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A che punto è la situazione della Chiesa in Iraq?

FIGURA MARYI W IRAKU

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Lucandrea Massaro - Aleteia Italia - pubblicato il 24/01/18

La ritirata delle forze del Daesh sta permettendo ai cristiani di tornare e di ridare vita alla Piana di Ninive, ma ora bisogna ricostruire

Ci sono segni di grande vitalità nella piccola e martoriata comunità ecclesiale irachena. Una comunità flagellata dalla guerra civile e dal conflitto religioso generato dai tagliagole del Daesh che avevano cercato di estirpare da una delle più antiche culle del cristianesimo questa comunità. Eppure qualcosa si muove…

Un seme di speranza

Il 6 gennaio scorso sono stati celebrati ben 13 battesimi nella chiesa di San Giorgio, nel villaggio cristiano di Tellesqof, nella Piana di Ninive: 8 maschi e 5 femmine. «È stato il primo rito del genere da quando il villaggio venne occupato dalle milizie dell’Isis – afferma parroco caldeo padre Salar Kajo -: la nostra risposta alla violenza subita. Un grande segno di speranza e di gioia. Ci siamo rimessi in cammino» (RomaSette, 11 gennaio).




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Una testimonianza fortissima

La forza della comunità cristiana in Iraq si capisce dall’influenza morale che riesce ancora a mostrare anche su chi cristiano non è, come si evince da questa testimonianza: «La Chiesa irachena ha salvato la vita del piccolo Wisam» dice Aiuto alla Chiesa che Soffre, riportando le dichiarazioni di una fonte irachena che preferisce, per motivi di sicurezza, restare anonima. «La sua nascita – prosegue la nota –  è una prova evidente di quanto la presenza cristiana sia importante in queste terre».

Nadia (questo e altri nomi sono stati cambiati per ragioni di sicurezza, NdR), la madre del piccolo poco più che adolescente, è stata rapita e violentata da uomini dello Stato Islamico, come migliaia di bambine, ragazze e donne della Piana di Ninive appartenenti a minoranze etniche e religiose. Durante il periodo in cui la giovane è stata tenuta prigioniera dai jihadisti, che l’hanno ridotta ad una schiava sessuale, è rimasta incinta.

Qualche mese fa Nadia è riuscita a fuggire ed ha fatto ritorno al suo villaggio. Ma gli anziani della sua tribù, scoperto che la ragazza era incinta, hanno deciso che il bambino sarebbe stato ucciso non appena nato, giacché un figlio concepito da un membro dell’Isis non ha diritto di vivere.

Sono state alcune religiose ad accoglierla e proteggerla dalle gravi conseguenze che poteva e che può ancora comportare la sua decisione di tenere il bambino. Una volta nato, le suore si sono prese cura di Wisam nel loro orfanotrofio per un mese, finché il piccolo è stato adottato da una famiglia cristiana.

«Ho tenuto quel bambino tra le braccia ed è stata un’emozione incredibile – ha dichiarato la fonte ad ACS –  Ora la sua nuova famiglia lo farà crescere in un’atmosfera d’amore e di perdono. Ed è quanto noi cristiani stiamo riportando, giorno per giorno, in Iraq e in tutto il Medio Oriente».


Monastery of the Martyrs Mar Behnam and Marth Sarah

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Una rinascita silenziosa

Spiega Elisabetta Valgiusti, regista italianadocumentarista italiana e presidente dell’associazione “Save the monasteries” (salvaimonasteri) che rientrata a fine dicembre dalla Piana di Ninive racconta:«La scuola delle suore domenicane di Santa Caterina di Mosul ha riaperto. Pure il centro culturale San Paolo a Qaraqosh ha fatto ripartire le sue attività: il teatro per i ragazzi e i corsi di artigianato» e ancora «Sono impegnatissimi a lavorare, quelli che sono ritornati: le chiese sono state tutte ripulite e le case, quelle meno danneggiate, stanno per essere riparate» (Avvenire, 29 dicembre 2017).

C’è molto ancora da fare

La situazione è drammatica, e la ricostruzione impiegherà non meno di un decennio per dispiegare i suoi effetti ammesso che arrivino le risorse per dare opportunità e stabilità alla regione. Era questo lo scopo del grande sforzo profuso proprio da Aiuto alla Chiesa che Soffre quando, nel settembre scorso, ha riunito gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede perché la comunità internazionale si impegnasse in questo senso, aiutando e sostenendo la ricostruzione e il rientro dei profughi. Un appello a cui gli USA hanno in parte risposto, ma non la UE o almeno non ancora, come si evince da questo comunicato in cui ACS:

 “manifesta vivo apprezzamento per lo stanziamento di almeno 75 milioni di dollari da parte degli Stati Uniti d’America per agevolare il rientro degli sfollati interni, prevalentemente cristiani e yazidi, nella Piana di Ninive e nella città di Sinjar, secondo quanto affermato dall’ambasciatore Usa in Iraq, Douglas Seelman, in vista della Conferenza internazionale per la ricostruzione dell’Iraq in programma a Kuwait City a partire dal prossimo 12 febbraio”. È quanto si legge in una nota della Fondazione pontificia che in cui viene ricordato che Acs “ha auspicato un analogo impegno dei governi nazionali incontrando decine di ambasciatori accreditati presso la Santa Sede nel corso di una conferenza internazionale sulla Piana di Ninive svoltasi a Roma a fine settembre 2017 e alla quale ha partecipato anche il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin”. “Si tratta di un impegno – viene spiegato – che Acs ritiene sia dovuto ad una popolazione vittima di un genocidio che l’Onu non ha ancora avuto il coraggio di riconoscere formalmente”. Dal 2011 la Fondazione pontificia ha finanziato progetti per l’Iraq per un totale di circa 35,7 milioni di euro e in questi mesi sta procedendo nella raccolta fondi per il progetto di ricostruzione di 13mila case danneggiate o distrutte dall’Isis nei villaggi cristiani della Piana di Ninive. Il costo stimato è di oltre 250 milioni di dollari. “Convinta dell’importanza strategica della ricostruzione di quest’area dell’Iraq per garantire la stabilizzazione del Medio Oriente nel suo complesso”, Acs “auspica un maggiore coinvolgimento anche delle nazioni dell’Unione europea”. Da qui il “pressante” appello: “Per l’Iraq fate presto!”.



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