La grande opera dello scultore realizzata per la Cappella Cornaro nella straordinaria analisi di Irving Lavin
1/ L’unità compositiva e concettuale della Cappella Cornaro
Irving Lavin, più di ogni altro, ha colto la potenza unitaria della progettazione della Cappella Cornaro. Per Bernini non si trattò solo dell’utilizzo unitario dell’architettura, della scultura e della pittura. Non si trattò solo dell’armonica disposizione di tecniche espressive diverse – dall’affresco alle realizzazioni in stucco, dal sistema di illuminazione naturale alle sculture in bassorilievo o in rilievo, dalle parti pavimentali in intarsi lapidei al bronzo dorato del paliotto dell’altare.
Si trattò, invece, ben più profondamente, di un unità concettuale che Bernini dispiegò nella Cappella stessa, di modo che ogni particolare acquista senso solo nell’insieme.
L’unità artistica e concettuale dell’intera Cappella dal cartiglio retto dagli angeli in alto al pavimento con gli scheletri oranti
L’unità tematica appare subito se solo ci si sofferma su aspetti della Cappella spesso nemmeno citati da tanti commentatori.
Basti pensare al cartiglio in alto, recato dagli angeli berniniani, con l’iscrizione che è la chiave di volta dell’intera composizione: “Nisi coelum creassem ob te solam crearem” (“Se non avessi creato il cielo, per te sola [Teresa] lo creerei”), che è un’espressione che la santa spagnola si sentì ripetere dallo stesso Gesù apparsogli in visione. Tutta la Cappella è illuminata da questo annunzio: Teresa entra in Paradiso, il Cristo ama Teresa e la vuole in Paradiso.
L’iscrizione recata dagli angeli che è il “titolo” conferito dl Bernini alla Cappella Cornaro
Ma se ci si volge in basso, ecco che anche qui tutto rimanda ad un unico messaggio. Se si guarda al pavimento, infatti, subito si vede che Bernini vi ha realizzato in intarsi lapidei due scheletri che emergono dall’aldilà, uno con le mani giunte della preghiera e l’altro con il gesto, anch’esso orante, delle braccia aperte, quasi a dire che l’ingresso in cielo di Teresa è accompagnato da quello dei defunti per i quali lei intercede.
È come se il pavimento berniniano della cappella – afferma Lavin – divenisse «il limite superiore del mondo sotterraneo»[1]. La rappresentazione degli scheletri non è più minacciosa come in altre opere barocche – anche dello stesso Bernini – bensì è annuncio di resurrezione: quelle che si vedono sul pavimento sono persone scarnificate dalla more che però emergono dalla terra per riprendere la carne, secondo la profezia di Ezechiele e la promessa della resurrezione, per entrare al seguito di Cristo e di Teresa nella resurrezione della carne.
Gli schelestri oranti in intarsi lapidei del pavimento
Si pensi poi agli angeli dell’arco di ingresso della Cappella che stanno disponendo ghirlande: è come se la decorazione della Cappella venisse realizzata dagli angeli nel momento stesso in cui lo spettatore vi giunge: quelle ghirlande vengono disposte, come in ogni matrimonio, per celebrare le nozze di Teresa con Gesù. È come se il suo ingresso nuziale in cielo fosse «ancora in corso»[2] in quel preciso momento e gli abbellimenti del luogo accompagnassero l’evento, come in un work in progress.
Similmente gli otto rappresentanti della famiglia Cornaro che vengono scolpiti dal Bernini ai lati della Cappella appartengono non solo ad una precisa disposizione estetica, ma anche a quella concettuale e teologica dell’insieme. Il cardinale Federico Cornaro, amico di Urbano VIII e dei carmelitani, aveva concesso agli scalzi un primo convento in Venezia quando era divenuto patriarca della città lagunare. Una volta scelta quella cappella della chiesa di Santa Maria della Vittoria, officiata dai carmelitani scalzi, come propria cappella funeraria[3], volle essere ritratto dallo scultore insieme al padre Giovanni – che si vede con la berretta da Doge veneziano, poiché quella fu la carica più alta che ricoprì. Ma volle che insieme a loro venissero ritratti anche gli altri sei familiariche, nel corso della vita della famiglia, erano divenuti cardinali.
Il palchetto con il cardinal Federico Cornaro che guarda verso lo spettatore
Tre degli otto personaggi ritratti sono rappresentati come rivolti verso l’estasi di Teresa e verso l’altare dove si celebra l’eucarestia, quasi fossero partecipi della visione della morte estatica della santa e, insieme, della celebrazione eucaristica.
Gli altri cinque dialogano fra di loro, alla destra e alla sinistra della stessa visione: si parlano non per disputarne, ma per dialogarne serenamente[4].
Fra di essi, il cardinale Federico si volge verso i visitatori che si avvicinano e li guarda, quasi invitando anch’essi alla visione – è il ritratto più caratterizzato fra gli altri, il secondo dall’arco di ingresso, alla destra della Cappella.
Lavin sottolinea come il ruolo dato dal Bernini agli otto personaggi, non più ritratti come busti bensì come persone vive, sia quello di testimoni simili a quelli che dovettero deporre nel processo appena terminato per la canonizzazione della santa nel 1622 (su cui si tornerà più avanti): i Cornaro attestano che veramente Teresa morì in estasi, celebrando le nozze con il Cristo.
Fondamentale poi, in tale concezione unitaria della cappella, è l’illuminazione non diffusa, ma piovente dall’alto – luce allora non stravolta da alcuna luce elettrica. Essa è ottenuta tramite l’oculo sopra la scultura. Essa è accompagnata dalla discesa della colomba dello Spirito Santo e dai raggi dorati che concretizzano la luce reale del sole. L’utilizzo di diverse tipologie di materiali artistici – l’architettura che orienta la luce naturale, la pittura della colomba dello Spirito, la realizzazione in scultura dei raggi – uniscono le arti: ma i diversi materiali intendono sottolineare l’unico evento, quello della discesa della grazia di Dio, rappresentata in maniera multiforme appunto, che viene incontro alla santa al momento dell’estasi.
L’affresco con la colomba dello Spirito Santo, la luce che entra dall’oculo e i raggi dorati che si compongono in unità
In alto, poi, gli stucchi dipinti collegano, nella concezione unitaria data dal Bernini alla Cappella, la terra al cielo, con gli angeli musicanti che gioiscono delle nozze di Teresa con il Cristo e recano i libri con i quali la santa ha reso gloria a Dio e illuminato gli uomini sul cammino da seguire per giungere a lui.
Bernini scolpì anche quattro bassorilievi, che emergono in alto e contribuiscono alla presentazione di Teresa al visitatore con le seguenti scene:
-Teresa che insieme al fratello minore decide di partire verso i Mori per essere da loro martirizzata e rendere gloria a Dio
-Teresa con gli strumenti della penitenza che mostra inginocchiata le proprie ferite al Cristo crocifisso
-L’apparizione di Cristo a Teresa che la ringrazia per il bene che la santa ha fatto a Maria, la Madonna
-Le nozze mistiche di Cristo con Teresa che le regala un chiodo della croce.
In questi quattro riquadri non sono esaltate, come pure sarebbe stato legittimo, le “opere” di Teresa – come, ad esempio, i monasteri da lei fondati o la riforma da lei guidata. Si racconta invece della sua esperienza intima e interiore di comunione con il Cristo, esperienza cui appartenne l’estasi d’amore che è rappresentata dalla scultura al centro.
2/ La trasverberazione viene rappresentata alla luce del Cantico dei Cantici: per Bernini ben più di Cupido che trafigge l’innamorata, l’amore di Cristo fa soffrire e gioire Teresa
«La […] grande innovazione del Bernini nel trattare la trasverberazione, cioè il contenuto sensuale, è stata argomento di una controversia senza fine. La visione di Teresa è stata interpretata anche come erotismo indotto per isteria, e già ai suoi tempi il Bernini fu accusato di avere svilito la trasverberazione riducendola su un piano volgarmente fisico. Un suo contemporaneo lo condannò perché “tirò poi quella Vergine purissima in terra… non solo prostrata (notando anch’egli che non era in ginocchio!), ma prostituita”. Fosse o no Teresa isterica e fosse o no il Bernini volgare, dal gruppo emana un erotismo fisico che i ben intenzionati apologisti hanno torto a negare. Secondo una tradizione millenaria, sorta con il biblico Cantico dei Cantici, i mistici ricorrevano al vocabolario dell’amore fisico nello sforzo di trasmettere agli altri i loro sentimenti: la comunione con Dio è come la comunione con l’essere amato, solo moltiplicata più e più volte. La stessa Teresa sottolineava la componente puramente fisica dell’esperienza. Descrivendo la trasverberazione, afferma che, pur essendo spirituale e non fisica la dolce pena da lei sofferta, anche il corpo vi aveva parte, anzi una grande parte – sono le sue parole. La visualizzazione del Bernini si può spiegare in parte con il racconto di Teresa, estremamente vivido»[5].
L’estasi amorosa di Teresa
Così Lavin presenta, con grande precisione, la più grande delle innovazioni che lo scultore introduce nella rappresentazione dell’estasi di Santa Teresa.
Lavin ricorda in proposito che già la tradizione pagana aveva grande familiarità con Cupido che trafigge con frecce d’amore il cuore dell’innamorata. Quelle frecce già nell’iconografia pagana indicavano la capacità dell’amore di raggiungere il cuore, sconvolgendolo di gioia e diletto e producendo al contempo quel dolore di chi è ferito per il bisogno assoluto della presenza dell’amato.
L’angelo e la sua freccia
Ma Lavin, subito, eleva tale parallelismo ricordando che il Cantico dei Cantici, fin nell’interpretazione ebraica, è stato letto come raccolta di versi dell’amata e dell’amante, ma al contempo come descrizione dell’esperienza del desiderio di unione dell’anima con Dio: Teresa è consapevole nei suoi scritti di vivere l’esperienza d’amore del Cantico dei Cantici. Scrive molto bene Lavin nel testo appena citato: «La comunione con Dio è come la comunione con l’essere amato, solo moltiplicata più e più volte».
Non quindi in Bernini rappresentazione di un presunto isterismo della santa e nemmeno l’utilizzo di un contesto sacro per la rappresentazione di un erotismo fine a se stesso. Invece, la precisa e voluta rappresentazione della partecipazione del corpo alla gioia spirituale dell’incontro con Dio.
Teresa descrive testualmente nella sua autobiografia l’esperienza mistica da lei vissuta: «L’anima si duole per l’assenza di Dio, ma non è lei che ne procura la pena, bensì una certa saetta che di quando in quando le penetra il cuore e le viscere così al vivo, da lasciarla come incapace di fare e di volere alcuna cosa. Capisce solo che vuole il suo Dio e che il dardo da cui è ferita pare temprato con l’essenza di un’erba che le fa odiare se stessa per amore di Dio, in servizio del quale sacrificherebbe volentieri la propria vita. È inesprimibile il modo con cui Dio ferisce l’anima. Il tormento è così vivo che l’anima esce fuori di sé, benché insieme sia tanto dolce da non poter essere paragonato ad alcun piacere sulla terra. Perciò, come ho detto, l’anima vorrebbe star sempre morendo per la forza di quel male. […] Lo spasimo della ferita era così vivo che mi faceva uscire nei gemiti […], ma insieme pure tanto dolce da impedirmi di desiderarne la fine e di cercare altro diversivo fuori che Dio. Benché non sia un dolore fisico ma spirituale, vi partecipa un poco anche il corpo, anzi molto. Allora tra l’anima e Dio passa come un soavissimo idillio»[6].
Teresa racconta in questo brano di quell’esperienza vissuta da diversi santi e sante che viene detta dai maestri spirituali “trasverberazione” (dal latino “verberatio”, “colpo”, “ferita”, con la preposizione “trans”, cioè “che attraversa”): è l’essere toccati e come attraversati dall’amore di Dio che ferisce e dona una dolcezza che nessun amore al mondo potrebbe mai donare[7].
Lavin sottolinea come Bernini rappresenti l’angelo con un sorriso radioso: egli ispira simpatia, come uno che sappia cosa sta compiendo. L’angelo sa di essere portavoce, tramite il suo dardo, dell’amore stesso di Dio che si fa incontro a Teresa[8].
L’uomo che dimentica cosa sia l’amore e il piacere spirituale non può comprendere cosa sia l’estasi di santa Teresa e perché Bernini la rappresenti proprio così. Ne potrà dare un’interpretazione psicoanalitica o ne tratterà come di un turbamento sessuale, ma sarà incapace di comprendere che esiste nei mistici un amore elevato alla massima potenza, donato dalla grazia, e che un artista come Bernini è capace di dargli forma scultorea.
Sant’Agostino ha scritto con rara profondità sull’esistenza del piacere spirituale della comunione con Dio e di come essa attiri l’anima dell’uomo: «Forse che i sensi del corpo hanno i loro piaceri e l’anima non dovrebbe averli? […] Dammi uno che ami, e capirà quello che sto dicendo. Dammi uno che arda di desiderio, uno che abbia fame, che si senta pellegrino e assetato in questo deserto, uno che sospiri alla fonte della patria eterna, dammi uno che sperimenti dentro di sé tutto questo ed egli capirà la mia affermazione. Se, invece, parlo ad un cuore freddo e insensibile, non potrà capire ciò che dico. Tu mostri ad una pecora un ramoscello verde e te la tiri dietro. Mostri ad un fanciullo delle noci, ed egli viene attratto e là corre dove si sente attratto: è attirato dall’amore, è attirato senza subire costrizione fisica; è attirato dal vincolo che lega il cuore. Se, dunque, queste delizie e piaceri terreni, presentati ai loro amatori, esercitano su di loro una forte attrattiva – perché rimane sempre vero che ciascuno è attratto dal proprio piacere – come non sarà capace di attrarci Cristo, che ci viene rivelato dal Padre? Che altro desidera più ardentemente l’anima, se non la verità?»[9].
Teresa – d’accordo con sant’Agostino – specifica che tale piacere spirituale, tutto intimo e profondo, in realtà tocca anche il corpo che ne partecipa. Scrive proprio a proposito della trasverberazione, come si è già detto: «Benché non sia un dolore [e un diletto] fisico ma spirituale, vi partecipa un poco anche il corpo, anzi molto»[10].
Bernini dovette leggere personalmente i testi della santa spagnola, meditandoli per poterli tradurre in scultura, ma ebbe certamente anche come ispiratore papa Urbano VIII che amava molto santa Teresa d’Avila che era appena stata canonizzata il 12 marzo 1622 da Gregorio XV, suo immediato predecessore[11].
Urbano VIII, che era anche scrittore e poeta, appena divenuto papa volle comporre personalmente gli inni liturgici per le celebrazioni del Breviario in onore di santa Teresa[12].
L’inno del Mattutino recita:
«E [Teresa] ode la voce dello Sposo: «Vieni, o sorella, dalla cima del Carmelo alle nozze dell’Agnello; vieni alla corona di gloria». Te, o Gesù sposo, adorino le beate schiere delle vergini e [ti] lodino per tutti i secoli con un cantico di nozze. Amen»[13],
dove l’eco del Cantico dei cantici – che chiama l’amata “sorella” – si unisce alla terminologia neotestamentaria della “sposa dell’Agnello”.
Come si vedrà fra breve, anche l’inno per i primi vespri composto da papa Urbano VIII fa propria la terminologia dell’amore sponsale fra Teresa e Gesù Cristo.
3/ La seconda innovazione del Bernini nella raffigurazione dell’estasi teresiana: la santa è rappresentata nell’atto di morire
La seconda innovazione iconografica del Bernini è stata quella di rappresentare Teresa sdraiata, perché in punto di morte. Anche qui è Lavin a sottolinearlo. Egli ricorda come Teresa nell’esperienza della trasverberazione e dell’estasi fosse sempre stata rappresentata in ginocchio, spesso con un libro di preghiere aperto, anche con un intento didattico e devozionale, a ricordare l’importanza decisiva di quell’esperienza unica che è la comunione con Dio nella preghiera.
Nell’estasi di Santa Maria delle Vittoria, invece, il cherubino è saldamente in piedi, mentre la santa è sdraiata all’indietro. Le sue palpebre – sottolinea Lavin – sono pesantemente calate, chiuse, come avviene di una persona che sta per lasciare questa terra.
La morte d’amore di Teresa
Inoltre Teresa è rappresentata molto giovane e molto bella, proprio come le fonti attestano fosse divenuta in punto di morte, nonostante fosse ormai settantenne e anche da giovane non fosse particolarmente attraente.
Della morte di Teresa[14] non abbiamo ovviamente un racconto autobiografico, bensì è suor Anna di San Bartolomeo, la più vicina collaboratrice della santa e sua segretaria, a raccontare quell’evento:
«Da due giorni non mi staccavo un momento da lei. Chiedevo alle monache che mi portassero quello che mi occorreva, e io glielo davo, perché, standomene lì, vedevo di farle piacere. Il giorno in cui morì, stette fin dal mattino senza poter parlare. Alla sera, il p. Antonio di Gesù che l’assisteva, mi ordinò di andare a mangiare qualche cosa. Essendomene andata, la Santa non stava ferma guardava qua e là. Il Padre le chiese se desiderasse di me. Fece dei segni che volevano dire di sì. Mi chiamarono subito, e quando mi vide, sorrise, mi mostrò grazia e amore, prese le mie mani fra le sue e posò la sua testa fra le mie braccia. La tenni così finché spirò restando io più morta di lei. Era così accesa di amore che pareva non vedesse l’ora di uscire dal corpo per andare dal suo Sposo. Il Signore, vedendo la mia poca pazienza nel sopportare tanto dolore, mi si dette a vedere ai piedi del letto. Era circonfuso di maestà e veniva in compagnia dei beati a prendere l’anima della sua serva. Questa visione gloriosissima durò soltanto il tempo di un Credo, ma valse a cambiare la mia pena in una grande rassegnazione, tanto che subito domandai a Dio perdono dicendogli: “Signore, anche se per mia consolazione Vostra Maestà volesse lasciarmela, ora che ho visto la sua gloria, vi chiedo di non lasciarla neppure un istante”. Appena terminate queste parole, ella placidamente spirò e a guisa di colomba andò a godere il suo Dio»[15].
I testimoni raccontano anche che un albero inaridito, situato sotto la finestra della cella, si ricoprì di fiori, mentre una luce straordinaria illuminò nella notte il tetto del monastero.
Bernini si ispira ai resoconti della morte di Teresa. Ma non solo ad essi: infatti, il collegamento fra l’estasi e la morte era presente ancora una volta negli inni composti da papa Urbano VIII ed in particolare in quello composto per la vigilia.
Nell’inno del vespro si dice infatti: «Messaggera del Re celeste, lasci la casa paterna, per dare Cristo o il sangue alle terre barbare, Teresa[16]. Ma ti attende una morte più dolce, [ti] reclama una pena più dolce: cadrai, ferita da un dardo d’amore divino. O vittima della carità, brucia i nostri cuori e libera dal fuoco dell’inferno le genti che si affidano a te. Te, o Gesù sposo, adorino le beate schiere delle vergini e [ti] lodino per tutti i secoli con un cantico di nozze. Amen»[17].
Anche qui si vede come Bernini intendeva farsi portavoce della visione spirituale di papa Urbano VIII su Teresa. Non solo, ma, così facendo, riuscì a portare all’estremo iconografico quella tensione fra dolore e piacere che è tipica non solo di ogni passione amorosa, ma ancor più di ogni vera esperienza mistica, proprio come nel Cantico dei Cantici dove l’amata è “ferita d’amore”.
Scrive Lavin:
«La posizione sdraiata di Teresa allude a uno degli episodi più rilevanti della sua biografia, la morte. L’associazione fra estasi e morte era endemica nella tradizione mistica: il dolore dell’amore spirituale era concepito come una ferita, e la ferita era mortale. La vita di chi amava spiritualmente era difatti un continuo morire, e la morte vera diveniva l’unione definitiva tra amante e essere amato. Questa convinzione era insita nei resoconti dei testimoni delle ultime ore di Teresa, la cui morte fu essa stessa un evento miracoloso. Miracoloso perché accompagnato da fenomeni soprannaturali – Teresa a un tratto si fece giovane e bella, pur essendo quasi settantenne e comunque di aspetto notoriamente modesto; benché fosse una giornata buia, una luce splendente si diffuse intorno; un albero, da lungo tempo rinsecchito, si coprì di fiori; apparve Cristo, con la Vergine e San Giuseppe; e una colomba bianca fu vista uscire dal corpo della santa e volare verso il cielo. La morte di Teresa fu miracolosa anche perché non derivò da cause naturali, per quanto la malattia ne avesse indebolito il fisico. Ella morì invece in estasi, in un trasporto di spirituale amore di Dio, durante il quale pronunciò parole di affetto per il suo Sposo e con gioia donò il suo spirito. Le prove di ciò furono date non solo dai testimoni, ma anche dalla precedente predizione della stessa Teresa e dalla sua conferma successiva, in un’apparizione alle consorelle del convento. Il ritenere la sua morte un fatto soprannaturale divenne convinzione canonica e fu incluso negli atti e nelle bolle ufficiali della sua canonizzazione oltre alle letture del suo ufficio. Nell’incisione dedicata alla sua morte della biografia illustrata pubblicata da Collaert e Galle per la sua beatificazione, la santa è distesa sul letto di morte con una croce in mano; in alto appaiono Cristo, con la Vergine e San Giuseppe, e la colomba che vola verso di Lui. La didascalia si richiama specificamente al carattere di estasi della morte: «Ella fu ferita dalla più fervida forza d’amore». In altre parole, Teresa era una martire, non nel senso fisico del morire per la fede, ma nel senso spirituale del morire della sua fede»[18].
Scrive ancora Lavin: «Gli inni [di Urbano VIII ] dunque congiungono il tema generale della ferita d’amore sia al concetto della morte di Teresa come una sorta di martirio, sia alla precisa identificazione della sua morte con la trasverberazione. Chiaramente il filo connettivo era il “sacrificio” di Teresa, mediante il quale l’umanità in genere può ottenere la salvezza: è anche chiaro che per Urbano il motivo di stabilire quella connessione era proprio lo scopo liturgico degli inni»[19].
Bernini, a partire da quelle intuizioni, volle rendere il visitatore della Cappella Cornaro e il devoto di Santa Teresa spettatore di tale evento, come in un teatro dove i due protagonisti, l’angelo e la santa che muore[20], non guardano allo spettatore, mentre è quest’ultimo a poter assistere non visto da loro a ciò che avvenne al momento del trapasso di Teresa:
«La fusione dei due temi stabilita da Urbano VIII aveva reso universale l’esperienza di Teresa, e quindi pertinente alle funzioni religiose e funerarie di una cappella; il potere di intercedere per l’umanità veniva a Teresa dal suo amore sacrificale. Unendo visivamente la trasverberazione e la morte, il Bernini fece della sua pala d’altare non una illustrazione emblematica, bensì una recita, un’analogia vivente della liturgia di Santa Teresa»[21].
In sintesi si potrebbe dire che il “morire d’amore” che è proprio di ogni esperienza amorosa, dove chi ama offre la vita per l’amato, viene elevato alla massima potenza nell’esperienza mistica: l’amata vuole donarsi interamente, fino a offrire la vita, al Cristo, unendosi al suo sacrificio sulla croce.
Scrive in proposito ancora Lavin:
«Il Bernini accentuò molto più di ogni suo predecessore l’aspetto fisico dell’esperienza di Teresa. Aveva un motivo particolare per farlo, e precisamente il concetto secondo cui trasverberazione e morte rappresentano il matrimonio di Teresa con Cristo. La metafora del matrimonio era infatti essenziale nell’idea di unione mistica. Teresa stessa l’aveva formulata più volte in questi termini e, al momento della morte, si era rivolta al suo Signore come allo sposo a cui ora si sarebbe unita. “Oh, Señor mío y Esposo mío que ya es llegada la hora tan deseada; tiempo es que nos juntemos”»[22].
E, con l’aiuto dell’Inno liturgico scritto da papa Urbano VIII, Lavin commenta:
«Queste associazioni hanno radice negli inni liturgici di Urbano VIII: la trasverberazione vi è detta una «più dolce morte» e si invoca Teresa come vittima d’amore – “charitatis victima”; il giorno a lei dedicato è il giorno in cui ella udì la voce dello sposo chiamarla a congiungersi in matrimonio con l’Agnello e a ricevere la corona della gloria. La pala del Bernini celebra la consumazione di queste nozze divine. Anzi si potrebbe dire che l’intento principale dell’artista, nel creare la cappella, fosse di illustrare il rapporto fra l’amore come esperienza personale e l’amore come principio teologico, vale a dire la Carità»[23].
4/ La terza innovazione nella rappresentazione dell’estasi di Santa Teresa: la fiamma d’amore raggiunge Teresa – ed ogni uomo – nella comunione eucaristica
Ma c’è una terza innovazione iconografica che il Bernini realizzò nell’estasi di santa Teresa. La pose in estasi, sollevata su di una nuvola, e la pose in tale posizione esattamente sopra l’altare sul quale si celebra l’eucarestia. Inoltre accentuò il simbolismo eucaristico scolpendo l’ultima cena dinanzi all’altare.
Il paliotto con l’Ultima cena scolpito dal Bernini dinanzi all’altare della Cappella Cornaro
Teresa, nei suoi scritti, racconta più volte che le sue estasi avvenivano proprio mentre riceveva l’eucarestia. Aveva anzi ottenuto uno speciale indulto per poterla ricevere ogni giorno, mentre a quei tempi la comunione frequente non era abituale.
Nel Libro della vita la santa racconta più volte cosa le era avvenuto subito dopo aver ricevuto la Comunione eucaristica, come ad esempio in questo brano:
«Figlio mio[24], che mi hai ordinato di scrivere e che nella sua umiltà desidera che così la chiami, tenga solo per sé queste pagine nelle quali vede che io esco dai termini, ché impossibile è trattenermi quando il Signore me ne trae. Dalla comunione di stamattina non mi pare di esser io che parli. Mi par tutto un sogno quel che vedo, e non vorrei vedere che anime malate del mio stesso male. Oh sì, Padre, la supplico! Facciamoci pazzi per amor di Colui che per nostro amore fu chiamato tale!»[25].
Lavin commenta: l’innovazione del Bernini «rispetto alle figurazioni consuete della trasverberazione allude ai mezzi con i quali si raggiunge quell’universalità che consente a tutti di condividere il frutto dell’amore-immolazione di Teresa – cioè l’Eucarestia, sacrificio di Cristo in persona, che viene consumato al momento della Comunione. Mentre in precedenza Teresa era rimasta legata alla terra, il cherubino berniniano la innalza al cielo su una nuvola. Le immagini di santi in estasi, sorretti dalle nuvole, sono tipiche dell’arte sacra della Controriforma, e si può dire che nella pala il Bernini abbia riunito due diverse categorie, l’una letterale e l’altra metaforica»[26].
Teresa sollevata sulle nubi in estasi
Lavin prosegue:
«Mentre le altre levitazioni avvenivano durante le preghiere private dei santi, quella di Teresa accadeva durante la messa, e specificamente alla Comunione, quando riceveva il Santo Sacramento dell’Eucarestia. L’illimitata devozione di Teresa all’Eucarestia costituiva una delle massime manifestazioni della sua pietà mistica, su cui battevano incessantemente i suoi biografi e i testimoni che avevano deposto al processo di canonizzazione. Ella aveva ottenuto una dispensa speciale per ricevere la comunione ogni giorno e una delle sue opere letterarie più estasiate e mirabili è Exclamaciones in cui annotò i sentimenti provati dopo la consumazione dell’ostia. Durante la comunione spesso cadeva in estasi – e saliva in levitazione. Era stato prescelto l’episodio del convento di San Giuseppe senza dubbio a causa della presenza di un importante dignitario ecclesiastico. La levitazione di Teresa era dunque un effetto della sua fede nell’articolo di fede centrale, la transustanziazione. In questo senso il motivo permeò la pala d’altare dello stesso spirito che permea altri elementi della decorazione della cappella: le allusioni all’altare eucaristico del Laterano nella composizione generale; l’aver adattato il tabernacolo eucaristico in prospettiva all’architettura delle nicchie che lo affiancano; la trasformazione dell’effigie adorante in una disputa fra i membri della famiglia Cornaro; la rappresentazione dell’Ultima Cena sul paliotto dell’altare […]. Raffigurando Teresa in levitazione il Bernini rendeva visibile il potere dell’Eucarestia – quel principio attivo dell’amore che congiunge l’umano e il divino, e qui collega la morte-trasverberazione di Teresa a Cristo da una parte e agli uomini dall’altra»[27].
In un’epoca in cui l’accento cadeva sulla transustanziazione che veniva sottolineata dai tabernacoli d’altare e dai baldacchini – come quello realizzato dal Bernini per San Pietro – anche l’estasi di santa Teresa veniva così connessa con l’esperienza della sua levitazione, avvenuta a motivo della Comunione ricevuta, e con il paliotto dell’Ultima cena, collocandola nella stessa prospettiva eucaristica.
Lavin sottolinea poi come l’angelo sollevi Teresa con la mano sinistra. La levità del corpo di Teresa è ancora accentuata dalle pieghe delle vesti che non sembrano attratte da alcuna forza di gravità, ma si librano liberamente. L’angelo la colpisce d’amore fin nell’intimo delle viscere e il drappeggio assurge a espressione del fatto che Teresa è totalmente infiammata dalla carità divina e portata verso Dio.
Le vesti che non avvertono la forza di gravità e l’angelo che solleva Teresa e la sua veste con la mano sinistra
5/ Una visione sintetica
Nel suo studio magistrale Lavin sottolinea dunque come siano «profondamente connessi tra loro i temi apparentemente distinti che il Bernini fuse insieme nella trasverberazione – la morte di Teresa, la sua levitazione eucaristica e il suo matrimonio mistico. La loro unione fece della pala di Teresa l’incarnazione reale del significato ultimo della liturgia: l’amore, la più grande delle virtù cristiane, congiunge l’invocazione alla santa, il sacrificio sull’altare e la promessa di salvezza»[28].
Ma sottolinea al contempo come tutta la Cappella parli, attraverso l’estasi di Teresa, di ogni uomo che dagli inferi viene ridestato per unirsi infine in cielo al suo Signore.
L’insieme della Cappella dal basso, senza però l’affresco con lo Spirito Santo e l’arco con l’iscrizione sostenuto dagli angeli che vi appartengono
[1] I. Lavin, Bernini e l’unità delle arti visive, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1980, p. 149.
[2] I. Lavin, Bernini e l’unità delle arti visive, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1980, p. 141.
[3] La dedica della propria Cappella di famiglia a santa Teresa da parte del cardinal Federico Cornaro appare naturale: divenuto nel 1631 patriarca di Venezia vi accolse una prima comunità di Carmelitani Scalzi nel 1633: con loro spesso si consigliò nel governo della diocesi. Essendo poi il convento e il seminario degli Scalzi adiacenti alla chiesa di Santa Maria della Vittoria e la chiesa stessa custodita da quell’ordine, la dedicazione non poteva che incontrare il loro favore. Lavin ricorda come il legame che si strinse fra il cardinal Cornaro e l’ordine dei carmelitani scalzi è evidente anche dalla vicenda che vide protagonista la monaca Arcangela Tarabotti. Questa, posta dalla famiglia in convento carmelitano secondo le usanze del tempo all’età di 11 anni, si ribellò alla cosa e scrisse libri contro la monacazione in età giovanile i cui titoli sono eloquenti: La semplicità ingannata, La tirannia paterna, L’inferno monacale. Nel 1633, però, cambiò completamente la sua visione delle cose proprio grazie a colloqui con il Cornaro e scrisse una ritrattazione di quei volumi dal titolo Il Paradiso monacale, conservando da quel momento fino alla morte un sincero attaccamento alla vita religiosa (cfr. I. Lavin, Bernini e l’unità delle arti visive, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1980, pp. 85-86).
[4] Il senso di quel dialogo è simile a quello che avviene fra i personaggi disposti da Raffaello nella famosa “Disputa sull’eucarestia” della Stanza della Segnatura: anche lì non si tratta assolutamente di una disputa, bensì di un’“esaltazione” dell’eucarestia a cui tutti danno gloria con la loro presenza, testimoni della sua infinita ricchezza.
[5] I. Lavin, Bernini e l’unità delle arti visive, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1980, pp. 132-133.
[6] Teresa d’Avila, Libro della vita, XXIX, 10.13.
[7] Così Teresa descrive ancora l’esperienza dell’amore di Dio che la ferisce: «Tanto tormento unito a tanta gioia mi stupiva moltissimo, e non sapevo capire come ciò avvenisse. Che stupore per un’anima vedersi così ferita! Sì, per quello che sente può ben dire di essere stata ferita, ma che da parte sua non ha fatto nulla per attirarsi tanto amore. Fu tutto da una causa superiore, ossia del grande amore che Dio le porta, dal quale le sembra venuta la scintilla che ora la consuma. Quante volte quando mi trovo in questo stato, mi viene in mente il passo di David, che pare in me realizzarsi alla lettera: Quemadmodum desiderat cervus ad fontes aquarum!» (Teresa d’Avila, Libro della vita, XXIX, 11).
[8] Così racconta Teresa: «Piacque a Dio di favorirmi a più riprese con la seguente visione. Vedevo vicino a me, al lato sinistro, un angelo in forma corporea. È raro che veda gli angeli in questo modo. Parecchi me ne sono apparsi […]. Questa volta piacque al Signore di farmelo vedere così. Non era grande, ma piccolo e molto bello: all’ardore del volto pareva uno di quegli spiriti sublimi che sembra si consumino tutti in amore, e credo si chiamino Cherubini. Essi non mi dicono mai come si chiamano, ma vi è tanta differenza tra certi angeli e certi altri, e tra l’uno e l’altro di essi, che non saprei come esprimermi. Quel Cherubino teneva in mano un lungo dardo d’oro, sulla cui punta di ferro sembrava avere un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, cacciandomelo dentro fino alle viscere, che poi mi sembrava strappar fuori quando ritirava il dardo, lasciandomi avvolta in una fornace di amore. Lo spasimo della ferita era così vivo che mi faceva uscire nei gemiti di cui ho parlato più sopra, ma insieme pure tanto dolce da impedirmi di desiderarne la fine e di cercare altro diversivo fuori che Dio. Benché non sia un dolore fisico ma spirituale, vi partecipa un poco anche il corpo, anzi molto. Allora tra l’anima e Dio passa come un soavissimo idillio. E io prego la divina bontà di farne parte a coloro che non mi credessero» (Libro della vita, XXIX, 13).
[9] Agostino di Ippona, Trattati su Giovanni, 26, 4-6.
[10] Teresa d’Avila, Libro della vita, XXIX, 13.
[11] Com’è noto quel giorno il papa canonizzò insieme santa Teresa d’Avila, san Filippo Neri, sant’Ignazio di Loyola, san Francesco Saverio, sant’Isidoro agricoltore.
[12] Scrive Lavin: «Oltre a citazioni dall’Antico e Nuovo Testamento, l’ufficio comprende una preghiera, che si richiama agli scritti di Teresa, alcune letture che riassumono la vita di Teresa in base alla bolla di canonizzazione, e due inni. Questi inni – fondamentali per capire il significato della cappella e la sua decorazione – furono composti dal papa Urbano VIII, che era stato il massimo committente del Bernini e aveva nominato cardinale Federico Cornaro»(I. Lavin, Bernini e l’unità delle arti visive, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1980, p. 127).
[13] Così l’originale latino:
Sponsíque voces áudiit:
«Veni, soror, de vértice
Carméli ad Agni núptias;
veni ad corónam glóriæ».
Te, sponse, Iesu, vírginum,
beáti adórent órdines,
et nuptiáli cántico
laudent per omne sæculum. Amen.
[14] Teresa morì il 4 ottobre 1582, ma proprio per quella notte papa Gregorio aveva deciso la modifica del calendario per riallinearlo rispetto al ciclo delle stagioni, motivo per il quale la festa di santa Teresa è oggi celebrata il 15 di ottobre, nell’attuale calendario detto appunto gregoriano.
[15] Lettera così citata in appendice al Libro della vita nell’edizione on-line a cura dei Carmelitani, senza indicazione più precisa di riferimento alla fonte.
[16] Qui il riferimento è al desiderio di martirio della giovane Teresa che si allontanò da casa insieme al fratello nel desiderio di essere uccisa dai turchi musulmani annunciando loro l’amore di Gesù: i due furono presto ricondotti a casa dai familiari. L’episodio è raffigurato nei bassorilievi della cappella Cornaro di cui si è già parlato.
[17] Questo il testo originale latino dell’inno:
Regis superni nuntia
domum paternam deseris,
terris, Teresa, barbaris
Christum datura aut sanguinem.
Sed te manet suavior
mors, pœna poscit dulcior:
divini amoris cuspide
in vulnus icta concides.
O caritátis victima,
tu corda nostra concrema,
tibique gentes creditas
inferni ab igne libera.
Te, sponse, Iesu, virginum,
beati adorent ordines,
et nuptiali cantico
laudent per omne sæculum.
[18] I. Lavin, Bernini e l’unità delle arti visive, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1980, pp. 124-125.
[19] I. Lavin, Bernini e l’unità delle arti visive, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1980, p. 128.
[20] Il riferimento alla morte d’amore è, comunque, continuamente presente nella descrizione che la stessa Teresa fornisce dell’esperienza della transverberazione: «Intanto, l’anima non sapendo far altro, va in cerca di qualche rimedio, e quando quel trasporto non è molto impetuoso, le sembra di potersi alquanto calmare con alcune penitenze. Ma per quante ne faccia, il corpo pare inanimato e non sente dolore, neppure se versa sangue. Cerca modi e maniere per soffrire qualche cosa per amore di Dio; ma quel primo dolore è così grande, da non poter essere attutito da alcun tormento corporale. Il suo rimedio non è qui: le medicine della terra sono troppo deboli per un male così alto. Per mitigarlo e renderlo alquanto sopportabile, non v’è che da domandarne il rimedio al Signore. Per l’anima non vi è altro che la morte, perché solo con essa pensa di poter godere in pieno del suo Bene. Alle volte l’impeto è così forte da non poter proprio far nulla, neppure invocare aiuto da Dio. Il corpo rimane come morto: non si può muovere né mani, né piedi. Se sta in piedi, si accascia su se stesso, senza neppure la forza di respirare. Si lascia fuggire qualche gemito debole di voce perché non ne può più, ma molto infuocato per sentimento» (Teresa d’Avila, Libro della vita, XXIX, 12).
[21] I. Lavin, Bernini e l’unità delle arti visive, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1980, pp. 129-130.
[22] I. Lavin, Bernini e l’unità delle arti visive, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1980, p. 133.
[23] I. Lavin, Bernini e l’unità delle arti visive, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1980, p. 136.
[24] Con le espressioni “figlio” e “padre” la santa si rivolge a padre Pietro Ibañez che è l’interlocutore del Libro della vita di Teresa.
[25] Teresa d’Avila, Libro della vita, XVI, 6.
[26] I. Lavin, Bernini e l’unità delle arti visive, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1980, pp. 129-130.
[27] I. Lavin, Bernini e l’unità delle arti visive, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1980, pp. 131-132.
[28] I. Lavin, Bernini e l’unità delle arti visive, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1980, p. 136.