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Perché i cristiani orientali usano pane lievitato per l’Eucaristia?

LEAVAN BREAD

АннаМариа | CC BY SA 4.0

Philip Kosloski - pubblicato il 23/03/18

La risposta è radicata nel passato e nel ricco simbolismo che offre

Rispondendo al comandamento di Gesù “Fate questo in memoria di me”, la Chiesa cattolica celebra il banchetto eucaristico del pane e del vino da due millenni.

Fin dall’inizio, ad ogni modo, la Chiesa ha insegnato che il pane e il vino usati nella celebrazione devono seguire certe linee guida perché abbia luogo il miracolo della transustanziazione, trasformando realmente (attraverso il potere di Dio) la materia del sacramento nel corpo, sangue, anima e divinità di Gesù Cristo.

Se il rito latino ha usato per molti secoli pane non lievitato, in quello orientale si può usare pane lievitato. Questo fatto risale ai primi secoli della Chiesa, in cui il pane lievitato era usato comunemente per l’Eucaristia sia in Oriente che in Occidente.

Nella tradizione orientale, il pane lievitato rappresenta la resurrezione di Gesù, e presto si è sentito che non era necessario imitare direttamente l’Ultima Cena (alcuni studiosi dibattono ancora su quale tipo di pane abbia usato Gesù quando ha istituito l’Eucaristia). Si crede che l’Eucaristia sia molto più di una rappresentazione dell’Ultima Cena e che si concentri sul legame con il banchetto celeste.

In origine il pane e il vino offerti a Messa erano fabbricati dai parrocchiani e presentati durante l’Offertorio (il rito romano mantiene tracce di questa tradizione). Molti riti orientali portano avanti la tradizione avendo un membro della parrocchia che prepara il pane eucaristico, chiamato prosphoron.

Il tipo di pane lievitato usato è estremamente semplice ed è fatto di farina bianca, lievito, sale e acqua. Ciò corrisponde al Codice di Diritto Canonico per le Chiese Orientali, che stabilisce che “i sacri doni che vengono offerti nella Divina Liturgia sono il pane di solo frumento e fatto di recente in modo che non ci sia alcun pericolo di alterazione, e il vino naturale prodotto dalla vite non alterato” (n. 706).

Molte persone che preparano questo tipo di pane lo fanno solo dopo essersi confessate e aver digiunato al mattino. Non ci sono preghiere specifiche da recitare mentre si cuoce questo pane, ma alcuni recitano i Salmi o la Preghiera di Gesù prima e durante il processo.

Un altro aspetto comune di questo pane è un sigillo religioso che viene posto prima della cottura. Secondo il monastero del Monte Athos, in Grecia, questo processo implica un ricco simbolismo:

Un prosphoron è costituito da due parti separate rotonde di impasto lievitato che vengono messe l’una sull’altra e cotte insieme a formare un unico pane. Le due parti rappresentano le due nature di Cristo, quella umana e quella divina. Prima della cottura, su ogni prosphoron viene impresso un sigillo che in genere riporta l’immagine di una croce con le lettere greche IC XC NIKA (“Gesù Cristo conquista”) intorno alle braccia della croce. Questo sigillo serve come guida per il sacerdote che taglierà il pane.

Durante la liturgia divina il pane viene poi cotto in modo molto specifico:

Un sigillo religioso per il pane santo (sfragida) imprime un simbolo particolare sul prosphoro prima della cottura. Durante la preparazione dell’Eucaristia, il sacerdote guida il proskomithi, in cui prima taglia il centro del simbolo che recita “IC XC NIKA (Gesù Cristo conquista). Esso diventa il Corpo di Cristo (l’Agnello). Poi viene tagliato l’ampio triangolo sulla sinistra in onore della Vergine Maria. I nove piccoli triangoli a destra vengono tagliati per commemorare gli angeli, i profeti, gli apostoli, i santi padri e prelati, i martiri, gli asceti, i santi generosi, Gioacchino e Anna e tutti i santi, incluso quello della liturgia del giorno. Gli ultimi tagli sono piccoli quadrati per ricordare nomi specifici di persone viventi e defunte.

Le tradizioni dei cristiani orientali sono molto antiche, e forniscono un ricco simbolismo alla trasformazione miracolosa che si verifica in ogni Liturgia divina.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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