“Essere uomini di fede è accettare di vivere dentro a una nostalgia”A San Silvestro bisogna lasciare. Lasciare qualche cattiva abitudine, in nome di certi buoni propositi che faremo presto a dimenticare. Lasciare il clima natalizio che, spaventato dai botti, tornerà nei luoghi freddi da cui proviene. Lasciare un anno che, visto da in fondo, non era forse poi così male.
Io quest’anno ho lasciato il mio amico Matteo, perché ha deciso di farsi monaco cistercense. Era arrivato nella mia vita, con un tempismo da apparizione, proprio quando avevo bisogno di un coetaneo acuto e disponibile con cui parlare. La nostra amicizia era cresciuta, nutrita di escursioni, cene nei fine settimana e discorsi mistici notturni con la tisana. Quando sono stato certo che di questa rassicurante presenza non avrei potuto più fare a meno, Colui che me lo aveva dato me lo ha tolto di mano. Lo strappo, all’inizio, non si è quasi fatto sentire. Poi sono venute le feste di Natale.
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Essere uomini di fede è accettare di vivere dentro a una nostalgia. Il desiderio che stimola le nostre preghiere sembra sempre destinato ad aumentare: un appartamento nuovo, un diploma, un amore danno un sollievo temporaneo che svanisce, non si dimostra mai la Soluzione. L’uomo religioso decide con intelligenza di abitare la sua fame: sperimenta la castità, riduce il riposo per pregare, limita il suo guardaroba a poche vesti sempre uguali. S’immerge in un ambiente che, invece di negare la legge universale della mancanza, elegge l’appetito a condizione. Questo fa sì che lui si possa riconoscere in un suo tratto fondamentale: la nostalgia per il Creatore. Tale ammissione è il campo base per partire alla ricerca di una vera identità.
La mia speranza per l’anno che viene è che diventi opinione comune questa incerta intuizione: nella nostalgia c’è una occasione. Aboliremo i fazzoletti per chi saluta i treni alla stazione; i passeggeri e chi rimane sorrideranno, man mano più lontani, ma uniti dalla comune convinzione che, in cambio di ogni addio, avremo una benedizione.