Lui insegnante di religione, lei volontaria. Dopo il matrimonio scelgono di vivere in una casa abitata per anni da un usuraio. E la "popolano" con sei bambini che non hanno più i genitori
C’è una bella favola di cui sono protagonisti un insegnante di religione di Bergamo, Diego, e sua moglie Patrizia. Entrambi sono volontari di lungo corso e quando decidono di sposarsi, non scelgono una casa qualunque. Ma una villetta che fino a qualche prima era della mafia e la trasformano in una casa famiglia dove vivono con sei bambini che non hanno i genitori.
Questa storia, che sembra tratta da un libro di fiabe, è descritta in “Alle mafie diciamo NOi” di Gianni Bianco e Giuseppe Gatti (edizioni Città Nuova). Diego e Patrizia hanno avuto il coraggio di sfidare la mafia rivoluzionando la funzione di un bene confiscato.
I tre verbi di Don Ciotti
Come insegna don Luigi Ciotti, «nella mafia ci sono tre verbi dominanti, verbi di morte: Salire (in termine di potere e prestigio), Avere e Possedere. E invece chi le mafie le combatte segue verbi di vita: Scendere (verso chi è più fragile, dando una mano al compagno in difficoltà); Donare qualcosa di nostro, di concreto; e soprattutto Essere».
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La lezione di Papa Francesco
Una modalità che ha usato anche papa Francesco incontrando la Commissione parlamentare antimafia. «Lottare contro le mafie», diceva rivolgendosi a deputati e senatori, «non significa solo reprimere. Significa anche bonificare, trasformare, costruire».
Un’organizzazione criminale nasce e cresce per sottrarre e accumulare beni. Guadagna se toglie agli altri, ruba e poi ricicla il malloppo. Una ricchezza che non è mai condivisa, «il 90% delle risorse mafiose finisce nelle mani del 10 per cento degli affiliati».
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La casa dell’usuraio
Diego e Patrizia hanno colto in pieno il senso della sfida. Appena sposati hanno deciso che il loro nido d’amore sarebbe stato in un bene confiscato a Berbenno in provincia di Sondrio.