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Smetti di cercare di adattarti. Sei fatto per cose più grandi

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Joey McCoy - pubblicato il 29/12/17

Cerca di vivere sapendo di essere nel mondo ma non del mondo

All’inizio dell’illuminante biografia di San Tommaso d’Aquino scritta da G.K. Chesterton, si legge:

“Cristo non ha detto ai suoi apostoli che erano solo persone eccellenti, ma che erano persone eccezionali; le persone costantemente incongruenti e incompatibili; e il testo sul sale della terra è davvero tagliente e scaltro come il gusto del sale…È quindi il paradosso della storia che ogni generazione sia convertita dal santo che la contraddice di più”.

Come la maggior parte degli scritti di Chesterton, questa citazione ci arriva come un colpo duro imprevisto; è strano, colpisce e ha lo strano effetto di risvegliare. È come una maglietta che ci graffia e ci “sfida”, ma allo stesso tempo in qualche modo si adatta perfettamente.

Dall’adolescenza al momento del tramonto, siamo ansiosi di “adattarci” e di “trovare il nostro posto” nel mondo. Cerchiamo di trovare il nostro gruppo – il nostro luogo di collegamento e appartenenza. Abbiamo cognomi che contestualizzano la nostra vita in un “clan”, compriamo magliette che manifestano il nostro essere “parte di qualcosa” e troviamo persone con le quali diventiamo vivi. Cerchiamo questo senso di appartenenza – questo senso di casa – nelle nostre comunità, nei nostri Paesi e nel pianeta nel suo insieme (a cos’altro si riducono le preoccupazioni politiche e ambientali – locali o globali – se non a una preoccupazione sullo stato della propria casa e del proprio nido?)

È tutto molto naturale; è un profondo bisogno umano. Dovremmo cercare di appartenere a qualche posto. Dovremmo desiderare una casa. Ma dov’è la nostra casa? A quale luogo apparteniamo?

Semplicemente non può essere qui. Se fosse qui, alla fin fine saremmo persi per sempre.

Una prospettiva simile ci offre questo panorama: viviamo con un insaziabile, impaziente Sehnsucht che aspira a qualcosa che non sappiamo cosa sia, qualcosa di “più”; e come punto culminante, siamo strappati dal nostro letto e dalla nostra “casa” dalla morte che arriva per tutti noi. La vita è una tragedia senza senso.

Ma no, non siamo orfani! Abbiamo una casa… ma non è di questo mondo. È il mondo che verrà. Questo è un fatto che dovrebbe cambiare tutta la nostra vita. Davvero.

Ora, la sfida: se questa è la verità, viviamo davvero in questo modo?

Quanto spesso proviamo ad “adattarci” e a conformarci a ciò che ci circonda? Quanto spesso sentiamo la pressione di vivere in base alle convinzioni e agli impulsi della cultura dai piedi di argilla di questo regno passeggero? Quanto spesso permettiamo che una bussola avversaria stabilisca le nostre priorità? Quanto spesso, tra le tante opzioni che ci circondano, cerchiamo freneticamente il nostro posto di appartenenza – pensando che cambiare “questo” o “quello” sarà la risposta?

Per fortuna, Cristo è venuto per liberarci da questa ricerca infinita e disperata. Quando alla fine abbandoniamo la corsa al successo e riposiamo in Gesù, come sempre, scopriamo che Egli è l’unica risposta che ci aiuta a capirci. Ci ha detto che non dobbiamo “adattarci”:

Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo! (Giovanni 16:33)

Guardatevi intorno – c’è una netta tensione tra la cultura “là fuori” e il Vangelo. Questo presenta un’enorme tentazione ai cristiani (come esseri umani con una necessità naturale di andare d’accordo con altri) di “percorrere le vie del mondo” perché andare controcorrente isola troppo ed è maledettamente difficile. È semplicemente molto più facile “seguire la corrente”. Ma fare questo è vivere una menzogna:

Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia (Giovanni 15:18-19)

Non siamo di questo mondo. La nostra vita dovrebbe esprimere questa realtà. Se siamo battezzati in Cristo, non possiamo sacrificare e compromettere la nostra identità solo per “adattarci”.

Può provocarci dolore, ma Gesù può gestire questa sofferenza. Ci prega di non arrenderci, ma di “correre con perseveranza nella corsa che ci sta davanti” (Ebrei 12:1), perché solo in Lui ci sono la vita e la gloria. Dobbiamo chiederci costantemente “Dov’è la mia casa e dove risiede la mia fedeltà?”, e poi vivere di conseguenza.

Un punto finale e fondamentale: la risposta non è stringere i denti, costruire un bunker e portare avanti il nostro stile di vita controcorrente in isolamento. Una condizione di questo tipo è difficilmente utile al messaggio evangelico della prosperità umana. La risposta è la solidarietà, la riunione e la condivisione della vita, sostenendosi l’un l’altro nel nostro percorso verso il Signore. Qualsiasi conversazione sul non conformarsi alle “vie del mondo” è insufficiente senza affermare la giusta soluzione: una ricca vita comune di discepoli missionari. E, paradossalmente, è vivendo questo modo di “contraddire” il mondo (come ha mostrato giustamente Chesterton) che ogni generazione può essere portata a Gesù.

In conclusione: volete essere dei santi? Volete essere missionari? Volete essere discepoli? Allora dimenticatevi l’“adattamento”. Offrite la vostra fedeltà all’unico vero Re.

Joey McCoyè uno studente di Medicina presso l’Università di Michigan. Ama tutto ciò che è relativo alla Nuova Evangelizzazione. Questo articolo è apparso originariamente su i.d.9:16, un sito web di una “comunità di discepoli missionari”.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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