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Come essere felice nell’imperfezione

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padre Carlos Padilla - pubblicato il 22/02/18

Guardo il mio disordine, guardo il mio cammino, e sorrido

A volte ho chiaro quello che devo fare e mi metto all’opera. Agisco, decido, penso. E sono coerente con quello che faccio. I miei pensieri e le mie azioni sembrano andare all’unisono per un po’. C’è armonia.

Ma non dura troppo. All’improvviso sorge qualcosa che mi distrae. Che mi allontana da ciò che è importante, o da quello che credo sia la cosa che conta di più.

E mi trovo a pensare a cose diverse da quelle che desidero in realtà. Mi vedo navigare per mari che non ho sognato, o raggiungere cime a cui non ho mai pensato.

Può essere che sia il mio attaccamento alla ricchezza a rendermi debole. Quelle ricchezze del mondo che tentano la mia anima. Sono i sintomi che mi mostrano che non sono in pace con me stesso o con la vita che Dio mi dona.

Quali sono le mie ricchezze? Cosa mi intristisce e mi tenta in questo mondo che bussa alla porta del mio cuore?

Vado di fretta. Nascono le paure. Non sono libero come desidero e mi pesano le catene. Sono legato alla mia vita.

Mi fa paura non essere fedele a quanto ho intrapreso. O smettere di sognare cose grandi per la mia vita. O pensare che vada bene sprecare i miei giorni servendo senza che nessuno lo valorizzi. E tremo.

La vita è molto breve. O può essere troppo lunga. In base a come si guarda. Voglio possedere tutto ciò che mi tenta. Il cielo e la terra. L’eternità e il presente. L’amore e il potere. La giovinezza e tutti i sogni. Mi vedo disordinato dentro. Pieno di desideri.

Leggevo giorni fa “L’uomo è un essere relazionale. Se è disturbata la prima, la fondamentale relazione dell’uomo – la relazione con Dio -, allora non c’è più alcun’altra cosa che possa veramente essere in ordine. Di questa priorità si tratta nel messaggio e nell’operare di Gesù: Egli vuole, in primo luogo, richiamare l’attenzione dell’uomo al nocciolo del suo male e mostrargli: se non sarai guarito in questo, allora, nonostante tutte le cose buone che potrai trovare, non sarai guarito veramente” [1].

Guardo il mio male. Il mio peccato. La mia tentazione più grande. Mi soffermo sul mio orgoglio e sulla mia vanità. Mi vedo tanto lontano da Dio.

Il desiderio di vincere sempre mi consuma dentro. Il desiderio di ottenere tutto ciò che voglio. Senza tener conto di chi è rimasto sconfitto nel cammino.

L’ossessione di controllare le ore. La voglia di essere ammirato e amato da tutti e sempre. Il disordine del mio cuore ferito che cerca affetto.

Non ho imparato a perdonare del tutto le ferite del passato. E mi allontano lentamente dal Dio della mia vita, che giudico e condanno. Egli, che cammina con me e mi fa sempre vedere che se mi distraggo e mi allontano da Lui tutto inizia a smettere di avere senso.

Oggi volgo lo sguardo a quel Dio impotente davanti alla mia miseria.

Mi dice padre Josef Kentenich: “Come ci aiuta Dio a resistere alle tentazioni? Non possiamo farvi fronte da soli. È Dio che ci darà la forza necessaria. Ce ne convinceremo nella misura in cui ci convinciamo del disordine della nostra natura e degli effetti del peccato originale”[2].

Le tentazioni di un mondo che corre per le vie della vita senza un senso chiaro… e mi tenta. Aderisco alla propaganda che mi invita a custodire la mia vita, ad arricchirla. A sognare ciò che non possiedo.

In un film chiedevano al protagonista: “E sei felice? Cosa ti manca, cosa desideri che ancora non hai per essere felice?”

Mi risveglio con questa domanda attaccata alla pelle. Sono felice? Cosa mi manca? Guardo il mio disordine. Guardo il mio cammino. E sorrido.

Cos’altro desidero? In realtà ho tutto per essere pieno. Se mi guardo bene non posso fare altro che rendere grazie a Dio.

Il protagonista ha risposto: “Pace. Voglio solo la pace”.

Forse mi manca quella pace per essere felice. Per vivere senza fretta, senza stress.

Non mi importano tanto le distrazioni. Sono parte del cammino. E Dio mi parla anche in esse. Mi sussurra. Perché camminando vedo ciò che mi circonda e mi distraggo.

E in quelle voci del cammino mi trovo a parlare con Dio. E mi dice tante cose. Mi ricorda la mia missione ultima. Quella di dare la vita.

E mi dice di guardare dentro il mio cuore. Di non sbagliarmi cercando fuori. Che lì mi parla, anche
se a volte quello che non mi dà pace mi tenta. E mi costa comprendere i suoi silenzi.

Perché sono ossessionato dal possedere quello che alla fine forse non mi rende tanto felice? Quel posto di lavoro agognato, quella persona con cui condividere la vita per sempre, quel figlio che non arriva, quella casa che desidero, quella macchina, quel viaggio, quel progetto, quella tranquillità economica, quel perdono che non ottengo, quella risposta alla mia domanda che non ascolto, quella persona che non torna e mi perdona…

Ci sono ancora tante cose da sistemare, tanti sogni che non diventano realtà nel mio cammino…

Mi fa paura non essere felice desiderando ciò che non mi rende felice, e non voglio sprecare il presente che Dio mi dona per trovare un senso a tutto ciò che faccio.

Oggi guardo il mio cuore. Mi metto a nudo davanti a Dio che si avvicina alla mia vita. Lentamente. E metto nelle sue mani i miei sogni e le mie paure. Ciò che non mi rende felice. Cammino mano nella mano con Lui. Che Egli venga a me è l’unica cosa che mi salva là dove mi trovo.

[1] Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù
[2] J. Kentenich, Envía tu Espíritu

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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