Dalla sua storia di conversione impariamo che in questo rapporto padre-figlio le cose non erano come dovevano essere Si dice che la conversione di Robert Hugh Benson al cattolicesimo romano sia stato un atto di ribellione nei confronti di suo padre, Edward White Benson, arcivescovo di Canterbury dal 1883 alla morte, avvenuta nel 1896. Che sia vero o meno, l’autobiografia spirituale di Benson jr. offre quantomeno alcuni spunti per vedere la sua conversione in questa luce.
Anche se fosse così, che differenza fa? Dio può usare inclinazioni e paure che preferiremmo non riconoscere in noi come porte per far sì che la grazia entri nella nostra vita. Se il conflitto latente con un padre importante ha giocato qualche ruolo nella decisione di questo figlio di diventare cattolico, non vuol dire necessariamente che la conversione sia stata meno sincera.
Robert Hugh Benson (1871-1914) è stato un autore prolifico di opere di finzione, apologetiche e devozionali, ricordato soprattutto per il suo romanzo apocalittico Il Padrone del Mondo, uno dei preferiti di Papa Francesco. La sua autobiografia spirituale, Confessioni di un Convertito, pubblicata per la prima volta nel 1912 e ripubblicata da Ave Maria Press, è tra le sue opere migliori. Non è esagerato definirla un classico minore.
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Al suo centro spicca la figura imponente dell’arcivescovo Benson. Il rapporto tra padre e figlio è riassunto in un incidente d’infanzia di cui Benson apparentemente si è portato dietro il dolore per tutta la vita.
A Eton il ragazzo venne accusato di qualche forma di cattivo comportamento, non specificato nel libro ma evidentemente serio. Anche se alla fine è risultato innocente, il suo austero padre all’inizio pensò che fosse colpevole. Quando il padre lo affrontò al riguardo, il ragazzo rimase così “paralizzato nella mente” da non riuscire a offrire alcuna difesa se non “lacrime e disperazione silenziosa”. Il disaccordo “vis-à-vis” con il padre era semplicemente impensabile.
Benson non lo sottolinea, ma i lettori trarranno le proprie conclusioni: le cose non erano come dovrebbero essere in un rapporto padre-figlio. Scrisse infatti del padre:
“Non penso che mi abbia reso più semplice amare Dio, ma senza dubbio ha instillato nella mia mente un senso impossibile da sradicare di una sorta di Governo Morale nel mio universo, di un potere enorme dietro i fenomeni, di una dignità austera e ordinata con cui questo Potere Morale si presentava”.
“Era straordinariamente tenero e amorevole, desiderava intensamente il mio bene ed era avido in modo toccante del mio amore e della mia fiducia. Tutta la sua ansia per me in qualche modo oscurava il fuoco di questo amore, o piuttosto faceva sì che mi colpisse come fuoco più che come luce. Mi dominava completamente con la sua forza”.
Benson divenne sacerdote anglicano, ma aveva già iniziato a sospettare che nella lotta tra Roma e l’anglicanesimo fosse la prima ad aver ragione. Trascorse vari anni nel dubbio, e alla fine – dopo la morte del padre – abbandonò i suoi tentennamenti dottrinali e agì in base alla sua crescente convinzione che la vera Chiesa dovesse essere quella di cui si poteva giustamente dire che “sapeva il fatto suo” sugli aspetti essenziali della salvezza. Divenne cattolico nel 1903 e venne ordinato l’anno successivo. Morì nel 1914.
Confessioni di un Convertito termina con una prosa lirica registrando la risposta estatica dell’autore al cattolicesimo dell’incarnazione che aveva trovato nella Città Santa: “Un soggiorno a Roma significa un ampliamento degli orizzonti in un modo che va oltre le parole”, scrisse. Forse è così, ma Benson trovò parole che dopo tutti questi anni sono ancora pienamente valide. I lettori che amano la fede che amava lui possono esserne contenti.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]