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“Sono pochi, Signore, quelli che si salvano?” “Cerca di entrare per la porta stretta!”

JOSEPH RATZINGER, BENEDICT VI.

GUILIO NAPOLITANO | SHUTTERSTOCK

Libreria Editrice Vaticana - pubblicato il 30/01/18

Una delle prediche tenute da Joseph Ratzinger a Pentling negli anni Ottanta e Novanta

Di seguito una delle dieci omelie inedite pubblicate dalla Libreria Editrice Vaticana e tenute da Joseph Ratzinger, oggi Papa emerito Benedetto XVI, nella chiesetta di San Giovanni a Pentling, il paesino alle porte di Ratisbona nel quale il cardinale passava gran parte delle vacanze estive e dove avrebbe voluto ritirarsi una volta che Giovanni Paolo II avesse finalmente accettato le sue dimissioni da Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

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St. Johannes Kirche, 27 agosto 1989
XXI domenica del tempo ordinario – Anno C

Seconda Lettura: Eb 12,5-7.11-13 Fratelli, avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli: “Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio”. È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire. Vangelo: Lc, 12,22-30 In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. Disse loro: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: ‘Signore, aprici!’. Ma egli vi risponderà: ‘Non so di dove siete’. Allora comincerete a dire: ‘Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze’. Ma egli vi dichiarerà: ‘Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!’. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da Oriente e da Occidente, da Settentrione e da Mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi”.  

Cari fratelli e sorelle!

Anche oggi Gesù va di città in città e di villaggio in villaggio, anche oggi ascolta le nostre domande e insegna. Nel Vangelo di questa domenica uno gli chiede: “Sono pochi, Signore, quelli che si salvano?”. Dietro questa domanda si può riconoscere la paura, la meschinità e anche lo scrupolo tipici di una parte del giudaismo al tempo di Gesù. Ci si immagina Dio come una specie di maestro di scuola severissimo che ha assegnato agli uomini dei compiti a casa che solo in pochissimi sono in grado di svolgere. Ai più invece, il quaderno della vita verrà restituito con l’annotazione: “Insufficiente!”. Ma dietro a quella domanda forse c’è anche una certa dose di presunzione di chi la pone, convinto di essere uno dei pochi a conoscere tutti i Comandamenti, che gli altri in parte nemmeno sanno, sui quali cadono, inciampano. Pensa di appartenere a questa ristretta élite, potendosi in tal modo permettere quella domanda, anzi, di più, la speranza di vivere in una piccola, eletta società.

Oggi porremmo la domanda diversamente, in realtà quasi in modo opposto. Se il Signore ci passasse accanto, gli chiederemmo: “Tu devi salvare tutti, non è vero, Signore? Non puoi mica permettere che esista un inferno! Come sarebbe conciliabile con il tuo amore? Come potresti sopportare di avere fallito per sempre e di sapere che da qualche parte nella tua creazione si soffre in eterno? Tu non lo puoi! Perché altrimenti non potremmo considerarti più Dio, e tanto meno credere al tuo amore. Dunque, non può essere”. Nella presunzione con la quale ci rivolgiamo così al Signore, c’è però anche un po’ di insicurezza. Perché tacitamente sappiamo che nella nostra vita ci sono cose che non vanno, che in realtà Dio così non ci vuole e che così non possiamo stare di fronte a lui.

Ma d’altro canto non vogliamo cambiare la nostra vita e così volgiamo lo sguardo verso gli altri e troviamo che sono tutti esattamente come noi, se non un po’ peggio, convincendoci che “no, Dio non può permettere che vada a fondo metà dell’umanità o forse anche più. Dunque la situazione non è poi così grave. E allora posso continuare a comportarmi come ho fatto sinora”. La conseguenza di un simile calcolo, che sotto sotto più o meno facciamo tutti, è che Dio in fondo non ha assolutamente nulla da dire, perché deve incarnare l’uomo buono. Egli è vincolato al suo amore. Di conseguenza, propriamente non è più Dio. Possiamo fare quello che ci pare nella nostra vita. Egli alla fine è, per così dire, condannato dal suo amore a doverci salvare.

Cosa risponde dunque Gesù a questa domanda? Perché in realtà la mentalità che sottende le due domande – quella di allora e quella di oggi – è comunque molto simile. Se leggiamo il Vangelo vediamo che egli assume la questione nel modo giusto!

Non la prende in considerazione nella forma che ha. Non risponde su cosa sarà degli altri, dei molti susseguitisi nei diversi tempi e nei diversi luoghi. Si rivolge invece direttamente a colui che chiede e gli dice cosa deve fare lui. Significa che non è affar nostro, per così dire, verificare i conti di Dio, tenere i suoi libri contabili, anticiparne i pensieri per suggerirgli cosa sia compatibile con la sua divinità e cosa no. Non ci è affidato il compito di decidere sul destino degli altri. Noi stiamo di fronte a lui e dobbiamo farci guardare da lui e permettergli di rivolgersi a noi. Gli altri sono nelle sue mani. Quello è il loro posto e là dobbiamo lasciarli. Ma a me, a ognuno di noi egli dice: “Non saranno salvati questi o quelli, piuttosto cerca con tutte le tue forze di
entrare per la porta stretta”. Gli altri appartengono a Dio, ma noi, nel guardare a lui, dobbiamo riconoscere che la nostra vita è una cosa veramente seria e che Dio veramente è Dio; che lui è il nostro Signore e che è lui che fissa il criterio in base al quale dobbiamo condurre la nostra esistenza, perché sia giusta. Se faremo questo, se non pretenderemo di decidere noi per lui cosa debba accadere degli altri, ma ci sottometteremo al suo sguardo e al criterio della sua parola, se lo lasceremo essere Dio per me e per gli altri, allora comunque vedremo che per tutto questo c’è bisogno di sforzo; che una vita giusta non viene da sé; che la via di Dio è in effetti una via stretta e la porta pare stretta; e che è molto più facile passarci a fianco; e che però solo questa via stretta è via, le altre o non sono vie o addirittura vie sbagliate. Dio non è un maestro di scuola, non è un professore, è il Signore che ci indica la via, anzi, egli stesso è la via, come dice Gesù, che ci guida sull’“alta via” della nostra vita. Quanto più camminiamo insieme, quanto più nel camminare insieme ci affidiamo a lui, tanto più vedremo che proprio questa via, come ci ha appena detto la Lettura, è la via buona, che dona pace e giustizia a noi e agli altri.

Quanto più ogni singolo, senza guardare agli altri, si sottometterà a Dio, tanto più ci presteremo reciprocamente servizio, tanto più cresceranno la pace e la giustizia. E così, nel camminare insieme al Signore, nell’affidarci a lui, crescerà l’amore per lui e la lieta certezza che egli è buono e che la sua via è la via buona.

Questa risposta che, messi da parte i nostri calcoli, ci mette davanti a lui, ora la vogliamo integrare con altri due rilievi: uno per il presuntuoso, per chi è eccessivamente sicuro di sé, e l’altro – che poi ci conduce a una frase fondamentale del Vangelo – per il timoroso. A colui che è sicuro di sé viene detto: i parametri degli uomini non sono i parametri di Dio e chi fa affidamento su di essi può avere un brusco risveglio.

I primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi. E in quel momento non potrete presentarvi dicendo: “Eppure io ho scritto interi libri su di te, so più io di te di tutti gli altri”. Oppure dire: “Ho partecipato a Sinodi e Consigli, ho deliberato questo e quello, sul mio petto porto delle onorificenze”: tutto questo non interessa. Nonostante tutte queste cose si può essere uno al quale il Signore dice: “Non so di dove vieni”. Uno che in realtà, per quanto abbia parlato su Dio, ha vissuto in quel gelo al quale si allude con l’immagine dello stridore di denti. Il fatto che questa evenienza sia molto seria, non toglie assolutamente valore alla seconda frase, anzi:
“Molti verranno, da Oriente e da Occidente, da Settentrione e da Mezzogiorno”. Se si guarda il mondo fermandosi alla superficie, potrebbe sembrare che Dio per così dire abbia perso la partita.

Chi in realtà pensa a lui? Chi lo prende sul serio? Chi in verità lo conosce? Sembrerebbe che sia già escluso dalla storia. Ma il Signore che guarda più in profondità ci dice: “No, ne ho molti, provenienti dai quattro punti cardinali. E anche se voi non lo vedete e non lo riuscite a percepire, sono molti, Dio è il vincitore, sono molti che lo cercano in silenzio, che gli appartengono. Vengono da Oriente e da Occidente, da Settentrione e da Mezzogiorno”. In questo modo non si allude solamente al mistero della Chiesa di tutti i tempi sparsa per tutta la terra che vediamo di fronte a noi come compimento di quelle parole e che deve essere il nostro costante incoraggiamento.

Infatti chi, nel momento in cui Gesù era un piccolo predicatore itinerante in uno sperduto angolo della
terra, poteva immaginare che sarebbe accaduto questo? Egli non allude solamente alla Chiesa sparsa per tutta la terra che abbraccia tutti i punti cardinali, ogni luogo e ogni tempo. Oriente e Occidente, Settentrione e Meridione è come se rappresentassero anche differenti luoghi di provenienza spirituale, professionale e umana. Da ogni luogo, dice il Signore, c’è una via che porta a me. Vengono a me e appartengono a me provenendo da tutti i ceti e mentalità, da ogni tipo di formazione. I santi che festeggiamo in questi giorni ce ne offrono un saggio.

Oggi, Agostino, uomo appassionato e audace pensatore; nei giorni scorsi due sovrani: Stefano d’Ungheria e Luigi di Francia; Rosa da Lima, nella quale sembrano concentrarsi tutte le sofferenze dell’America del Sud; Massimiliano Kolbe, il martire dell’amore per il prossimo – ci mostrano che c’è posto per tutti gli uomini: quale che siano i diversi modi in cui si trovano a vivere, le doti che posseggono, quale che sia il punto cardinale spirituale dal quale essi provengono, ognuno di essi conduce, nella gloria di Dio, alla mensa del banchetto. Questa è la speranza che il Signore con questo Vangelo ci vuole infondere nel cuore.

Da ultimo, custodendo tutto questo in noi, preghiamolo che ci liberi tanto dalla paura pusillanime quanto dalla presunzione e dalla sicurezza di sé; preghiamolo di infonderci nell’anima sia la pazienza per il cammino faticoso che la gioia piena di speranza per la sua grande mensa. Non vogliamo parlare su di lui e a lui senza trovarlo; ma vogliamo, con lui, cercare il suo volto nella fede, speranza e carità, così che un giorno, alla sua porta, siamo riconosciuti da lui e lo riconosciamo con gioia “mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28). Amen.

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