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Restare se stesse. Donne a tutto tondo…

Młoda pracująca kobieta w ciąży siedzi w swoim biurze

Jose Luis Pelaez Inc / Getty Images

Lucetta Scaraffia - L'Osservatore Romano - pubblicato il 06/01/18

Rinunciare alla maternità per il lavoro è un patto insopportabile che bisogna rompere per permettere alle donne di conciliare vita e carriera

Come ha detto il famoso storico inglese Eric Hobsbawm, l’unica rivoluzione vittoriosa del Novecento è quella delle donne. Si è realizzata a tal punto da creare un mondo rovesciato rispetto a quello di sessanta anni fa: oggi una giovane donna non si sogna neppure di imparare a fare i lavori domestici, né tanto meno pensa di dover obbedire al padre o al marito, ma si sente totalmente libera di realizzare se stessa in ogni campo, trova normale impegnarsi nella sfera pubblica e non pensa al matrimonio come a un destino inevitabile. La recente campagna contro la violenza sulle donne, e la denuncia in tutti i paesi occidentali delle molestie sessuali alle quali sono sottoposte tante donne, soprattutto negli ambienti di lavoro, hanno segnato un passo ulteriore di questo cammino verso la libertà e il riconoscimento del valore dell’autonomia femminile.




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Si tratta di cambiamenti tangibili e misurabili: oggi le ragazze che studiano e si laureano sono più numerose dei ragazzi, il tasso di occupazione femminile è in aumento soprattutto nelle fasce professionali più alte, dove le donne stanno combattendo per non essere confinate in posizioni subalterne. Ma certo il cambiamento più forte, quello che può essere considerato determinante e che ha avuto inizio a partire dagli anni sessanta, è quello relativo al comportamento sessuale femminile e quindi alla maternità. A partire dal 1963 nei paesi industrializzati si è diffusa la pillola anticoncezionale, una novità sconvolgente: per la prima volta nella storia il controllo della fertilità era nelle mani delle donne, che potevano così essere sicure di evitare la gravidanza anche praticando rapporti sessuali. Questo voleva dire che le donne potevano anche dal punto di vista del comportamento sessuale comportarsi come gli uomini, e su questa possibilità si fondava l’utopia della rivoluzione sessuale, che prometteva felicità per tutti grazie alla caduta delle norme costrittive in tema di sessualità. A questo si aggiungeva la liberalizzazione dell’aborto, che poteva essere deciso solo dalla donna. La liberazione sessuale si fondava però — e si fonda tuttora — sull’accettazione delle donne a sottoporsi a bombardamenti ormonali per garantire l’assenza di conseguenze procreative, con disagi non piccoli per la loro salute. E per una difficoltà crescente a realizzare il desiderio di maternità.
La contraccezione serve infatti a bloccare la fertilità negli anni giovanili — quelli più adatti alla procreazione — per permettere alle donne di fare carriera e inserirsi bene nel mondo del lavoro, nel quale la maternità tende a essere penalizzata.




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Quindi, a guardar bene, tutto ciò che le donne hanno ottenuto sul piano della libertà e dell’inserimento sociale è stato pagato con la rinuncia o il rimando della maternità a una età in cui concepire un figlio è sempre più difficile. Non si è realizzato, quindi, il sogno delle prime femministe, quelle che volevano che le donne entrassero nel mondo maschile mantenendo la loro differenza, fondata sulla maternità. Rinunciando alla differenza le donne si sono adeguate, rinunciando al progetto di cambiare il mondo.

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