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La post-verità. Le emozioni al di sopra dei fatti?

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Sebastian Duda - pubblicato il 17/03/18

La fonte della verità non è l'argomentazione razionale, ma il sensazionalismo del contenuto

La definizione “post-verità” (dall’inglese post-truth) è diventata popolare negli ultimi anni per descrivere la condizione in cui si trova la civiltà occidentale. Molti ritengono questa espressione la chiave più utile per interpretare cambiamenti politici e culturali, o perfino la trasformazione della mentalità in tutto il mondo contemporaneo.

Per questo motivo, la post-verità può essere usata come un’opzione utile per spiegare (apparentemente) fenomeni distinti, come la vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali statunitensi, il collasso dei media tradizionali e il rapido sviluppo delle reti sociali, il primato del cosiddetto “consumismo sciocco” o il progresso del “culto della celebrità”.

La definizione della post-verità

Apparentemente, il concetto di post-verità è già definito nei dizionari (è stato introdotto dai linguisti anglofoni, seguiti da altri), ed è definito come le circostanze in cui i fatti oggettivi hanno meno influenza nella formazione dell’opinione pubblica rispetto all’appello alle emozioni e alle convinzioni personali.

Ci si può chiedere ragionevolmente se la definizione “post-verità” sia la più adeguata per descrivere un fenomeno di questo tipo. La logica, ad esempio, non riconosce alcuna verità posteriore. Al suo interno ci sono solo verità o non verità (ovvero falsità).

Forse allora nella post-verità si dovrebbe trovare qualche tipo particolare di verità? Come Aristotele, abbiamo detto per secoli che la verità è la conformità dei pensieri alla realtà, e quindi si potrebbe accettare, ad esempio, che la post-verità sia sostanzialmente la verità scoperta di recente.

I più cauti diranno tuttavia che il significato di questa espressione (più o meno camuffato nelle interazioni comunicative) estremamente popolare da qualche anno si riferisce piuttosto alla parola “falsità”. È un’apparenza di verità, che vari tipi di imbroglioni che vogliono raggiungere a tutti i costi i propri obiettivi politici o di marketing cercano di utilizzare nello spazio pubblico.

Vivere in un mondo della post-verità

Il problema è che l’apparenza della verità nella concezione comune (che spesso non coincide con i risultati dei dotti della logica) non è necessariamente lo stesso che una bugia.

Nel 1992 il pubblicista Steve Tesich ha dichiarato in un articolo pubblicato su The Nation che la notizia sul cosiddetto scandalo Iran-Contas (nel 1986-87 l’Amministrazione statunitense vendette illegalmente armi all’Iran per ottenere aiuto per liberare gli ostaggi catturati a Beirut dai combattenti di Hezbollah. Il denaro ottenuto da questa transazione illegale venne trasferito dal Governo degli Stati Uniti sul conto dell’opposizione dei Contras in Nicaragua) e la prima guerra nel Golfo Persico hanno infastidito meno il pubblico statunitense del famoso scandalo Watergate all’inizio degli anni Settanta.

Secondo Tesich, gli statunitensi nella maggior parte dei casi hanno accettato la strategia retorica di cui si è servita l’Amministrazione USA per spiegare gli scandali rivelati, decidendo quindi volontariamente di accettare di “vivere in un mondo della post-verità”. Non si trattava di una bugia, ma di comportamenti comuni che indebolivano l’importanza della verità – una rinuncia collettiva ad affrontare la realtà. La disponibilità sempre maggiore di Internet negli anni successivi ha intensificato rapidamente lo sviluppo e la portata di questo fenomeno allarmante.

La mia verità

Gli effetti non si sono fatti attendere, ed è risultato che per molti la verità è solo la “mia” verità o la “nostra” verità, ovvero vista dal punto di vista di un individuo o di un gruppo indipendentemente dai fatti, dalle argomentazioni, dai giudizi e dalle opinioni di altre persone. Nella “mia” o nella “nostra” verità, la cosa più importante è la forte convinzione emotiva. Non importa se spesso manca il valore dell’obiettività, tanto stimato in passato sia nel discorso pubblico che nei contatti interpersonali quotidiani.

La post-verità non è di natura assoluta o universale. Si basa su false idee, credenze e convinzioni non sostenute da fondi affidabili. In questo modo, la fonte della verità non è più l’argomentazione razionale, ma il sensazionalismo del contenuto pubblicato. Non importa che i contenuti spesso siano semplicemente ingannevoli.

Disponibilità a mentire

Già nel 2004, Ralph Keyes ha offerto un’analisi profonda di questi cambiamenti nella mentalità delle società attuali nel suo libro The Post-Truth Era: Dishonesty and Deception in Contemporary Life (L’era della post-verità: disonestà e inganno nella vita contemporanea).

L’autore ha segnalato che lo sviluppo dei mezzi di comunicazione (prima della televisione e poi di Internet) ha contributo inaspettatamente al nuovo successo spettacolare della vecchia tendenza umana a mentire. In un’occasione Keyes, intervistato da Łukasz Pawłowski della rivista settimanale online Kultura Liberalna, ha dichiarato senza giri di parole:

“Sappiamo mentire, il che ci dà un vantaggio evolutivo sugli animali o i nemici. Tuttavia, ci siamo visti limitati non solo dalla moralità, ma soprattutto dai rapporti stretti con persone che ci scoprirebbero attraverso le nostre bugie, anche se attualmente viviamo in comunità molto più ampie, in cui siamo circondati da estranei che non possono riconoscere l’inganno. Su Internet siamo così lontani che non usiamo neanche nomi reali, ma pseudonimi. Tutti questi fattori favoriscono l’inclinazione umana naturale nei confronti dell’inganno, e allo stesso tempo privano l’uomo dei freni tradizionali. […] Credo che nella vita siamo meno guidati dalla moralità e siamo più bugiardi dei nostri genitori o dei nostri nonni. L’ambiente che ci circonda non offre un contrappeso sufficiente alle tendenze fraudolente”.

Secondo Keyes, non solo mentiamo più spesso di prima, ma siamo anche più suscettibili di accettare le menzogne altrui. È una fonte di successo politico per le persone come Donald Trump. Durante la campagna elettorale dello scorso anno, l’attuale Presidente degli Stati Uniti ha dimostrato di essere un bugiardo per aver rilasciato pubblicamente dichiarazioni false in più di un’occasione. È risultato che per un gran numero di elettori queste affermazioni erano di poca importanza. Trump, a quanto pare, praticava in uno spazio più ampio e su scala maggiore quello che gli abitanti contemporanei degli USA (e probabilmente della maggior parte del mondo) conoscono perfettamente nella loro vita quotidiana.

La post-verità teologica

Ci si può proteggere contro la post-verità? Il cristianesimo può aiutare in questo?

Purtroppo si può notare che spesso è anch’esso vulnerabile di fronte alla post-verità. Secondo il sacerdote e professore Andrzej Draguła, la post-verità ha già luogo nella Chiesa cattolica, nella quale si può osservare nel fenomeno del cosiddetto “Magistero parallelo”.

Consiste nel fatto che nell’insegnamento della Chiesa (e in particolare, negli ultimi anni, nell’insegnamento di Papa Francesco) l’obbedienza è stata sostituita dall’accettazione o dalla sua mancanza per motivi emotivi. Allo stesso tempo, aumenta il rango autoritario di alcune persone alle quali per varie ragioni i fedeli sono più inclini a credere che al Papa stesso – ad esempio gli esorcisti, i giornalisti religiosi, i blogger o i predicatori di Internet o radiofonici.

Nella storia della Chiesa, le opinioni individuali sono sempre state soggette alla verifica dell’autorità. Nell’era attuale (soprattutto a causa delle capacità tecniche dei nuovi mezzi di comunicazione), la “post-verità teologica” compete con l’insegnamento della Chiesa. L’ordine oggettivo spesso differisce dalle credenze e dalle aspettative soggettive dei fedeli. È sempre più chiaro che la Chiesa, per difendere la sua integrità, deve opporsi fermamente alla post-verità, ma per il momento non sembra essere consapevole né di questo né dei mezzi con il cui aiuto potrebbe farlo efficacemente.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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