L’arcipelago Tristan Da Cunha, sperduto in mezzo all’Atlantico, ospita una comunità di 263 abitanti, dei quali un terzo sono cattolici.
Fino a quando non ci si deciderà a colonizzare la Luna, gli isolani di Tristan Da Cunha resteranno probabilmente la comunità umana più isolata al mondo. La terra abitata più vicina è l’isola di Sant’Elena, a 2.420 km a Nordest. Per arrivarci, bisogna prendere una delle barche da pesche che fanno la spola verso Città del Capo, in Sudafrica, e che accettano di dare passaggi. È un viaggio di 3.222 chilometri: due settimane di una rotta marittima che amoreggia con i temibili “quaranta ruggenti”. A queste latitudini, tra il 40esimo e il 50esimo parallelo, i venti sono noti per essere particolarmente violenti e il mare tumultuoso, in ragione della quasi totale assenza di terre emerse che possano frenare gli elementi marini.
Il parroco ha il cuore ben saldo
«Il tragitto fu talmente spaventoso che sono persuaso che il capitano abbia seriamente soppesato l’ipotesi di buttarmi a mare, tipo Giona», racconta padre Hugh Allan O.Praem. Porta un largo cappellino: è l’amministratore cattolico delle Isole Falkland e il superiore ecclesiastico delle missioni di Sant’Elena, Tristan da Cunha e dell’Isola dell’Ascensione. Si è recato sull’isola Tristan da Cunha in un peschereccio, nel mese di gennaio 2018. Il prete assicura:
Fare un simile viaggio per 263 persone, di cui poco più di un terzo sono cattolici, può sembrare un investimento sproporzionato, ma la gentilezza e la profonda fede degli isolani lo ripagano largamente.
L’isola non è poi freddissima, avendo una temperatura media di 15°C, ma ha un clima che potrebbe scoraggiare più di un avventuriero, con 250 giorni di pioggia all’anno, un tasso di esposizione solare comparabile a quello dell’Alaska. Eppure degli uomini hanno scelto di abitarci. Dapprima dei soldati britannici, con le famiglie al seguito.
«La fede è la nostra forza»
È in questo aspro contesto che sbarcò quella che è considerata la fondatrice della comunità cattolica dell’isola, Granny Aggie, agli inizi del XX secolo. Era la domestica dell’amministratore dell’isola e inorridì a vedere che sull’isola non c’erano luoghi di culto cattolico, né prete. Malgrado una pressione costante per farle abbandonare la propria fede, a forza di determinazione ottenne il permesso di installare una cappella nella propria stanza.
Nel 1932, padre L.H. Barry fu il primo prete cattolico a visitare l’arcipelago. Scoprì in Aggie una parrocchiana fedele, la descrisse così:
Assisteva alla messa, riceveva i sacramenti, la sua gioia era toccante.
Incoraggiata da questa visita, Granny Aggie si occupò della catechesi dei bambini. E il prete constatò, nella sua visita pastorale successiva, risalente al 1955:
Ho ascoltato le prime confessioni di bambini troppo giovani per ricordarsi anche solo cosa fosse un prete. Erano parecchio meglio preparati di altri che, sul continente, vivevano in parrocchie fornite di sacerdoti.
Granny Aggie, con la propria devozione, ha solidamente radicato la comunità cattolica. Negli anni ’90 quest’ultima ha dovuto far fronte all’assenza prolungata del prete e al declino della pratica religiosa. Quelli che restarono decisero di pregare perché gli amici ricominciassero a frequentare la parrocchia. E furono esauditi: hanno costruito una chiesa più ampia, che viene riempita ogni domenica. Malgrado l’assenza del prete – a parte una visita annuale – la parrocchia continua ad avere una vita attiva, sotto l’impulso di tre catechisti – tre discendenti di Granny Aggie.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]