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Come vengono scelte le formule di saluto della Messa?

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Fr Lawrence Lew OP/Flickr

Toscana Oggi - pubblicato il 05/02/18

All’inizio della Liturgia si inizia facendosi il segno della croce per commemorare la Santissima Trinità che è Padre, Figlio e Spirito Santo però poi vengono usate formule diverse di saluto da parte del sacerdote o del vescovo che celebra la Messa. Una di queste dice: «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi». Un’altra dice: «La pace, la carità e la fede da parte di Dio Padre e del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi»  e un’altra ancora: «Il Dio della speranza, che ci riempie di ogni gioia e pace nella fede per la potenza dello Spirito Santo, sia con tutti voi» tutte formule tratte dalle Lettere di San Paolo. La mia domanda è questa: come mai vengono usate formule diverse e tutte tratte dalle lettere paoline?

Marco Giraldi

Risponde padre Lamberto Crociani, docente di Liturgia alla Facoltà teologica dell’Italia centrale.

La richiesta del signor Giraldi ci pone dinanzi ad una formula di saluto dell’assemblea che ha una propria storia nei progressivi sviluppi della celebrazione eucaristica: M. Righetti nel terzo volume della sua Storia liturgica (III, 226-227) la descrive in modo minuzioso.  Il gesuita Jungmann da parte sua, rimandando per la storia al Righetti, cerca di offrirne, attraverso alcune testimonianze della tradizione il significato teologico in essa racchiuso (Missarum sollemnia, 294). Comunque sia si tratta in origine, di una formula precedente l’orazione di colletta, diversificata -come oggi- tra l’uso del vescovo e quello del presbitero. Al primo era ed è riservato il Pax vobis (Pace a voi) della tradizione giovannea (Gv 20,19), perché solo lui cantava il Gloria; al secondo Dominus vobiscum (Il Signore con voi) anche quando ha cominciato a cantare il cantico dell’Agnello immolato e risorto.

Dobbiamo qui ricordare che  la struttura della celebrazione eucaristica era diversa rispetto all’attuale, senza la confessione dei peccati, con il Kyrie eleison non penitenziale quale momento di silenziosa preghiera di colui che presiedeva l’Eucaristia. Il canto del Gloria – all’inizio riservato solo al vescovo – era l’inizio vero e proprio della celebrazione. Il canto all’Agnello risorto era ripreso nelle sue battute iniziali (Pace nella terra) dalla formula episcopale. Anche quando si concederà ai presbitero di cantare il Gloria, la formula presbiterale rimase immutata fino ad oggi.

Per la prima volta nella storia del rito eucaristico il saluto è collocato all’inizio della celebrazione, separato dal Gloria e dalla colletta, a quale il saluto rimandava, subito dopo aver espresso la comunione con la Trinità e, così, la partecipazione della liturgia terrena all’opera per il popolo compiuta dal Padre mediante il Figlio nello Spirito Santo.

Nel messale ritroviamo oggi cinque formule che sono tratte dalle lettere paoline ed una, l’ultima, da 1 Pt 1,1-2. La prima delle formule paoline ci rivela che i nuovi testi devono essere considerati varianti del Dominus vobiscum presbiterale, in quanto dal confronto con il dialogo, che nella liturgia bizantina apre la preghiera eucaristica, notiamo che la formula sintetica latina è qui sostituita con la formula ampia e complessa derivante appunto da 2Cor 13,13, che esplicita il senso del testo latino più semplice e contenuto con la formula finale della lettera. Si tratta di una benedizione triadica, che secondo gli esegeti non è una formula trinitaria in senso dogmatico. Il significato teologico che questa esprime si può così spiegare: l’amore, che ha la sua sorgente in Dio si manifesta nella potente grazia del Cristo che crea la comunione dello Spirito Santo, cioè la partecipazione personale allo Spirito di Dio e del Cristo.

La seconda formula, tratta da 1Cor 1,3, è rivolta ai santi, cioè a tutti i battezzati, che costituiscono la Chiesa quale santa convocazione, che invoca il Signore Gesù Cristo: alla comunità celebrante sono così indirizzati i beni messianici della grazia e della pace, che discendono dal Padre e dal Figlio. Beni messianici offerti che non possono non richiamare l’azione dello Spirito Santo, pertanto ancora una volta una formula trinitaria nei contenuti.

La terza delle formule paoline sta al termine della prima serie di esortazioni alla comunità. L’augurio – che qui si tratta di vero e proprio augurio – è che sia Dio Padre a dirigere i cuori dei fedeli ad una piena vita di carità (amore di Dio) mediante quella pazienza, che proviene dall’esempio lasciato da Gesù Cristo, il quale la comunica a tutti quelli che sono uniti a lui. Anche questa per i suoi contenuti si deve riconoscere come formula trinitaria.

La quarta formula paolina è tratta da Rom 15,15. Ancora una volta si tratta di un augurio alla comunità al termine del brano sul comportamento pratico della comunità. Dio dal quale deriva la speranza (cf Rom 5,5) ricolma la comunità della consapevolezza gioiosa di appartenere a lui e dell’abbondanza dei beni messianici (pace) in forza della fede della comunità stessa.

L’ultima delle formule paoline proviene da Ef 6,23, nell’epilogo della lettera, dopo le notizie personali dell’apostolo. Ad alcuni esegeti sembra una reale formula liturgica. Comunque sia questa è una benedizione che si lega bene al pensiero paolino in questa unità di pace, carità e fede che provengono dal Padre e dal Figlio e che si realizzano mediante il dono dello Spirito Santo.

L’ultima delle formule di saluto è tratta da 1 Pt1,1-2: l’inizio della lettera. Questa non è affatto un augurio, ma la costatazione di una precisa realtà. L’elezione, donata a coloro che hanno accolto la fede, è pura opera trinitaria, che si espliciterà immediatamente dopo nel testo della lettera. Ancora una volta si rivela il senso della liturgia opera del Padre mediante il Figlio nello Spirito Santo per il popolo, che risponde con fede alla chiamata.

Bisogna ora aggiungere delle precisazioni sul senso di queste formule. Nelle due augurali si sottolinea in modo particolare l’azione di Dio nei riguardi della comunità che vive di fede, azione che rende concreta e realizza la salvezza.  Le altre sono l’espressione della certezza della presenza reale di Dio all’interno della comunità di fede; non un semplice augurio, dunque, ma vera professione di fede all’inizio della celebrazione: il Signore è con voi, pertanto, trova soprattutto nelle cinque formule non augurali il suo preciso significato. Nello stesso senso va sicuramente letta la formula episcopale, di cui l’altra solo una variante. Quest’ultima, legata fin dall’inizio al testo del Gloria, manifesta, con il voluto riferimento al testo lucano (Lc 2,14) e alla tradizione giovannea sopra ricordata, la realtà di una salvezza dell’uomo nei confronti del quale si manifesta di continuo il divino beneplacito.

Questo farebbe supporre che i verbi dovrebbero essere sempre usati all’indicativo, perché non si tratta di una realtà a venire, una speranza o un augurio,  ma di un mistero già pienamente realizzato dalla Santa Trinità.

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