L'“hackathon” vaticano promuove una competizione su questioni relative a inclusione sociale, dialogo interreligioso e crisi dei rifugiati per trovare delle soluzioni
Per quanto possa sembrare contraddittorio, il Vaticano sta “abbracciando” gli hackers. Per la prima volta, la Sede della Chiesa cattolica romana organizza un “hackathon” – una competizione in cui squadre provenienti da tutto il mondo cercheranno soluzioni tecnologiche a problemi specifici.
Nota come VHacks, la competizione si svolgerà in 36 ore tra l’8 e l’11 marzo e si concentrerà su questioni di inclusione sociale, dialogo interreligioso e crisi dei migranti e dei rifugiati.
Combinando le parole “hacking” e “marathon”, un “hackathon” riunisce team multidisciplinari (includendo programmatori di computer, disegnatori grafici e project manager) per elaborare soluzioni entro un limite di tempo. È una gara, ma amichevole.
“VHacks è un appello alla responsabilità – riunire persone di tutte le fedi per affrontare questioni globali attuali”, hanno affermato gli organizzatori.
Molti cattolici potrebbero essere sorpresi dall’apertura del Vaticano a questa attività, anche per le connotazioni negative della parola “hacking”.
“Per l’opinione corrente, l’hacking è qualcosa che viene fatto da un gruppo di persone che cerca di introdursi nei computer, in genere per scopi negativi. Potrebbero essere criminali o agenti politici, o persone che lavorano per una compagnia o un Paese nemico che vuole provocare qualche danno. O potrebbero essere spie”, ha affermato Kevin McKee, consulente del team di hacking della Dos Pueblos High School di Santa Barbara (California, Stati Uniti).
“Ma è solo un piccolo aspetto di quello che è l’hacking”, ha spiegato. “Un altro molto più ampio è che si tratta di un sistema in cui le persone sono spinte e incoraggiate a trovare nuove soluzioni ai problemi. Spesso i giovani lo fanno in un modo organizzato chiamato hackathon”.