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La decanonizzazione di Santa Gianna Beretta Molla

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Senza Pagare - pubblicato il 02/03/18
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Ha scelto di morire per non dover abortire, ed era una pediatra. Sembra che oggi sia un peccato più grande dell’omicidiodi padre Nuno Serras Pereira

Ogni figlio ha il diritto di essere generato dai genitori biologici (e non da tecnici di laboratorio), che devono essere sposati, e di essere allevato ed educato da entrambi. Questo diritto ovvio, in virtù della dignità incommensurabile di ogni persona a qualsiasi età, è al giorno d’oggi calpestato da legislazioni ottuse e aberranti e in genere ripudiato dalla mentalità regnante, da gran parte dei cristiani e perfino da alcuni membri della gerarchia ecclesiastica.

Il fatto di essere allevati ed educati da entrambi i genitori, purtroppo, non è sempre possibile per varie circostanze – la morte di uno dei due, la detenzione prolungata, il servizio militare all’estero in una guerra a tempo indeterminato, una malattia cronica invalidante, la violenza domestica (psicologica, fisica o morale), l’adulterio, la poligamia, l’unione poliamorosa… Tutto questo è in linea generale compreso e accettato dalla generalità delle persone, e in qualche misura anche dalla Chiesa.

Quando si tratta di figli di cattolici con un matrimonio valido che divorziano civilmente e si “sposano” civilmente, frutto di un rapporto civile, oggettivamente adulterino, si ritiene un imperativo assoluto la permanenza in quello stato, considerato l’unico modo per non commettere una grave ingiustizia nei confronti della prole. È chiaro che se i genitori decidono di vivere come fratelli per il bene dei figli che si vogliono salvaguardare è comprensibile che condividano la stessa abitazione e si aiutino nella cura della prole.

Ma cosa succede nei casi in cui uno dei coniugi vuole vivere nell’astinenza e l’altro no? Quello che vuole farlo deve sottomettersi al volere dell’altro? Evidentemente no. E in questa circostanza dovrà separarsi, ponendo fine definitivamente alla situazione oggettiva di adulterio pubblico e permanente ma continuando, in base alle sue possibilità, a contribuire alla crescita dei figli. In caso contrario si dovrebbe, ad esempio, decanonizzare e condannare come gravemente ingiusta Santa Gianna Beretta Molla.

Pediatra, era sposata e aveva tre figli quando rimase incinta della quarta. Si scoprì allora che aveva un fibroma all’utero. C’erano tre opzioni: asportare l’utero malato (il che avrebbe provocato la morte del bambino), abortire il feto o, ipotesi più rischiosa, sottoporsi a un intervento pericoloso per preservare la gravidanza. Gianna, che come medico era pienamente consapevole di quello che poteva accadere, non esitò e disse: “Salvate il bambino, perché ha il diritto di vivere e di essere felice!”

L’intervento ebbe luogo il 6 settembre 1961. Gianna entrò in sala parto il Venerdì Santo del 1962, e il giorno dopo, il 21 aprile, nacque Gianna Emanuela. Sempre fedele, Gianna affermava: “Tra la mia vita e quella di mio figlio salvate il bambino!” Gianna morì in casa il 28 aprile 1962.

Di fronte alle alternative che le erano state proposte – non solo dai medici, ma anche dai familiari e dal marito stesso, ricordandole i tre figli che avrebbe lasciato privi della sua presenza materna –, la prima era moralmente lecita, legittima, e tuttavia Gianna mise al primo posto la figlia che portava in grembo.

Se non è stato gravemente ingiusto – tutt’altro – l’abbandono previsto (ma non desiderato) a cui Santa Gianna Beretta Molla votò i figli in virtù della sua offerta magnanima d’amore, perché dovrebbe essere gravemente ingiusto che un padre o una madre si doni con una magnanimità simile rinunciando a un comportamento gravemente immorale per non offendere più Dio, unirsi a Gesù Cristo e vivere in comunione con il Suo Corpo che è la Chiesa – potendo continuare, seppur con dei limiti, ad accompagnare i propri figli e a contribuire alla loro crescita?

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]