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La fotografia contemplativa di Thomas Merton

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Fotografia di Thomas Merton scattata da John Howard Griffin. Per gentile concessione del Merton Legacy Trust e del Thomas Merton Center, Bellarmine University

Daniel R. Esparza - Aleteia USA - pubblicato il 23/02/18

“Il misticismo fiorisce nel modo più puro proprio in mezzo alle cose ordinarie”

Il silenzio dell’immagine fotografica, per l’occhio contemplativo, è sufficiente a rivelare la trascendenza di ciò che è apparentemente irrilevante.

Se La Montagna dalle Sette Balze (Seven Storey Mountain), la sua autobiografia pubblicata nel 1948, sette anni dopo il suo arrivo alla Gethsemane Abbey nel Kentucky (Stati Uniti), ha fatto prendere in considerazione a qualche membro della generazione beatnik (negli anni Cinquanta e Sessanta) la vita religiosa non solo come parte della controcultura, ma anche come autentica scelta esistenziale, la sua fotografia ha permesso sia a lui che a coloro che in seguito avrebbero ammirato la sua opera visiva di pensare due volte alle cose apparentemente irrilevanti.

Merton intese la sua Canon FX presa in prestito (il suo amico, l’autore, fotografo e attivista per i diritti civili John Howard Griffin gli aveva dato la sua) come un promemoria “delle cose trascurate”, che lo aiutava a cooperare “alla creazione di nuovi mondi”.

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Fin troppi libri sono stati scritti sul tema, dal famoso A Retreat with Thomas Merton: A Seven-Day Spiritual Journey di Esther De Waal (che unisce meditazioni ad alcune fotografie del monaco) a Father Louie: Photographs of Thomas Merton di Ralph Eugene Meatyard (una raccolta delle fotografie di Merton accompagnate da estratti della sua corrispondenza con Meatyard) e Geography of holiness di Deba Prasad Patnaik (una selezione di alcune delle sue fotografie più contemplative con estratti selezionati dei suoi scritti).

Tutti questi autori condividono in una certa misura la stessa opinione: lo sguardo di Merton sugli oggetti attraverso la macchina fotografica era sempre preciso, semplice, non intrusivo, mai artificioso. Era un approccio specificatamente e distintivamente monastico – anzi trappista – alla fotografia.

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Fotografia di Thomas Merton scattata da John Howard Griffin. Per gentile concessione del Merton Legacy Trust e del Thomas Merton Center, Bellarmine University

Dire che la fotografia di Merton è monastica equivale a dire che la sua opera visita è contemplativa. Le piccole lenti nelle mani del monaco che stringe una macchina fotografica prestata diventano l’opposto della magnifica vetrata della cattedrale. A differenza della seconda, in grado di creare un ambiente metafisico che permette il dispiegamento architettonico di una comprensione spirituale della luce come (non solo) metafora della presenza di Dio nel mondo, la prima permette solo alla luce di filtrare, mostrando il mondo com’è, nelle sue sembianze quotidiane, fisiche, comuni.

Sono entrambi approcci mistici alla luce.

Ciò che potrebbe mostrare la fotografia di Merton è l’abbandono di quello che sembra essere l’obiettivo principale della fotografia stessa. Piuttosto che perseguire il possesso di un momento fugace di un oggetto o di trattenere spazio e tempo in una superficie bidimensionale, la fotografia contemplativa – secondo Robert Waldron, autore di Thomas Merton, Master of Attention: an exploration of prayer – mira apparentemente a trasformare la scelta di un’angolazione, di un oggetto, di una situazione in una questione di abbandono e povertà.

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Fotografia di Thomas Merton scattata da John Howard Griffin. Per gentile concessione del Merton Legacy Trust e del Thomas Merton Center, Bellarmine University

La dimostrazione di semplicità che si ritrova nella fotografia di Merton non è altro che un’affermazione delle cose come sono, nella loro normalità semplice, umile e fragile. In questo tipo di apertura, nell’essenza silenziosa e quotidiana di cose ed esseri, Dio rivela Se stesso.

La fotografia di Merton può essere considerata, nella sua semplicità monastica, un’interpretazione del XX secolo del classico motivo del memento mori. I suoi ritratti di strumenti ordinari e lacerati – un muro di mattoni, una vecchia ruota di una diligenza, una grande croce di legno in mezzo a un campo, una sedia solitaria sulla quale non è seduto nessuno, un martello abbandonato, un secchio di latta – trasmettono sia un senso di santità delle cose create che l’inevitabile scorrere del tempo. La vera quotidianità di questi oggetti, quando non trascurata, è stata la chiave che ha aperto le porte della contemplazione.

“Mi sembra”, scrisse Merton al suo amico C.H. Wu, “che il misticismo fiorisca nel modo più puro proprio in mezzo alle cose ordinarie. E questo misticismo, per fiorire, dev’essere pronto a rinunciare a qualsiasi rivendicazione apparente di misticismo stesso”.

Il silenzio dell’immagine fotografica, per l’occhio contemplativo, è sufficiente a rivelare la trascendenza di ciò che è apparentemente irrilevante.

Un ringraziamento speciale al dottor Paul Pearson del The Thomas Merton Center presso la Bellarmine University e al Merton Legacy Trust per averci gentilmente permesso di mostrare online queste fotografie. (Dedicato al mio amico Jeff Bruno.)

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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