“Il misticismo fiorisce nel modo più puro proprio in mezzo alle cose ordinarie”
Il silenzio dell’immagine fotografica, per l’occhio contemplativo, è sufficiente a rivelare la trascendenza di ciò che è apparentemente irrilevante.
Se La Montagna dalle Sette Balze (Seven Storey Mountain), la sua autobiografia pubblicata nel 1948, sette anni dopo il suo arrivo alla Gethsemane Abbey nel Kentucky (Stati Uniti), ha fatto prendere in considerazione a qualche membro della generazione beatnik (negli anni Cinquanta e Sessanta) la vita religiosa non solo come parte della controcultura, ma anche come autentica scelta esistenziale, la sua fotografia ha permesso sia a lui che a coloro che in seguito avrebbero ammirato la sua opera visiva di pensare due volte alle cose apparentemente irrilevanti.
Merton intese la sua Canon FX presa in prestito (il suo amico, l’autore, fotografo e attivista per i diritti civili John Howard Griffin gli aveva dato la sua) come un promemoria “delle cose trascurate”, che lo aiutava a cooperare “alla creazione di nuovi mondi”.
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Fin troppi libri sono stati scritti sul tema, dal famoso A Retreat with Thomas Merton: A Seven-Day Spiritual Journey di Esther De Waal (che unisce meditazioni ad alcune fotografie del monaco) a Father Louie: Photographs of Thomas Merton di Ralph Eugene Meatyard (una raccolta delle fotografie di Merton accompagnate da estratti della sua corrispondenza con Meatyard) e Geography of holiness di Deba Prasad Patnaik (una selezione di alcune delle sue fotografie più contemplative con estratti selezionati dei suoi scritti).