Chi tra le mamme di figli in età scolare non ha patito la loro presenza almeno una volta sulla propria testa? O tra le insegnanti di scuola primaria (fino al secondo grado) non li ha presi dai propri alunni? Ma forse anche loro hanno qualcosa da dirci
di Anna Mazzitelli
Sicuramente San Francesco li avrebbe chiamati fratelli, e visto che la distanza tra lui e me è abissale, non devo sentirmi troppo in colpa se provo una rabbia incontenibile ogni volta che succede. Il fatto è che i miei capelli, numerosissimi, crespi e grossi, devono essere veramente accoglienti per queste bestiacce, e non passa anno che il Signore manda che io non diventi almeno una volta condominio per la loro gioia.
Oggi parlo così, serenamente e in maniera leggera, perché li ho appena estirpati, ma ogni volta che mi è capitato, in età adulta, di sentire la testa che prude in maniera esagerata, ho provato i peggiori sentimenti nei confronti degli altri esseri umani, dei viventi in genere, di tutto il creato.
Ma oggi, dicevo, sono in buona, e siccome sto cercando, da qualche giorno, di fare l’esercizio di ripetermi, prima di parlare/agire/strillare, la frase: “Gesù è risorto” e quindi parlare/agire/strillare di conseguenza, voglio cercare di trovare la “buona notizia” nelle cose che succedono nella mia vita, in tutte, non solo in quelle esaltanti. E quindi anche nei pidocchi.
Prima di tutto voglio dire che il mio animo di biologa ogni tanto si risveglia, e l’altro giorno, dopo aver fatto lo shampoo antiparassitario, ho messo da parte le bestiole che ormai morte tiravo via dalla mia testa, e le ho guardate con uno strumento che mi regalò anni fa il mio papà. E’ un piccolo microscopio a forma di penna, che ingrandisce di 25 volte, una vera figata.
Dopo il primo moto di ribrezzo nel trovarsi davanti agli occhi un essere tanto detestato, l’ho guardato con attenzione, e ho ammirato la sua perfezione, il suo addome largo (probabilmente il disgraziato stava per deporre le uova nei miei capelli), le sue zampe curve, corte ed eccellenti per l’ambiente in cui vive, il suo colore ideale per mimetizzarsi tra capelli di qualsiasi tinta, la sua testa… ecco, devo dire che quando mi sono soffermata sulla testa, la biologa si è andata a far benedire e il ribrezzo è tornato e non so descriverla perché ho concluso lo studio scientifico e ho buttato il campione nel secchio.
Non prima, però, di aver chiamato i bambini e averlo mostrato loro. Sono rimasti più affascinati dalla penna-microscopio che dal pidocchio, tanto che l’ho dovuta nascondere per evitare che se ne appropriassero e adesso chissà quando la troverò di nuovo.
Ma ho pensato che la “buona notizia” dei pidocchi non può esaurirsi in un’osservazione morfologica, deve andare un po’ oltre.
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Allora ho pensato a quando li ho presi la prima volta da grande: è stato il primo anno in cui ho insegnato. Era una terza elementare, e me li ha attaccati l’ultimo giorno di scuola (tanto che ci ho combattuto per tutta l’estate) una bambina che amavo in modo particolare, Costanza. Era venuta con i genitori a prendere la scheda, e mi ha abbracciato per salutarmi, anche perché non ci saremmo viste l’anno successivo, dato che avevo dovuto chiedere il trasferimento. Mentre mi si gettava tra le braccia mi diceva: “Maestra, io ho i pidocchi, ma posso abbracciarti lo stesso?”. Ricordo benissimo che dissi tra me e me: “ma certo che puoi abbracciarmi, figurati se mi preoccupano i pidocchi”…
In realtà ero certa che non me li sarei mai presi.