Una lettrice ci riporta una domanda di un adolescente, che per ventura si rivela molto simile a quella che regge tutto il libro sul “profeta riluttante”. In realtà certe domande “devote” sembrano venire proprio dal re dell'inferno – ma la buona notizia è che sappiamo come venirne fuori.
Tra le tante belle questioni teologiche che riceviamo in redazione ce n’era una che si legava sorprendentemente a un libro che in quegli stessi giorni ricevevo da leggere. La domanda suonava così: «Vorrei avere una risposta a una domanda fattami da un adolescente, sul perché Dio che è onnipotente non ha distrutto Lucifero fin dall’inizio».
La questione è così ben posta ed esposta che implica più di quanto dichiari: infatti la relativa “che è onnipotente” si riferisce apertamente alla prerogativa divina dell’onnipotenza. La precisazione temporale “fin dall’inizio”, tuttavia, allude all’altra grande prerogativa della divinità come è concepita dalla teologia giudaico-cristiana almeno dall’epoca intertestamentaria – l’onniscienza (di cui la prescienza è chiaramente un addentellato: poiché Dio sa tutto, egli conosce ogni cosa da sempre, e quindi anche prima che accada). Il fatto che un qualsivoglia male resista a queste due condizioni, come sappiamo bene, chiama in ballo altri due attributi divini, ancora più essenziali delle prerogative di onniscienza e onnipotenza: si tratta della giustizia e della bontà.
Se Dio è giusto e buono…
Vale a dire: se Dio è buono, e se Dio è giusto, perché ha permesso che Lucifero esistesse? Il sottotesto – appena richiamato dall’adolescente che ha interpellato la nostra lettrice – è profondamente vincolato all’onniscienza divina. L’Eterno doveva infatti necessariamente sapere che – come disse Paolo VI in una memorabile catechesi del 1972 –
Il male non è più soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa.
Non sarebbe stato “più buono”, Dio, a non lasciar sussistere questa presenza? Non sarebbe stato al contempo “più giusto”, nel non lasciarlo sussistere, nel non lasciare che insistesse nel deturpare il suo bel progetto?
La parola alla Parola
Domanda delle domande, che al contempo ne implica cento altre. E tuttavia possiamo rilevare due cose: la prima è che la maggior parte delle volte che consideriamo la bontà e la giustizia di Dio il tentatore ci invita a considerarle in opposizione, e non in giustapposizione come in questo specifico caso; la seconda è che no, Dio non sarebbe stato né più giusto né più buono, nel non lasciar esistere quell’«essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore», quella “terribile realtà” “misteriosa e paurosa”. Fin dalla riflessione postesilica gli agiografi i cui scritti sarebbero confluiti nella Scrittura giudaico-cristiana si sono posti il problema, e ad esempio nel libro della Sapienza (molto più recente, e accolto appieno solo nei canoni della Chiesa cattolica e di quelle orientali separate da Roma) si legge:
Per i ragionamenti insensati della loro ingiustizia,
da essi ingannati, venerarono
rettili senza ragione e vili bestiole.
Tu inviasti loro in castigo
una massa di animali senza ragione,
perché capissero che con quelle stesse cose
per cui uno pecca, con esse è poi castigato.
Certo, non aveva difficoltà la tua mano onnipotente,
che aveva creato il mondo da una materia senza forma,
a mandare loro una moltitudine di orsi e leoni feroci
o belve ignote, create apposta, piene di furore,
o sbuffanti un alito infuocato
o esalanti vapori pestiferi
o folgoranti con le terribili scintille degli occhi,
bestie di cui non solo l’assalto poteva sterminarli,
ma annientarli anche l’aspetto terrificante.
Anche senza questo potevano soccombere con un soffio,
perseguitati dalla giustizia
e dispersi dallo spirito della tua potenza.
Ma tu hai tutto disposto con misura, calcolo e peso.
Prevalere con la forza ti è sempre possibile;
chi potrà opporsi al potere del tuo braccio?
Tutto il mondo davanti a te, come polvere sulla bilancia,
come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra.
Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi,
non guardi ai peccati degli uomini,
in vista del pentimento.
Poiché tu ami tutte le cose esistentie nulla disprezzi di quanto hai creato;
se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata.
Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi?
O conservarsi se tu non l’avessi chiamata all’esistenza?
Tu risparmi tutte le cose,
perché tutte son tue, Signore, amante della vita.
Sap 11, 15-26
L’autore (probabilmente un giudeo della diaspora alessandrina, un uomo di fine cultura ellenistica) espone rapidamente diversi temi tutti collegati, e poi stabilisce un teorema:
qualunque cosa o persona Dio abbia creato è oggetto del Suo pensiero amoroso;
e viceversa – ossia – quanto non fosse stato oggetto di tale pensiero amoroso neppure sarebbe stato creato.
Dunque l’agiografo risponde con questa nettezza alla (comprensibile e sensata) domanda dell’adolescente che ha interpellato la nostra lettrice: Lucifero (la Bibbia greca dei Settanta usa prevalentemente il termine “il diavolo”, che traduce l’ebraico “satana” – e che non significa, in senso stretto, “il divisore”, bensì “l’avversario”) è da sempre e per sempre oggetto del pensiero amante di Dio. Proprio questo – e che altro sennò? – costituisce l’inferno.
Molti teologi (spesso solo imbrattacarte, ma talvolta anche autori con tutti i crismi) hanno cercato di ricucire l’indicibile scandalo di una simile verità affermando che la dannazione consisterebbe nell’annientamento delle persone che non giungano “alla consapevolezza”. Dunque mentre già nel linguaggio costoro tradiscono spesso una genealogia intellettuale che deriva dalla peggiore gnosi, nelle implicazioni teoretiche essi trasformano il paradiso in un insopportabile inferno proprio nel tentativo di occultare l’inferno vero, quello eterno come l’amore di Dio.