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Alimenta i tuoi desideri più grandi spegnendo quelli piccoli

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padre Carlos Padilla - pubblicato il 28/02/18

La rinuncia fa parte del cammino

Devo riconoscerlo: non mi piace rinunciare a quello che desidero, perché il desiderio è ciò che muove il mio cuore e mi fa sentire affamato e assetato. Muove tutte le fibre del mio essere. Mi mette in cammino.

Il desiderio è il motore della mia anima. Il desiderio più profondo è l’ansia di infinito che ho dentro. Un’ansia di essere eterno. Di amare per sempre. Di essere amato per sempre e senza limiti. Senza condizioni. Sapendo che io stesso ho limiti e condizioni.

Scrive R. M. Rilke: “Questo è il paradosso dell’amore tra l’uomo e la donna: due infiniti si incontrano con due limiti; due infinitamente bisognosi di essere amati si incontrano con due capacità fragili e limitate di amare. E solo nell’orizzonte di un amore più grande non si divorano nella pretesa e non si rassegnano, ma camminano insieme verso una pienezza della quale l’altro è segno”.

È il desiderio che livella il mio cuore. Amare in modo infinito. Essere amato in modo infinito. Mi scontro con i miei limiti. La fragile capacità di amare si scontra con i suoi limiti.

Ma è Dio che sostiene il mio desiderio. Per questo non voglio abbandonare i miei desideri e pensare che per mia goffaggine siano solo chimere.

Come osserva al riguardo Brugués, “Non si tratta di rinunciare al desiderio in sé – che sarebbe disumano – ma alla sua violenza. Si tratta di morire alla violenza del piacere, alla sua onnipotenza” [1].

Non rinuncio a ciò che desidero, ma alla sua dittatura sulla mia volontà. Non voglio essere schiavo dei miei desideri. Voglio camminare guardando quell’amore più grande, infinito, che mi sostiene e mi solleva. Non voglio la violenza che a volte sento non riuscendo a ottenere quello a cui anelo.


VOLTO DI CRISTO

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Leggevo giorni fa: “Siamo persone passionali, per cui uccidere le passioni sarebbe come impedire la crescita della nostra umanità, seccarla. Ci renderebbe predicatori di morte. Dobbiamo invece essere liberi per coltivare desideri più profondi, indirizzati alla bontà infinita di Dio” [2].

Curo i desideri più profondi e veri che sbocciano dal groviglio di piccoli desideri che mi confondono. Voglio essere fedele al desiderio più vero, a quello più pieno, più infinito.

Lascio passare davanti ai miei occhi senza violenza i desideri che mi sottraggono alla mia pace, che mi impediscono di pensare al bene altrui. Quelli che mi fanno solo cercare ossessivamente ciò che è oggetto dei miei sogni egocentrici.

Voglio sapere bene cosa fare con quello che mi arde nell’anima. Trovare un senso alla mia vita e dare un alveo al fiume che mi scorre nelle vene. E scoprire che la rinuncia è parte del mio cammino.

E non è poi così duro rinunciare a molte delle cose che desidero. Quella rinuncia è un bene che mi dà le ali. È un valore e non una carenza. Anche se fa male.

È offrire a Dio ciò che desidero di più. Offrirgli quello che credevo fosse anche il suo desiderio. È mettere nelle sue mani la mia vita perché le mie paure non mi leghino. Per non attaccarmi ai miei sogni in modo malato e appassionato.

Presuppone di rinunciare al desiderio più grande del mio cuore. E nasce la domanda. Come può volere Dio che rinunci a ciò che mi rende felice?




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Non è vero che a volte mi aggrappo in modo malato a quello che desidero di più? La passione governa la mia vita.

Mi aggrappo al mio sogno di grandezza, di pienezza. Mi lascio trascinare da quell’anelito di rendere realtà tutti i miei sogni. Che senso ha questa rinuncia?

Forse la chiave per capire tutto è la fiducia. Spesso non ho fiducia. Non ho chiaro che il cammino che desidero non è quello che mi renderà pieno, felice e libero.

E allora mi aggrappo a ciò che amo. Perché devo rinunciare a quello che mi rende felice? Perché offrire quello che mi riempie l’anima?

Anche se sulle prime non sembra, questa rinuncia mi rende libero. Spegne le paure. Piega le mie ansie. Quando sono capace di rinunciare per amore di un amore più grande divento più libero.

E allora accade l’impossibile. La rinuncia riempie il cielo di stelle. Molte più stelle del dolore della rinuncia.

Nella mia vita è così quando rinuncio. Il cielo si riempie di stelle. Dio dà sempre di più. Non toglie, dà e basta. Ho più pace. Sono più libero di vedere il dolore accato a me. Più libero di amare chi ne ha bisogno. Più libero di mettermi in cammino.

E forse per questo ha senso il digiuno di questo periodo. Mi prepara a poter realizzare in pace qualsiasi rinuncia.

Dice Papa Francesco: “Il digiuno toglie forza alla nostra violenza, ci disarma, e costituisce un’importante occasione di crescita. Da una parte, ci permette di sperimentare ciò che provano quanti mancano anche dello stretto necessario e conoscono i morsi quotidiani dalla fame; dall’altra, esprime la condizione del nostro spirito, affamato di bontà e assetato della vita di Dio. Il digiuno ci sveglia, ci fa più attenti a Dio e al prossimo, ridesta la volontà di obbedire a Dio che, solo, sazia la nostra fame”.

Il digiuno mi rende capace della rinuncia, e la mia rinuncia mi rende più figlio. Mi rende più forte. Perché non è forse vero che il timore di perdere ciò che amo mi indebolisce? Sì.

Quando amo e mi aggrappo a ciò che amo divento più debole. Più vulnerabile. L’amore è il mio punto debole. Quello che mi lega alla terra e ai miei sogni. Dio saprà come rendere piena la sua alleanza.

La rinuncia pone fine alle mie passioni disordinate. Dà pace alla mia violenza. Calma i miei gesti pieni d’ira. Mi rende più libero perché ho donato quello che amo di più. Tutti i miei sogni. E in cambio ricevo le stelle del cielo.




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Cos’è che mi costa donare oggi a Dio? Voglio educare i miei desideri. Li metto nelle sue mani. Divento libero.

Per questo il digiuno mi fa bene. Educa il mio animo alla donazione. Mi rende più generoso. Più aperto alla generosità di Dio che dà sempre di più. Migliaia di stelle, la vita feconda. Metto al primo posto l’altro. Io passo in secondo piano. È possibile?

A volte ne dubito. La mia vanità, il mio orgoglio, il mio egoismo, i miei legami… Le mie catene di schiavo pesano tanto… Voglio imparare a rinunciare per un amore più grande. Un sacrificio per amore. È la cosa più grande che possa desiderare la mia anima malata.

L’anima trova la pace. C’è esperanza.

[1] Giovanni Cucci SJ, La forza dalla debolezza
[2] Giovanni Cucci SJ, La forza dalla debolezza

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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