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Michele, J-Ax e Papa Francesco: da dove viene questa cattiveria?

MICHELE RUFFINO

Facebook/Michele Ruffino

Paola Belletti - Aleteia - pubblicato il 16/03/18

Un altro ragazzino si è tolto la vita. Aveva 17 anni, qualche problema motorio e un elenco di vessazioni subite dai coetanei, ma anche tanta passione per la scuola, la pasticceria, la vita
“Mi ha molto colpito la storia di Michele. Mi ha rattristato perché trovo assurdo, ancora oggi, nel 2018, morire di bullismo. Una morte che è sempre assurda, ma che a 17 anni lo è ancora di più. A quell’età la vita non è nemmeno iniziata e non potremo mai sapere cosa abbiamo tutti perso da quella che Michele avrebbe vissuto. Ma non sono solo triste, sono anche incazzato perché noi adulti dovremmo sempre ascoltare, empatizzare e aiutare i ragazzi in difficoltà. E se dei ragazzi arrivano a questo punto è il mondo degli adulti ad aver fallito”. [protected-iframe id=”d014cd66fdd21f2713c587c90af1ca47-95521288-119775105″ info=”https://www.facebook.com/plugins/post.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fjaxofficial%2Fposts%2F10155658908927968&width=500″ width=”500″ height=”596″ frameborder=”0″ style=”border:none;overflow:hidden” scrolling=”no”]

Sono parole di J-Ax. Il rapper amico di Fedez entrambi crogiolati dal fuoco della paternità.

Il fatto che è padre, forse, più che il ricordo delle vessazioni subite anche da lui durante l’adolescenza, lo ha reso ancora più sensibile a fatti tragici come questo. Ha reagito così alla purtroppo ennesima morte di un giovanissimo che da solo si è tolto via la vita; esprimendo dolore e sdegno, abbozzando un sensato j’accuse agli adulti e un virile invito ai ragazzi a resistere e constatando una verità meravigliosa e tragica: Michele ora nessuno saprà che ricchezza abbiamo perduto tutti con la vita che non potrai più vivere. Che bella questa nota, dolentissima certo ma suona così: ognuno di noi, con la sua vita unica e mai ripetibile è una ricchezza per tutti, per il mondo intero e la storia tutta. Bravo J-Ax!

Ma forse Michele Ruffino, il diciassettenne  lanciatosi dal ponte di Alpignano in provincia di Torino il 23 febbraio scorso, non era propriamente la vita che si sarebbe voluto togliere. E forse, come si fa da bambini, avrebbe quasi voluto godere l’enorme attenzione di tutti, ora, e il dolore inconsolabile di tanti per poter sperimentare finalmente quello che cercava famelico ma goffo (come tanti, dolce Michele. Temo praticamente tutti) tra i coetanei a scuola o ripiegando su YouTube. Essere notato, cercato, riconosciuto, pensato. Essere al centro dei pensieri e degli affetti di qualcuno.

Michele però aveva un fardello in più da portare, pesante. Quindi no, non si può chiudere la faccenda così. Nessuno ha un’infanzia perfetta certo, ma c’è chi parte con degli zaini di granito sulle spalle e chi no.

Aveva delle difficoltà motorie fin dalla prima infanzia causate da effetti infausti di un vaccino scaduto, così riferisce la sua mamma e così ha riconosciuto la sentenza a loro favore. Ma avere ragione non gli ha tolto la fatica. Nè quella normale di crescerequella vinta in sorte da questa sventurata circostanza.

Ora potremmo inoltrarci per quei sentieri piuttosto battuti in effetti ma dei quali io non sono affatto sufficientemente esperta dove si fanno considerazioni sulla crudeltà dei giovani, persino dei bambini; chiamando in causa il bisogno di segregarsi tra simili, di riconoscersi in un’appartenenza chiassosa all’esterno perché ancora molto fragile interiormente. Il contesto giovanile è talmente complesso che non ne verremmo a capo.


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Dobbiamo tenere in serissima considerazione la tragica emergenza educativa, una vera infezione pandemica, che la nostra società continua a trattare con i fiori di Bach anziché darci dentro con gli antibiotici a tappeto. Abbiamo genitori meno sicuri, molli dove servirebbe durezza e assurdamente pretenziosi dove invece occorrerebbe lasciar correre. Abbiamo ragazzini con gli smartphone e internet accessibili sempre e pochissimi strumenti personali per fare fronte alle relazioni offline.


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Ma un errore credo non dobbiamo compierlo nemmeno noi. Non ci sono “i bulli” da una parte, depositari di tutta la quota di cattiveria predestinata ai giovanissimi, e i ragazzi buonissimi dall’altra. Esistono dinamiche che si installano nei rapporti, esiste il triangolo vittima, carnefice, salvatore. Esistono le crisi esistenziali dell’adolescenza. Esistono persone che sono strutturalmente o temporaneamente più fragili.

Ma là in fondo, non v’è dubbio, nel segreto del nostro cuore, quello di tutti (è talmente evidente) resta sempre in agguato uno scorpione. Un ragno velenoso pronto ad avventarsi su qualsiasi preda. Sul debole. Perché?

Per il gusto del male per il male. Per la perfidia che gode di sé stessa e che non è nostra ma come un insidioso parassita ci ha presi  come animale ospite. Nessuna indagine sociologia o psicologica arriverà mai ad estinguere l’ultimo perché sulla cattiveria umana.

Il Sommo Pontefice ha posto molto più chiaramente la domanda e ha dato una risposta limpida e spaventosa per questi nostri tempi addestrati a non nominarlo più, il male col suo nome proprio.

In una omelia di quest’anno, la prima del 2018, Papa Francesco si chiedeva «Cosa c’è dentro di noi, che ci porta a disprezzare, maltrattare e farci beffa dei più deboli?»(La Stampa, Vatican Insider, 8 gennaio 2018)

E la risposta è così salutare. Sì fa bene alla nostra salute e alla nostra salvezza conoscere l’esistenza e l’azione subdola ma reale di un essere che campa di odio. Odio a Dio e all’uomo che ne è la sua immagine e nel quale si è incarnato.

Il «forte che si prende beffa e disprezza il più debole»(…) «Forse gli psicologi daranno le loro spiegazioni di questa volontà di annientare l’altro perché è debole, ma io dico che questa è una delle tracce del peccato originale. Questa è opera di Satana» (Ibidem)

In Satana non c’è compassione e nemmeno in noi quando godiamo del male inflitto al più debole. Nemmeno in quel ragazzino che, riferisce la mamma, avrebbe commentato al funerale di Michele “da vivo era ancora più brutto”. Ma potrà sorgere. Perché se è vero che il peccato originale si mostra in tutta la sua letale evidenza è ancora più vero che quell’essere personale spirituale avversario di Dio è stato sconfitto e Cristo, che lo ha vinto, è il nostro Avvocato.

Anche Michele, nell’uso insondabile della sua libertà, ha agito per il suo male cercando, fino alla fine il bene o almeno il sollievo.

Sono mamma e ho il terrore, letteralmente, a pensare alle burrasche che attraversano le anime dei miei figli. Pensando alle loro e altrui fragilità. Temendo il male che possano subire e pure quello che potrebbero infliggere. Sì, apparteniamo entrambi alla stessa specie, capace di crudeltà spaventose e di atti d’amore e gratuità enormi. In grado di lasciare un nostro fratello a morire di solitudine e ancora noi, sempre gli stessi, capaci di offrirci al posto di uno sconosciuto per salvargli la vita. Anche da piccoli siamo capaci di questo. Quanti santi bambini. Quanti piccoli cristi saliti volentieri in croce per salvare gli altri che spesso erano orchi, che quasi sempre recitavano dalla parte dei cattivi.




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Carissimo Michele il suicidio è un atto gravissimo perché offende te e in te Dio Signore della vita. Se ci sei arrivato è perchè hai creduto non ci fosse più speranza nè la forza di aspettare che si facesse avanti. Ma hai avuto tempo per pensarci mentre volavi. Di sicuro il Signore che ama sempre fino alla fine non ha smesso di cercarti nemmeno sul ciglio del ponte perché tanto ormai il finale era chiaro. Finché il tempo della vita scorre Lui ha tempo di bussare e tu di aprire.

Carissima mamma, carissima sorella, carissimo papà di Michele prima o poi riuscirete a scendere dalla croce dei rimorsi e della rabbia. Riuscirete ad incontrare Colui che prima di risuscitarci un figlio o un fratello si commuove e piange con noi, per noi. L’ha detto il Santo Padre che la commozione è una prova schiacciante della Sua presenza. Non disperate, non credete alla disperazione. L’anima di Michele è affidata alla viscere della Sua misericordia. Preghiamo e facciamo celebrare Sante Messe. Il momento di fare qualcosa è adesso.

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