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L’uomo è il malato della Creazione, non il cancro della terra!

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Piovono Miracoli 2.0 - pubblicato il 23/12/17

E il Creatore lo ama così: una riflessione sulla Salvezza portata da Cristo e sulla nostra libertà di creature fragili e spaventate

di Stefano Bataloni

Ieri mattina ho partecipato alla Santa Messa presso l’auditorium del Ministero dell’Ambiente. È da un po’ di anni che in Avvento e in Quaresima, presso quella sede istituzionale si celebra l’Eucarestia, è una forma di missione nei luoghi di lavoro.

Fortemente voluta, fino a pochi anni fa, da un drappello di dipendenti, oggi invece è caldamente “patrocinata” dai vertici del ministero stesso, in cui evidentemente la componente di cattolici non è trascurabile. L’iniziativa mi colpisce molto perché proprio in quello stesso auditorium, dove oggi sedevano accanto a me onorevoli, direttori generali e militari in alta uniforme, sempre più spesso di questi tempi si sente parlare dell’uomo come la fonte di ogni male per il pianeta Terra, ci si riferisce alla creatura umana come fosse un cancro da estirpare, una specie infestante da sterminare; eppure quello è lo stesso uomo per la cui salvezza Gesù Cristo è venuto al mondo e ha compiuto il più grande sacrificio donando la sua stessa vita, come abbiamo rivissuto nella Eucaristia!

Al di là di questo, però, a rendere speciale l’occasione era il celebrante: l’amico don Paolo A.
Il brano del Vangelo proclamato è stato il racconto dell’annuncio dell’Angelo a Maria. Don Paolo nella sua omelia ha spiegato bene come il Signore Dio si sia rivolto a Maria con rispetto, senza imposizioni e preservando la sua libertà. Maria, d’altra parte, era in un periodo di attesa, era presa dalla realizzazione del suo progetto di vita con Giuseppe, suo promesso sposo. Il progetto di Maria era buono, e giusto, piú che meritevole di essere portato a compimento.
Il Signore però – ha continuato don Paolo –le scombina i piani, le fa una proposta alternativa, le indica una strada diversa da quella che aveva in mente di percorrere, peraltro, una strada che avrebbe pure comportato qualche serio rischio per lei, dati i tempi che correvano.

Maria però, si affida al Signore, sa che il Suo disegno di salvezza può passare per vie che lei non comprende appieno in quel momento, vie che richiedono un po’ di fatica, vie che escono dai suoi schemi. L’affidamento di Maria genererà Gesù, il salvatore degli uomini.

Don Paolo ha concluso ricordando che anche ognuno di noi, affidandosi al Signore può generare Gesù, può generare la salvezza, propria e del suo prossimo.

Trascorrono pochi minuti dalla fine dell’omelia che io stesso mi trovo in una situazione del tutto analoga a quella di Maria: mi presento di fronte al sacerdote per ricevere l’ostia consacrata e prima di portarla alla mia bocca, don Paolo mi chiede se me la fossi sentita di aiutarlo nella distribuzione dell’Eucarestia.

Ero preso dai miei progetti ma mi era stata rivolta una proposta alternativa, venivo chiamato a percorrere un’altra strada.




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D’altronde in sala c’erano non meno di duecento persone, era più che comprensibile quella proposta, per di più era una proposta formulata con dolcezza e rispetto della mia libertà, proprio come quella dell’Angelo a Maria.

Io ho rifiutato. 

In un istante mi è tornata alla mente un’occasione precedente in cui, ad una identica proposta, risposi positivamente ma fu per me un disastro. Non accadde nulla di grave ma tremai come una foglia per tutto il tempo, le mie mani non riuscivano a restare salde con in mano il corpo di Cristo, mi passai la pisside sulla mano destra tentando di trovare maggiore sicurezza nel distribuire le ostie con la sinistra ma non funzionò. Fu un momento di grande imbarazzo.

Presa l’ostia, quindi, me ne sono tornato a sedere al mio posto.

Alla fine della celebrazione sono andato a scusarmi con don Paolo per il mio comportamento, ma lui, da buon “padre”, mi ha accolto con un sorriso e un incoraggiamento.

Nel resto della giornata sono stato a rimuginare su quel mio rifiuto, sul mio non essermi affidato, ho passato in rassegna tutte le mie paure: quella di mostrarmi incerto e fragile di fronte agli altri, quella di non essere sempre all’altezza del compito assegnato o anche quella di essere messo in mostra.

Attraverso questo piccolo episodio ho compreso perché Zaccaria, che come Maria era stato visitato da un Angelo del Signore, all’annuncio della nascita di Giovanni fu ridotto al silenzio: Zaccaria non si affidò, forse ebbe paura.

Mi sono sentito proprio come Zaccaria: muto, e triste. Ma ho fatto anche di peggio: mi sono condannato per quelle mie paure, mi sono rimproverato per aver perso l’occasione di fare qualcosa di buono, per me, per don Paolo e per gli altri. Ho assaporato la gioia che mi avrebbe dato se mi fossi affidato e avessi accettato la proposta che mi era stata rivolta e non mi sono perdonato per quella poca fede, per quel rifiuto.

Tornando a casa, però, mi è tornata alla mente una catechesi ascoltata pochi giorni fa. Il sacerdote diceva: non è possibile amare gli altri e amare Dio se non si impara ad amare se stessi.

Quale padre – aggiungeva – rimprovera suo figlio quando cade e si fa male? Quale madre non si precipita ad abbracciare suo figlio quando è malato o fragile o spaventato? Non è solo la voglia di consolare che muove un padre ed una madre di fronte alle difficoltà del figlio, in fondo c’è soprattutto la necessità di aiutarlo a rialzarsi, ad andare avanti, ad imparare dalle cadute o dalle sconfitte.

Ecco, forse, sono stato davvero troppo duro con me stesso. Come potevo seriamente dare per scontato che le mie paure fossero scomparse e le mie ferite fossero sanate? Come ho potuto convincermi di poter essere sempre perfettamente all’altezza della situazione?

No, sono umano, sono fragile, sono spaventato e inadeguato per costituzione, ma conosco l’amore che si prova per un figlio malato e impaurito, l’ho provato, quell’Amore vive in me: devo solo imparare a rivolgerlo anche verso me stesso.




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Siamo in Avvento, siamo in attesa dell’arrivo del Re dei re, del Signore dei signori, che, per Amore, verrà tra noi nel modo meno regale e signorile possibile, a insegnarci che anche attraverso la fragilità e la debolezza si arriva alla salvezza.

Quale periodo migliore di questo per imparare ad amarsi?

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