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Monsignor Romero aderiva alla teologia della liberazione?

Mural Dom Oscar Romero

Douglas Radamez Barahona, Giobanny Ascencio y Raul Lemus- Grupo Cinteupiltzin CENAR El Salvador - Mural pintado con acrílico y óleos / CC

Aleteia Brasil - pubblicato il 09/03/18

Chi era l'arcivescovo martire di El Salvador che sarà canonizzato da Papa Francesco?

Óscar Arnolfo Romero Galdámez nacque a Ciudad Barrios, in El Salvador, il 15 agosto 1917. Ordinato sacerdote nel 1942 e vescovo nel 1970, venne nominato arcivescovo della capitale del suo Paese, San Salvador, nel febbraio 1977.

Nel marzo dello stesso anno si verificò l’assassinio di padre Rutilio Grande insieme a due contadini. Monsignor Romero denunciò le ingiustizie sociali attraverso la radio cattolica Ysax e la rivista Orientación, diventando noto come “La voce dei senza voce”.

Nelle sue omelie domenicali denunciava le tante violazioni dei diritti umani in El Salvador ed esprimeva pubblicamente la propria solidarietà con le vittime della violenza politica. Il Paese è arrivato a vivere una guerra civile tra il 1979 e il 1992.

All’interno della Chiesa, Romero difendeva l’“opzione preferenziale per i poveri”, il che gli è costato accuse di allineamento con la teologia della liberazione. Egli, però, teneva a distinguere chiaramente le due cose:

“Ci sono due teologie della liberazione. Una vede la liberazione come liberazione materiale, l’altra è quella di Paolo VI. Io sto con Paolo VI”.

In un’omelia del 6 agosto 1976, monsignor Romero parlò esplicitamente del tipo di “rivoluzione” che difendeva:

“La rivoluzione sociale più profonda è la riforma seria, soprannaturale, interiore di un cristiano. La liberazione di Cristo e della Sua Chiesa non è ridotta alla dimensione di un puro progetto temporaneo. Non riduce i propri obiettivi a una prospettiva antropocentrica, a un benessere materiale o solo a iniziative di un ordine politico o sociale, economico o culturale. Men che meno può essere una liberazione che sostiene o è sostenuta dalla violenza”.

Monsignor Romero disapprovava la teologia della liberazione di ispirazione marxista. L’11 novembre 1979, in un altro discorso, affermò:

“Giorni fa hanno chiesto a una delle persone che proclamano la liberazione in senso politico: ‘Per lei, qual è il significato della Chiesa?’ L’attivista ha risposto con queste parole scandalose: ‘Ci sono due Chiese, la Chiesa dei ricchi e la Chiesa dei poveri. Crediamo nella Chiesa dei poveri, ma non nella Chiesa dei ricchi’. Queste parole, chiaramente, sono una forma di demagogia e non ammetterò mai una divisione della Chiesa. Esiste solo una Chiesa, la Chiesa che Cristo predicava, la Chiesa a cui dobbiamo offrire completamente il nostro cuore. Esiste solo una Chiesa, la Chiesa che adora il Dio vivo e che sa dare il dovuto valore ai beni della terra”.

Monsignor Romero è stato assassinato nel pieno della celebrazione della Santa Messa il 24 marzo 1980 da un cecchino dell’élite dell’Esercito salvadoregno.

L’omicidio ha provocato proteste mondiali e forti pressioni internazionali perché si realizzassero delle riforme in El Salvador. Nel 1992, un’indagine dell’ONU ha concluso che l’autore intellettuale dell’assassinio è stato Roberto D’Aubuisson, ex ufficiale dell’Esercito e politico.

Alla vigilia della sua morte, Romero aveva fatto un’altra dichiarazione forte contro la repressione nel Paese:

“In nome di Dio e di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono ogni giorno al cielo, vi chiedo, vi supplico, vi ordino: cessate la repressione”.

Le parole di Papa Francesco

Ricevendo in udienza in Vaticano una delegazione di 400 salvadoregni il 30 ottobre 2015, Papa Francesco ha dichiarato, suscitando un’ondata di applausi:

“Il martirio di monsignor Romero non avvenne solo al momento della sua morte; fu un martirio-testimonianza, sofferenza anteriore, persecuzione anteriore, fino alla sua morte. Ma anche posteriore, perché una volta morto — io ero un giovane sacerdote e ne sono stato testimone — fu diffamato, calunniato, infangato, ossia il suo martirio continuò persino da parte dei suoi fratelli nel sacerdozio e nell’episcopato”.

“Non parlo per sentito dire, ho ascoltato queste cose. Cioè, è bello vederlo anche così: come un uomo che continua a essere martire. Ebbene, credo che ora quasi nessuno osi più farlo. Dopo aver dato la sua vita, continuò a darla lasciandosi colpire da tutte quelle incomprensioni e calunnie. Questo mi dà forza, solo Dio lo sa. Solo Dio conosce le storie delle persone, e quante volte persone che hanno già dato la loro vita o che sono morte continuano a essere lapidate con la pietra più dura che esiste al mondo: la lingua”.

All’inizio del suo discorso, il Papa aveva definito il beato Romero in questo modo:

“Pastore buono, pieno di amore di Dio e vicino ai suoi fratelli che, vivendo il dinamismo delle beatitudini, giunse fino al dono della sua stessa vita, in modo violento, mentre celebrava l’Eucaristia, Sacrificio dell’amore supremo, suggellando con il suo stesso sangue il Vangelo che annunciava”.

In questo mese di marzo, Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare i decreti che riconoscono i miracoli attribuiti all’intercessione degli oggi beati Papa Paolo VI e monsignor Óscar Romero, perché possano essere canonizzati.

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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