristo.

A Lele, noi cristiani, non avevamo da offrire il tifo per i suoi teneri sogni e pollici in su per tutti i suoi video, ma preghiere. Ora soprattutto per la consolazione dei suoi cari. Perché, lo dice un Dottore della Chiesa, “I fanciulli non si dannano”

 

Perciò i fanciulli non si dannano.
Non si dannano perché l’unica loro caratteristica è quell’apertura di cuore che impedisce l’indurimento e il rifiuto.
Non si dannano perché la loro fiducia è tale da superare qualsiasi abisso.
Non si dannano perché portano nelle loro mani innocenti tutto il sangue di Cristo innocente.
Non si dannano perché invocano con la loro stessa esistenza la maternità di Maria.
Non si dannano perché a un bambino Dio può aprire sempre le braccia. (da Consigli e ricordi, S. Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo)