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Fino a che punto è bene essere ottimisti?

OPTIMISTIC

Photo by Svyatoslav Romanov on Unsplash

Javier Fiz Pérez - pubblicato il 08/03/18

Come distinguiamo l'ottimismo dalla semplice ingenuità? Quale dose di realismo dev'esserci nel nostro ottimismo?

L’ottimismo, dal latino “optimum” (il meglio), viene definito come la propensione a vedere e giudicare le cose nel loro aspetto più favorevole. È l’opposto del pessimismo, dal latino “pessimum” (il peggio). Il termine è stato utilizzato per la prima volta dal filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz.

L’ottimista tende a sperare in un futuro favorevole e affronta le difficoltà con animo positivo e perseveranza. In generale riesce a trarre l’aspetto più positivo da ogni circostanza e soggetto, ha un umore migliore, è perseverante, ha una salute più forte e generalmente esce rafforzato anche dalle situazioni traumatiche.

L’ingenuità, invece, ha a che vedere con l’innocenza, con l’assenza di malizia e di astuzia o doppiezza nell’agire, a cui si unisce il concetto di candore.

La distinzione tra ottimismo e ingenuità obbedisce a certe idee che si ascoltano e si leggono costantemente nell’analisi critica e spesso pessimista della realtà.




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La mediazione del realismo

Il realismo, ci ricorda la filosofia, è una soluzione in base alla quale esistono cose reali in sé. Ecco tre sue tipologie:

  1. Il realismo ingenuo non compie alcuna riflessione sul fatto che la conoscenza sia possibile o meno, e identifica ciò che viene percepito con l’oggetto senza vedere la differenza, attribuendogli tutti i contenuti della percezione. Le cose, quindi, sono come le percepiamo con tutte le loro proprietà oggettive.
  2. Il realismo naturale ha l’influenza della riflessione critica sulla conoscenza, distingue la percezione dall’oggetto ma continua a proporre l’identità tra questi.
  3. Il realismo critico si basa sulla critica della conoscenza e implica reazioni della coscienza e proprietà che non hanno un carattere oggettivo ma soggettivo. Si presuppongono però nelle cose certi elementi oggettivi e causali che permettono di spiegare l’osservazione di queste qualità.

Riassumendo, il realista vede la realtà e dice “Questo è…”, l’ottimista vede i suoi sogni e dice “Questo sarà…”. L’ottimista raggiunge più risultati, realizza di più i propri sogni, è più felice, cresce di più, si relaziona meglio e ha più autostima del realista.

Forse in altre epoche non sarebbe stato così, ma nella società in cui viviamo attualmente, nella quale abbondano le opportunità, il contesto favorisce l’ottimista. Chi pratica l’ottimismo subirà molte più cadute del realista, ma quelle cadute sono solo esperienze che arricchiscono.

In un passato non molto lontano, o in altre società attuali, la cosa più intelligente era forse attenersi al realismo ed evitare dispiaceri, ma i tempi sono cambiati e favoriscono gli ottimisti.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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