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Convalidare un matrimonio esistente: cosa significa e perché si fa?

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Briancua | CC BY SA

Luma Simms - pubblicato il 30/01/18

Il mio più grande desiderio nella vita è essere costantemente “ciglia a ciglia” con Dio

San Giovanni Paolo II in Maschio e femmina li creò dice:

La redenzione è una verità, una realtà, nel cui nome l’uomo deve sentirsi chiamato, e “chiamato con efficacia”.

E ancora:

L’uomo deve sentirsi chiamato a riscoprire, anzi, a realizzare il significato sponsale del corpo e ad esprimere in tal modo la libertà interiore del dono, cioè di quello stato e di quella forza spirituali, che derivano dal dominio della concupiscenza della carne.

Queste parole di San Giovanni Paolo II sono state per me al cuore del processo di nullità e convalida – guarigione, redenzione, purezza, dominio della concupiscenza, una comprensione più profonda del significato sponsale del corpo e della sacralità del matrimonio.

Ho scritto altrove del fatto di non poter prendere l’Eucaristia in quanto donna divorziata e risposata. Il 28 gennaio, festa di San Tommaso d’Aquino, ho celebrato il mio secondo anniversario di piena comunione con la Chiesa. Due giorni dopo, il 30 gennaio, celebro il nostro secondo anniversario di convalida.

L’aiuto della Riconciliazione

Nel periodo del processo di nullità, la Riconciliazione è stata un grande sollievo per me, anche se non potevo ricevere tutti i benefici del sacramento. La parola “Riconciliazione” deriva da vari termini latini. Il prefisso “re-” significa “ancora”, e “cilia” “ciglia”. Nella Riconciliazione torniamo a un rapporto “ciglia a ciglia” con Dio. Non riuscirò mai a scriverlo senza piangere. Il mio più grande desiderio nella vita è essere costantemente “ciglia a ciglia” con Dio, e quando ho scoperto che il mio parroco era disponibile ad ascoltare la mia confessione e a pregare con me, è diventata rapidamente una via di mortificazione del peccato e di purificazione del mio cuore e della mia anima.

Per mesi, durante il periodo di purgatorio del processo canonico di nullità, andavo lì e mi sedevo davanti al parroco. “So che lei lo sa già, ma devo ricordarle ancora una volta che non posso amministrarle il sacramento”, mi ricordava gentilmente. “Sì, padre, lo capisco. Grazie perché ascolta la mia confessione e prega con me”. E così il mio parroco mi ascoltava, mi offriva direzione spirituale e pregava con me. Anche senza assoluzione, il pieno esercizio e tutti i benefici del sacramento, Dio usava quel periodo per lavorare nel mio cuore. Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1257), “Dio ha legato la salvezza al sacramento del Battesimo, tuttavia egli non è legato ai suoi sacramenti”. “Userò misericordia con chi vorrò, e avrò pietà di chi vorrò averla”, dice Dio in Romani 9, 15.

L’abitudine che ho preso di andare a confessarmi in quel periodo pur senza entrare nella pienezza del sacramento ha allenato la mia anima ad essere più sensibile anche al minimo peccato – non con eccesso di scrupolo, ma in un modo per il quale il minimo ostacolo tra la mia anima e il mio Salvatore veniva percepito immediatamente. Questo ha portato a un desiderio di vivere sempre più conformemente a Cristo, ed è questo che mi ha aiutata – in corpo e anima – a percorrere la via della nullità.

Convalidare il nostro matrimonio in una cultura post-Obergefell

La convalida, il nome che la Chiesa dà alla sacramentalizzazione di un matrimonio esistente contratto al di fuori della supervisione cattolica, significa conferma o rafforzamento. È di questo che molti cattolici hanno bisogno proprio ora – una forte e salda comprensione di quello che è il matrimonio sacramentale. I cattolici hanno bisogno di sacerdoti fedeli che percorrano questa strada con loro.

Durante il processo di nullità e il viaggio di conversione nella Chiesa cattolica abbiamo cercato l’aiuto di sacerdoti che conoscevamo; anche il diacono assegnato ad aiutarci è stato una fonte di incoraggiamento. Il giorno in cui ho percorso la splendida navata per essere sposata sacramentalmente nella fede cattolica avevo tre sacerdoti e un diacono che mi aspettavano all’altare – convalidatori, testimoni dell’opera di grazia di Dio nella nostra vita.

Perché lo abbiamo fatto dopo 18 anni di matrimonio?

In primo luogo era ciò che la Chiesa ci chiedeva di fare; siamo convertiti dal calvinismo, e quindi abbracciare la Chiesa come autorità di Cristo sulla Terra era parte del nostro percorso, ed è stata una delle prime cose che abbiamo studiato quando abbiamo analizzato le dottrine della fede.

In secondo luogo perché il nostro matrimonio sarà un segno di contraddizione nei confronti della cultura nata dal divorzio consensuale, la cultura che ora si trova nel guazzabuglio post-Obergefell [dal nome della sentenza con cui la Corte Suprema degli Stati Uniti ha riconosciuto alle coppie dello stesso sesso la possibilità di sposarsi in tutto il territorio nazionale, n.d.t.] del matrimonio come qualsiasi cosa si voglia e solo finché chiunque implicato in esso pensa che ancora “funzioni”. Viviamo in una cultura che ha un disperato bisogno di matrimoni buoni e forti, un mondo che rinuncia al matrimonio quando diventa difficile. Ed è proprio così che veniamo santificati, ricorda San Paolo.

La cosa giusta da fare è sempre la cosa giusta da fare, anche se arriva dopo 18 anni.

In questo momento storico, ogni atto di fedeltà relativo al matrimonio conta. E così, in questo secondo anniversario della mia convalida, voglio incoraggiare tutti voi, fratelli e sorelle cattolici dalla nascita: non abbiate paura! Se avete un matrimonio complicato cercate aiuto. Il nostro è un Dio misericordioso, cercatelo. Se siete convinti che il vostro precedente matrimonio era nullo, affidatevi ai tribunali ecclesiastici; non importa quanto ci vorrà, l’attesa varrà la pena. Se vivete insieme al di fuori del matrimonio, trovate un sacerdote pieno d’amore per Cristo e per il Vangelo e fatevi aiutare. Se state raccogliendo le conseguenze di un divorzio che non volevate, aggrappatevi a Gesù, nostro Redentore, e trovate aiuto in un sacerdote e in una parrocchia. Se avete un rapporto disordinato di qualsiasi tipo vi prego di cercare aiuto e di non gettare la spugna finché non lo trovate. Non abbiate paura di soffrire. So che molte delle mie decisioni sciocche sono il risultato di un’avversione alle difficoltà e al dolore. Abbracciate i momenti difficili come una grazia di Dio. Lo dico da persona che ha affrontato molte traversie. Nolite temere!

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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