Essa è detta anche legge inabilitante perché dichiara non abile a contrarre il matrimonio la persona di entrambi i sessi che si trova in tale situazione, essendo un impedimento dirimente che, appunto, rende nullo l’eventuale matrimonio. Così recita il can. 1084: «L’impotenza antecedente e perpetua a compiere la copula, sia da parte dell’uomo che della donna, tanto assoluta che relativa, rende nullo il matrimonio per sua stessa natura». Cosa sia, poi, la copula coniugale, lo definisce il can. 1061: «[ ] se i coniugi hanno compiuto tra loro, in modo umano, l’atto coniugale idoneo per sé alla generazione della prole, al quale il matrimonio è ordinato per sua natura, e per il quale i coniugi diventano una sola carne».
Da quanto si è detto, gli sposi non possono modificare i termini del contratto, né l’autorità ecclesiastica dispensare da ciò che è costitutivo del matrimonio per diritto naturale. La copula coniugale, infatti, è richiesta dalla natura stessa del matrimonio, quale istituzione naturale connessa alla natura sessuata dell’uomo, «fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie» (GS 48, 1). Il significato della consumazione emerge anche dagli effetti che essa produce nei confronti del matrimonio rato. È a tutti noto, infatti, che solo dopo la consumazione il sacramento del matrimonio diventa indissolubile da non poter essere sciolto da alcuna potestà umana né per alcuna causa, eccetto la morte (can. 1141).
La reciproca accettazione e donazione, che è l’oggetto del consenso coniugale, coinvolge l’intera persona degli sposi in ogni loro dimensione, inclusa quella sessuale, specificando in tal modo la differenza da qualsiasi altro tipo di unione che non sia il matrimonio, quale consorzio di tutta la vita e per il quale non sono più due, ma «una sola carne». L’incapacità ad effettuare la copula coniugale impedisce, inoltre, di assumere gli atti idonei alla generazione della prole alla quale per sua natura il matrimonio è ordinato.
La capacità dei coniugi di porre atti veramente coniugali, cioè di per sé idonei alla procreazione, rientra nell’oggetto essenziale del consenso, non può ricevere dispensa, né il coniuge ha facoltà di rinunciarvi spontaneamente. Un volta che l’azione umana ha posto la copula coniugale in modo conforme alla natura del matrimonio, il suo eventuale esito infruttuoso dipende soltanto dall’azione della natura e non incide sull’idoneità degli sposi a vivere tutte le dimensioni della vita coniugale.
Riguardo alla procreazione, i coniugi hanno diritto soltanto a quegli atti dai quali normalmente deriva il concepimento anche se a volte esso non si verifica per circostanze indipendenti dalla loro volontà. Pertanto, a differenza dell’impotenza copulativa, la sterilità (impotentia generandi) non rende nullo il matrimonio (can. 1084), a meno che non sia stata nascosta al futuro coniuge in modo doloso (can. 1098). Così si esprime, infatti, il Concilio Vaticano II: «Il matrimonio, tuttavia, non è stato istituito soltanto per la procreazione, ma il carattere stesso di patto indissolubile tra persone e il bene dei figli esigono che anche il mutuo amore dei coniugi abbia le sue giuste manifestazioni, si sviluppi e arrivi a maturità. E perciò anche se la prole molto spesso tanto vivamente desiderata, non c’è, il matrimonio perdura come consuetudine e comunione di tutta la vita e conserva il suo valore e la sua indissolubilità» (GS 50, 7).
Qualcuno potrebbe obiettare circa il matrimonio degli anziani. Ovviamente, su questo punto si presume che, nonostante l’età, ancora si sia conservata la capacità copulativa. È solo quando l’impotentia coeundi risulti certa che il matrimonio non può essere autorizzato (can. 1084), come nel caso della decisione presa dal Vescovo di Viterbo. Stante il dubbio, invece, non può essere preclusa la strada alla celebrazione del matrimonio, che prevale come diritto naturale di cui gode ogni persona, ma se il dubbio si trasforma in certezza, quel matrimonio è nullo in forza della legge inabilitante che ha per oggetto l‘impotentia coeundi (can. 1084), mai dispensabile da alcuna autorità umana essendo legge di diritto naturale.
Pertanto, la dimensione fisica è una componente imprescindibile perché rientra nella struttura naturale del matrimonio e ne permette la realizzazione secondo il disegno divino, principalmente per quanto attiene al divenire «una sola carne» attraverso la reciproca e totale donazione e accettazione dei coniugi. Tutto questo in sintonia con il significato dell’amore coniugale che abbraccia l’intera persona del coniuge al quale si indirizza.