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Che cos’è il digiuno per il cristiano? Abitare il dolore per l’assenza dello Sposo

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don Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 16/02/18

Non è una penitenza punitiva, ma espressiva perché il digiuno sposta l'attenzione dallo stomaco, cioè dai bisogni fisici, al cuore, cioè al bisogno di senso

In quel tempo, si accostarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?». 
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno. (Mt 9, 14-15)

“Perché noi e i farisei digiuniamo, e i tuoi discepoli non digiunano?”, domandano degli zelanti discepoli di Giovanni Battista. Ma la domanda vera che cerca di tirare fuori Gesù è un’altra: “perché uno dovrebbe digiunare?”. Il Vangelo di oggi, nella sua sintesi estrema ci ricorda che nella fede vigono le stesse logiche dell’amore. Così come uno quando è innamorato e deve stare lontano da chi ama e per questo soffre, così è dei discepoli che quando sentono la lontananza da Dio, da Gesù, digiunano.

Non è una penitenza punitiva ma espressiva, cioè è il tipico atteggiamento di chi perde persino l’appetito perché sente la mancanza “dello sposo”, che per noi si tradurrebbe nella mancanza di senso. Quando ti viene tolta la percezione del senso della tua vita, quello è il tempo di digiunare, perché il digiuno sposta l’attenzione dallo stomaco (cioè dai bisogni fisici), al cuore (cioè al bisogno di senso). E al fondo di questa attenzione possiamo ritrovare Dio. È questo il significato del tempo del digiuno. È l’esperienza dell’assenza dello sposo.

È il bisogno di cercare in questa assenza, di saper esprimere anche simbolicamente questa assenza, non per propiziarne la presenza con un digiuno, sarebbe troppo banale, ma per non sprecare quel “dolore d’assenza” con il contrario. Infatti davanti a un’assenza o a un dolore noi vogliamo trovare modi per non sentire quel dolore e quella assenza. “Mangiamo, ci abbuffiamo” per dimenticare, per non provare, per esorcizzare.

Ma la vita spirituale è sapersi calare in quell’assenza, è saper guardare dentro quel dolore. Ma non ha senso fare questo quando “lo sposo è presente”. Ciò significa che non dobbiamo imparare delle tecniche ma dobbiamo saper riconoscere i tempi giusti. C’è qualcosa quindi più prezioso del digiuno, è la capacità di discernimento. Il digiuno è una via per imparare il discernimento non una pratica fine a se stessa, o una buona scusa per fare diete con motivazioni teologiche. Non sarebbe solo comico, ma sfiorerebbe il sacrilego.

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