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Papa Francesco: ricercare la verità è il miglior antidoto alle fake news

VATICAN CITY

Fabrycs | Shutterstock

Alessandro Gisotti - Vatican News - pubblicato il 24/01/18

Nel Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali, Francesco: invita i giornalisti ad essere "custodi delle notizie" e a promuovere un giornalismo di pace

Serve un giornalismo che “non bruci le notizie”, ma ricerchi sempre la verità e sia sempre “impegnato a indicare soluzioni alternative alle escalation del clamore e della violenza verbale”. Nel messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, pubblicato oggi, Francesco esorta gli operatori della comunicazione a ritornare alle fondamenta della loro professione anzi “missione”, scrive il Papa: “Esseri custodi delle notizie”. Il tema del messaggio “La verità vi farà liberi. Fake news e giornalismo di pace” è di stretta attualità, eppure il Papa ricorda che già nel 1972 il suo predecessore Paolo VI aveva scelto per la Giornata delle Comunicazioni Sociali il tema dell’informazione “al servizio della verità”.

La disinformazione scredita le persone e fomenta i conflitti

Nella prima parte del Messaggio, il Papa analizza il fenomeno delle fake news. Le false notizie, osserva,  mirano a “ingannare e persino a manipolare il lettore”. E annota che a volte la loro diffusione mira a “influenzare le scelte politiche e a favorire i ricavi economici”. Oggi poi, la loro diffusione “può contare su un uso manipolatorio dei social network” che rendono “virale” le notizie false. Il dramma della disinformazione, ammonisce Francesco, è “lo screditamento dell’altro, la sua rappresentazione come nemico” che può perfino “fomentare conflitti”. E rileva che spesso affonda le sue radici “nella sete di potere” che “si muove di falsità in falsità per rubarci la libertà del cuore”.

Fake news sono basate sulla “logica del serpente”, non sono mai innocue

Tutti, esorta il Messaggio, sono chiamati a contrastare queste falsità e mette l’accento sulle “iniziative educative” che aiutano a “non essere divulgatori inconsapevoli di disinformazione, ma attori del suo svelamento”. E qui il Papa, ritornando al Libro della Genesi, osserva che alla base delle notizie false c’è la “logica del serpente” che, in un qualche modo, si rese “artefice della prima fake news”. Il tentatore, si legge nel Messaggio, “assume una parvenza credibile” e punta “sulla seduzione che si fa strada nel cuore dell’uomo con argomentazioni false e allettanti”. Proprio come le notizie false. Questo episodio biblico, riprende, mostra che “nessuna disinformazione è innocua. Anzi, fidarsi di ciò che è falso, produce conseguenze nefaste” giacché anche “una distorsione della verità in apparenza lieve può avere effetti pericolosi”.

“ Nessuna disinformazione è innocua, produce sempre conseguenze nefaste ”

La ricerca della verità è il più radicale antidoto al virus della falsità

“Chi mente a sé stesso e ascolta le proprie menzogne – scrive Francesco citando Dostoevskij, autore a lui particolarmente caro – arriva al punto di non poter più distinguere la verità”. E proprio la verità, sottolinea il Messaggio, è l’antidoto più radicale al “virus della falsità”. Quindi, allargando l’orizzonte, il Papa evidenzia che la “liberazione dalla falsità e ricerca della relazione” sono i “due ingredienti che non possono mancare perché le nostre parole e i nostri gesti siano veri, autentici, affidabili”.

Il giornalista sia “custode delle notizie”, vincendo la logica degli scoop

Le persone e non le strategie, sottolinea il Papa, sono il miglior “antidoto contro le falsità”. Persone, soggiunge, che “libere dalla bramosia, sono pronte all’ascolto e attraverso la fatica di un dialogo sincero lasciano emergere la verità”. Evidenzia così la responsabilità dei giornalisti nell’informare. Il giornalista, rimarca il Messaggio, è il “custode delle notizie” e ha il compito, “nella frenesia delle notizie e nel vortice degli scoop di ricordare che al centro della notizia non ci sono la velocità nel darla e l’impatto sull’audience, ma le persone”.

Promuovere un giornalismo di pace che crea comunione

Il Messaggio di Francesco si conclude con un accorato appello per un “giornalismo di pace”. Non si tratta, avverte, di un “giornalismo buonista, che neghi l’esistenza di problemi gravi”, ma di un giornalismo “senza infingimenti, ostile alle falsità, a slogan ad effetto e dichiarazioni roboanti”. Serve, scrive il Papa, un giornalismo “fatto da persone per le persone”, un giornalismo come “servizio”, che dia voce a chi non ha voce. Il documento si conclude con una preghiera ispirata a San Francesco. “Facci riconoscere il male che si insinua in una comunicazione che non crea comunione”, è l’invocazione del Papa, “dove c’è sensazionalismo, fa’ che usiamo sobrietà” e “dove c’è falsità, fa’ che portiamo verità”.

QUI L’ORIGINALE


DI SEGUITO IL TESTO INTEGRALE DEL MESSAGGIO DEL PAPA

«La verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Fake news e giornalismo di pace

Cari fratelli e sorelle,

nel progetto di Dio, la comunicazione umana è una modalità essenziale per vivere la comunione. L’essere umano, immagine e somiglianza del Creatore, è capace di esprimere e condividere il vero, il buono, il bello. E’ capace di raccontare la propria esperienza e il mondo, e di costruire così la memoria e la comprensione degli eventi. Ma l’uomo, se segue il proprio orgoglioso egoismo, può fare un uso distorto anche della facoltà di comunicare, come mostrano fin dall’inizio gli episodi biblici di Caino e Abele e della Torre di Babele (cfr Gen 4,1-16; 11,1-9). L’alterazione della verità è il sintomo tipico di tale distorsione, sia sul piano individuale che su quello collettivo. Al contrario, nella fedeltà alla logica di Dio la comunicazione diventa luogo per esprimere la propria responsabilità nella ricerca della verità e nella costruzione del bene. Oggi, in un contesto di comunicazione sempre più veloce e all’interno di un sistema digitale, assistiamo  al fenomeno delle “notizie false”, le cosiddette fake news: esso ci invita a riflettere e mi ha suggerito di dedicare questo messaggio al tema della verità, come già hanno fatto più volte i miei predecessori a partire da Paolo VI (cfr Messaggio 1972: “Le comunicazioni sociali al servizio della verità”). Vorrei così offrire un contributo al comune impegno per prevenire la diffusione delle notizie false e per riscoprire il valore della professione giornalistica e la responsabilità personale di ciascuno nella comunicazione della verità.

1. Che cosa c’è di falso nelle “notizie false”?

Fake news è un termine discusso e oggetto di dibattito. Generalmente riguarda la disinformazione diffusa online o nei media tradizionali. Con questa espressione ci si riferisce dunque a informazioni infondate, basate su dati inesistenti o distorti e mirate a ingannare e persino a manipolare il lettore. La loro diffusione può rispondere a obiettivi voluti, influenzare le scelte politiche e favorire ricavi economici.

L’efficacia delle fake news è dovuta in primo luogo alla loro natura mimetica, cioè alla capacità di apparire plausibili. In secondo luogo, queste notizie, false ma verosimili, sono capziose, nel senso che sono abili a catturare l’attenzione dei destinatari, facendo leva su stereotipi e pregiudizi diffusi all’interno di un tessuto sociale, sfruttando emozioni facili e immediate da suscitare, quali l’ansia, il disprezzo, la rabbia e la frustrazione. La loro diffusione può contare su un uso manipolatorio dei social network e delle logiche che ne garantiscono il funzionamento: in questo modo i contenuti, pur privi di fondamento, guadagnano una tale visibilità che persino le smentite autorevoli difficilmente riescono ad arginarne i danni.

La difficoltà a svelare e a sradicare le fake news è dovuta anche al fatto che le persone interagiscono spesso all’interno di ambienti digitali omogenei e impermeabili a prospettive e opinioni divergenti. L’esito di questa logica della disinformazione è che, anziché avere un sano confronto con altre fonti di informazione, la qual cosa potrebbe mettere positivamente in discussione i pregiudizi e aprire a un dialogo costruttivo, si rischia di diventare involontari attori nel diffondere opinioni faziose e infondate. Il dramma della disinformazione è lo screditamento dell’altro, la sua rappresentazione come nemico, fino a una demonizzazione che può fomentare conflitti. Le notizie false rivelano così la presenza di atteggiamenti al tempo stesso intolleranti e ipersensibili, con il solo esito che l’arroganza e l’odio rischiano di dilagare. A ciò conduce, in ultima analisi, la falsità.

2. Come possiamo riconoscerle?

Nessuno di noi può esonerarsi dalla responsabilità di contrastare queste falsità. Non è impresa facile, perché la disinformazione si basa spesso su discorsi variegati, volutamente evasivi e sottilmente ingannevoli, e si avvale talvolta di meccanismi raffinati. Sono perciò lodevoli le iniziative educative che permettono di apprendere come leggere e valutare il contesto comunicativo, insegnando a non essere divulgatori inconsapevoli di disinformazione, ma attori del suo svelamento. Sono altrettanto lodevoli le iniziative istituzionali e giuridiche impegnate nel definire normative volte ad arginare il fenomeno, come anche quelle, intraprese dalle tech e media company,atte a definire nuovi criteri per la verifica delle identità personali che si nascondono dietro ai milioni di profili digitali.

Ma la prevenzione e l’identificazione dei meccanismi della disinformazione richiedono anche un profondo e attento discernimento. Da smascherare c’è infatti quella che si potrebbe definire come “logica del serpente”, capace ovunque di camuffarsi e di mordere. Si tratta della strategia utilizzata dal «serpente astuto», di cui parla il Libro della Genesi, il quale, ai primordi dell’umanità, si rese artefice della prima “fake news” (cfr Gen 3,1-15), che portò alle tragiche conseguenze del peccato, concretizzatesi poi nel primo fratricidio (cfr Gen 4) e in altre innumerevoli forme di male contro Dio, il prossimo, la società e il creato. La strategia di questo abile «padre della menzogna» (Gv 8,44) è proprio la mimesi, una strisciante e pericolosa seduzione che si fa strada nel cuore dell’uomo con argomentazioni false e allettanti. Nelracconto del peccato originale il tentatore, infatti, si avvicina alla donna facendo finta di esserle amico, di interessarsi al suo bene, e inizia il discorso con un’affermazione vera ma solo in parte: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?”» (Gen 3,1). Ciò che Dio aveva detto ad Adamo non era in realtà di non mangiare di alcun albero, ma solo di un albero: «Dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare» (Gen 2,17). La donna, rispondendo, lo spiega al serpente, ma si fa attrarre dalla sua provocazione: «Del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”» (Gen 3,2). Questa risposta sa di legalistico e di pessimistico: avendo dato credibilità al falsario, lasciandosi attirare dalla sua impostazione dei fatti, la donna si fa sviare. Così, dapprima presta attenzione alla sua rassicurazione: «Non morirete affatto» (v. 4). Poi la decostruzione del tentatore assume una parvenza credibile: «Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male» (v. 5). Infine, si giunge a screditare la raccomandazione paterna di Dio, che era volta al bene, per seguire l’allettamento seducente del nemico: «La donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile» (v. 6). Questo episodio biblico rivela dunque un fatto essenziale per il nostro discorso: nessuna disinformazione è innocua; anzi, fidarsi di ciò che è falso, produce conseguenze nefaste. Anche una distorsione della verità in apparenza lieve può avere effetti pericolosi.

In gioco, infatti, c’è la nostra bramosia. Le fake news diventano spesso virali, ovvero si diffondono in modo veloce e difficilmente arginabile, non a causa della logica di condivisione che caratterizza i social media, quanto piuttosto per la loro presa sulla bramosia insaziabile che facilmente si accende nell’essere umano. Le stesse motivazioni economiche e opportunistiche della disinformazione hanno la loro radice nella sete di potere, avere e godere, che in ultima analisi ci rende vittime di un imbroglio molto più tragico di ogni sua singola manifestazione: quello del male, che si muove di falsità in falsità per rubarci la libertà del cuore. Ecco perché educare alla verità significa educare a discernere, a valutare e ponderare i desideri e le inclinazioni che si muovono dentro di noi, per non trovarci privi di bene “abboccando” ad ogni tentazione.

3. «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32)

La continua contaminazione con un linguaggio ingannevole finisce infatti per offuscare l’interiorità della persona. Dostoevskij scrisse qualcosa di notevole in tal senso: «Chi mente a sé stesso e ascolta le proprie menzogne arriva al punto di non poter più distinguere la verità, né dentro di sé, né intorno a sé, e così comincia a non avere più stima né di sé stesso, né degli altri. Poi, siccome non ha più stima di nessuno, cessa anche di amare, e allora, in mancanza di amore, per sentirsi occupato e per distrarsi si abbandona alle passioni e ai piaceri volgari, e per colpa dei suoi vizi diventa come una bestia; e tutto questo deriva dal continuo mentire, agli altri e a sé stesso» (I fratelli Karamazov, II, 2).

Come dunque difenderci? Il più radicale antidoto al virus della falsità è lasciarsi purificare dalla verità. Nella visione cristiana la verità non è solo una realtà concettuale, che riguarda il giudizio sulle cose, definendole vere o false. La verità non è soltanto il portare alla luce cose oscure, “svelare la realtà”, come l’antico termine greco che la designa, aletheia (da a-lethès, “non nascosto”), porta a pensare. La verità ha a che fare con la vita intera. Nella Bibbia, porta con sé i significati di sostegno, solidità, fiducia, come dà a intendere la radice ‘aman, dalla quale proviene anche l’Amen liturgico. La verità è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere. In questo senso relazionale, l’unico veramente affidabile e degno di fiducia, sul quale si può contare, ossia “vero”, è il Dio vivente. Ecco l’affermazione di Gesù: «Io sono la verità» (Gv14,6). L’uomo, allora, scopre e riscopre la verità quando la sperimenta in sé stesso come fedeltà e affidabilità di chi lo ama. Solo questo libera l’uomo: «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32).

Liberazione dalla falsità e ricerca della relazione: ecco i due ingredienti che non possono mancare perché le nostre parole e i nostri gesti siano veri, autentici, affidabili. Per discernere la verità occorre vagliare ciò che asseconda la comunione e promuove il bene e ciò che, al contrario, tende a isolare, dividere e contrapporre. La verità, dunque, non si guadagna veramente quando è imposta come qualcosa di estrinseco e impersonale; sgorga invece da relazioni libere tra le persone, nell’ascolto reciproco. Inoltre, non si smette mai di ricercare la verità, perché qualcosa di falso può sempre insinuarsi, anche nel dire cose vere. Un’argomentazione impeccabile può infatti poggiare su fatti innegabili, ma se è utilizzata per ferire l’altro e per screditarlo agli occhi degli altri, per quanto giusta appaia, non è abitata dalla verità. Dai frutti possiamo distinguere la verità degli enunciati: se suscitano polemica, fomentano divisioni, infondono rassegnazione o se, invece, conducono ad una riflessione consapevole e matura, al dialogo costruttivo, a un’operosità proficua.

4. La pace è la vera notizia

Il miglior antidoto contro le falsità non sono le strategie, ma le persone: persone che, libere dalla bramosia, sono pronte all’ascolto e attraverso la fatica di un dialogo sincero lasciano emergere la verità; persone che, attratte dal bene, si responsabilizzano nell’uso del linguaggio. Se la via d’uscita dal dilagare della disinformazione è la responsabilità, particolarmente coinvolto è chi per ufficio è tenuto ad essere responsabile nell’informare, ovvero il giornalista, custode delle notizie. Egli, nel mondo contemporaneo, non svolge solo un mestiere, ma una vera e propria missione. Ha il compito, nella frenesia delle notizie e nel vortice degli scoop, di ricordare che al centro della notizia non ci sono la velocità nel darla e l’impatto sull’audience, ma le persone. Informare è formare, è avere a che fare con la vita delle persone. Per questo l’accuratezza delle fonti e la custodia della comunicazione sono veri e propri processi di sviluppo del bene, che generano fiducia e aprono vie di comunione e di pace.

Desidero perciò rivolgere un invito a promuovere un giornalismo di pace, non intendendo con questa espressione un giornalismo “buonista”, che neghi l’esistenza di problemi gravi e assuma toni sdolcinati. Intendo, al contrario, un giornalismo senza infingimenti, ostile alle falsità, a slogan ad effetto e a dichiarazioni roboanti; un giornalismo fatto da persone per le persone, e che si comprende come servizio a tutte le persone, specialmente a quelle – sono al mondo la maggioranza – che non hanno voce; un giornalismo che non bruci le notizie, ma che si impegni nella ricerca delle cause reali dei conflitti, per favorirne la comprensione dalle radici e il superamento attraverso l’avviamento di processi virtuosi; un giornalismo impegnato a indicare soluzioni alternative alle escalation del clamore e della violenza verbale.

Per questo, ispirandoci a una preghiera francescana, potremmo così rivolgerci alla Verità in persona:

Signore, fa’ di noi strumenti della tua pace.

Facci riconoscere il male che si insinua in una comunicazione che non crea comunione.

Rendici capaci di togliere il veleno dai nostri giudizi.

Aiutaci a parlare degli altri come di fratelli e sorelle.

Tu sei fedele e degno di fiducia; fa’ che le nostre parole siano semi di bene per il mondo:

dove c’è rumore, fa’ che pratichiamo l’ascolto;

dove c’è confusione, fa’ che ispiriamo armonia;

dove c’è ambiguità, fa’ che portiamo chiarezza;

dove c’è esclusione, fa’ che portiamo condivisione;

dove c’è sensazionalismo, fa’ che usiamo sobrietà;

dove c’è superficialità, fa’ poniamo interrogativi veri;

dove c’è pregiudizio, fa’ che suscitiamo fiducia;

dove c’è aggressività, fa’ che portiamo rispetto;

dove c’è falsità, fa’ che portiamo verità.

Dal Vaticano, 24 gennaio 2018

Memoria di San Francesco di Sales

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