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Cosa dicono alla nostra sofferenza le 5 ferite di Cristo?

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Catholic Link - pubblicato il 12/03/18

di Sebastian Campos

Il costume, la cultura religiosa, gli anni di celebrazione degli stessi misteri possono senza volerlo farci vivere la Passione del Signore come una semplice commemorazione religiosa, ricca di simbolismo e piena di contenuti, ma che ha poco a che vedere con noi. Sì, sappiamo che Cristo è morto sulla croce, ha pagato sulla propria carne con sofferenze che non meritava e lo ha fatto per amore, ma saperlo non è lo stesso che viverlo.

Questa è la parte teorica e dottrinale che ogni buon cattolico dovrebbe aver chiara e il motivo principale per valorizzare la Passione del Signore con una devozione speciale. Da questo nascono gesti di pietà come la Via Crucis, ma avete pensato che siamo stati noi a inchiodare Gesù sulla croce, a sputargli addosso, a colpirlo, a negargli un sorso d’acqua, a ridere delle sue sofferenze, e che lo facciamo quotidianamente ogni volta che disprezziamo il suo sacrificio? Facciamo parte di quell’orda che lo ha torturato e messo a morte.

“È chiaro che più gravemente colpevoli sono coloro che più spesso ricadono nel peccato. Se infatti le nostre colpe hanno condotto Cristo al supplizio della croce, coloro che si immergono nell’iniquità crocifiggono nuovamente, per quanto sta in loro, il Figlio di Dio e lo scherniscono con un delitto ben più grave in loro che non negli Ebrei”, dice il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 598).

Per questo, vorrei invitarvi con profonda devozione a guardare le sue ferite, quelle ferite che gli abbiamo inflitto, quelle ferite che spettavano a noi, e a darci l’opportunità di permettere che il nostro cuore si trasformi grazie al suo amore.

“Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti” (1 Pietro 2, 24-25).

Le sue piaghe sono questo, non solo un castigo fisico, ma anche un carico spirituale di portata inimmaginabile, estremamente doloroso e che nessun altro se non Gesù poteva alleviare, perché “nessun uomo, fosse pure il più santo, era in grado di prendere su di sé i peccati di tutti gli uomini e di offrirsi in sacrificio per tutti” (Catechismo, n. 616).

1. I suoi piedi sanguinanti

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I suoi piedi, in una posizione estremamente scomoda (che non potremmo mantenere neanche nella migliore delle condizioni per più di un paio di minuti), sopportano il peso del suo corpo appoggiato a un pezzetto di legno. Sono inchiodati, uno sopra all’altro, e non solo subiscono una ferita fisica (pelle piagata e ossa rotte), ma sono un segno della durezza del cammino nella nostra vita. Durezza nella difficoltà della vita stessa, del cammino in salita che spesso dobbiamo affrontare e che Gesù vuole alleviare mettendo a disposizione i propri piedi per ricevere il castigo. I suoi piedi sanguinanti alleviano i nostri, sostengono non solo il suo corpo, che pende dalla croce, ma anche noi. Le ferite che ci ha provocato il duro cammino della vita sono molto minori, si alleviano ben più rapidamente e sono più sopportabili di quello che sarebbero se Gesù non avesse messo i suoi piedi nel posto in cui dovevano stare i nostri.

2. Le sue mani inchiodate

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Quanti lottano per un’opportunità, per una minima possibilità, una scintilla di speranza, ma vedono le proprie mani inchiodate! Malati, poveri, migranti e molti altri che nel pieno delle loro capacità si vedono inchiodati a una croce, senza poter muovere le mani. Altri vivendo il servizio, la dedizione, la rinuncia di se stessi offrono le proprie mani per alleviare la situazione di altri. Famiglie che si prendono cura dei loro malati, genitori che lottano per dar da mangiare ai figli, professionisti che danno tutto per coloro che servono, religiosi che offrono la propria vita per prendersi cura delle anime… Mani stanche, tese, sofferenti. Gesù prende il posto di quelle mani, offre le sue per alleviare il dolore di coloro che si sentono crocifissi con Lui e di quanti nel servizio, spesso obbligato, sentono il dolore dei chiodi.

3. Il suo costato trafitto

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Ci sono dolori e dolori. Indubbiamente ce ne sono alcuni che non ci lasciano in pace, ma anche altri che restano nel cuore e non escono da lì, che ci cambiano la vita, che ci scoraggiano e ci tolgono la voglia di continuare a vivere. Il dolore per aver perso una persona cara, per aver sprecato la vita, per aver fallito… dolori che ci impediscono di avere una luce di speranza, dolori che ci lacerano il cuore.

Il costato trafitto, ingiustamente lacerato dalla lancia fino al cuore, soffre i nostri dolori, accoglie le nostre pene (non solo le nostre colpe e i nostri peccati), e c’è in esso un luogo per tutte le nostre sofferenze. Non solo il suo costato trafitto riceve un castigo immeritato, ma da questo sgorga per tutta l’umanità un fiume di speranza e consolazione: sangue e acqua. Il suo sacrificio nel sangue, una nuova opportunità di purificarci nell’acqua.

4. Coronato di spine

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C’è un simbolismo plasmato nella corona di spine. Quando Adamo ed Eva peccarono, portando il male e la maledizione nel mondo, il castigo che Dio ha dato all’umanità per questo peccato è: “Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre” (Genesi 3, 17b-18).

I soldati romani hanno preso un oggetto di maledizione e lo hanno aggiustato a mo’ di corona per colui che è venuto a liberarci da ogni maledizione e castigo. La sua corona ha una doppia funzione: Gesù è davvero un re, coronato di spine, e allo stesso tempo viene umiliato e deriso provocandogli dolore. La corona di spine, pur se dolorosa, è soprattutto umiliante, ma Gesù accetta di essere umiliato, porgendo la sua fronte, il suo volto schiaffeggiato per tutti coloro che devono subire l’umiliazione.

Chi vive lontano dalla propria patria, fuggendo, cercando opportunità per la propria famiglia; chi vive nella povertà, in un circolo vizioso che non gli permette di uscirne indipendentemente da quanto si sforzi; chi soffre la guerra e viene perseguitato ingiustamente – Gesù accoglie tutti coloro che sono umiliati venendo incoronato e umiliato al posto loro.

5. La sua schiena flagellata

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Chi ha visto il film La Passione di Cristo di Mel Gibson ha sicuramente chiuso gli occhi davanti a quelle scene crude, ma non sono stati solo i colpi a lasciare dei segni sulla schiena di Gesù. Si dice che San Bernardo in preghiera chiese a Gesù quale fosse stato il dolore più grande che aveva subito il suo corpo durante la Passione, e il Signore rispose: “Ho avuto una piaga sulla schiena, profonda tre dita, che mi sono procurato portando la Croce a causa delle tre ossa sporgenti. Questa è stata la piaga che mi ha procurato più dolore di tutte”.

Non stiamo solo parlando di una persona che è stata punita, ma di qualcuno che mentre camminava verso il luogo della sua crocifissione è stato piagato dalla croce, passo dopo passo. Gesù viene ad accogliere il dolore di tanti che si caricano di storie di vita che li hanno segnati per sempre. Famiglie spezzate, malattie incurabili, esperienze traumatiche che lasciano piaghe profonde, che non riescono a guarire e per le quali non c’è altra opzione che mettere una croce, che spesso ci provoca più dolore. Sappiamo che Gesù mostra la propria schiena per ricevere quella croce. La prende su di sé, allevia il nostro peso.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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