André Wénin ha pubblicato un libro (tradotto in italiano da EDB) sui “Salmi censurati”, ovvero quelli contenenti le imprecazioni contro nemici, avversari o semplicemente i cattivi. Perché erano stati tolti? Che cosa significano? Leggete e saprete tutto.
Il giusto godrà nel vedere la vendetta,
si laverà i piedi nel sangue degli empi.
Sal 58 (59), 11
…Beato chi ti renderà quanto ci hai fatto:
beato chi prenderà i tuoi bambini
e li sfracellerà su di una pietra.
Sal 136 (137), 8-9
Finalmente! Forse non è troppo remoto il giorno in cui potremo tornare a parlare con Dio liberamente, secondo quanto lo stesso Dio ci ha insegnato a fare… Arriva sempre un momento in cui, magari appassionandosi ai salmi a partire dalla Liturgia delle Ore, un cristiano scopre che nella Bibbia ci sono più salmi e più versetti di quelli che aveva imparato a conoscere dal ciclo tetraebdomadario del Salterio – almeno di quello uscito dalla riforma successiva al Concilio Vaticano II e autenticato dalla costituzione apostolica Laudis canticum di Paolo VI. Due anni dopo la profetica enciclica Humanæ vitæ, infatti, cioè quando già Papa Montini era “defunto all’opinione pubblica” con gli epiteti di “Paolo Sesso” e “Paolo Mesto”, il timoniere del Concilio tornò a indicare una svolta ecclesiale da attuare perché il rinnovamento auspicato dai padri del Vaticano II si concretasse. Lo spiegò così:
La preghiera cristiana è anzitutto implorazione di tutta la famiglia umana, che Cristo associa a se stesso (CONC. VAT. II, Cost. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 83: AAS 56 (1964), p. 121), nel senso che ognuno partecipa a questa preghiera, che è propria dell’intero corpo. Questa perciò esprime la voce della diletta Sposa di Cristo, i desideri ed i voti di tutto il popolo cristiano, le suppliche e le implorazioni per le necessità di tutti gli uomini.
Ma questa preghiera riceve la sua unità dal cuore di Cristo. Il nostro Redentore ha voluto infatti che quella vita che aveva iniziato con le sue preghiere e col suo sacrificio, durante la sua esistenza terrena, non venisse interrotta per il volgere dei secoli nel suo Corpo mistico, che è la Chiesa (Pio XII, Encicl. Mediator Dei, 20 novembre 1947, n. 2: AAS 39 (1947), p. 522). Avviene, perciò, che la preghiera della Chiesa è insieme la preghiera che Cristo con il suo Corpo rivolge al Padre (CONC. VAT. II, Cost. sulla Sacra LiturgiaSacrosanctum Concilium, 85: AAS 56 (1964), p. 121). Mentre dunque recitiamo l’Ufficio, dobbiamo riconoscere l’eco delle nostre voci in quella di Cristo e quella di Cristo in noi (Cf S. AGOSTINO, Enarrationes in ps. 85, n. 1).
Perché questa caratteristica della nostra preghiera risplenda più chiaramente, è indispensabile che quella soave e viva conoscenza della sacra Scrittura (CONC. VAT. II, Cost. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 24: AAS 56 (1964), pp. 106-107) che emana dalla Liturgia delle Ore, rifiorisca in tutti, in modo che la sacra Scrittura diventi realmente la fonte principale di tutta la preghiera cristiana. Soprattutto la preghiera dei salmi, che senza interruzione accompagna e proclama l’azione di Dio nella storia della salvezza, deve essere compresa con rinnovato amore dal popolo di Dio. Perché sia raggiunto più facilmente questo scopo è necessario che il significato inteso dalla Chiesa, quando canta i salmi nella Liturgia, sia studiato più assiduamente dal clero e sia comunicato anche ai fedeli mediante opportuna catechesi. Questa più estesa lettura della sacra Bibbia, non solo nella Messa ma anche nella nuova Liturgia delle Ore, farà sì che venga continuamente ricordata la storia della salvezza e annunziata con grande efficacia la sua continuazione nella vita degli uomini.
[…]
Questa sublime verità del tutto inerente alla vita cristiana, la Liturgia delle Ore la esprime con evidenza e la conferma in maniera efficace.
È per questa ragione che le preghiere delle Ore vengono proposte a tutti i fedeli, anche a coloro che non sono tenuti per legge a recitarle.
Un’altra grande profezia di Papa Montini
Viva Paolo VI! Questa fu una delle disposizioni più sapienti nell’applicazione del dettato conciliare:
Stabiliamo dunque che questo nuovo libro della Liturgia delle Ore possa esser subito adottato, non appena pubblicato. Frattanto le Conferenze Episcopali provvedano alle edizioni in lingua nazionale e, dopo averne ricevuta dalla Santa Sede l’approvazione o la conferma, stabiliscano la data precisa in cui tali versioni, in tutto o in parte, possano o debbano andare in uso. Inoltre, dal giorno in cui si dovranno usare queste versioni, fatte per la celebrazione in lingua nazionale, anche coloro che vorranno continuare l’uso del Latino dovranno usare esclusivamente la nuova Liturgia delle Ore.
Si noti che neppure il motu proprio di Benedetto XVI, il famoso Summorum Pontificum, modifica in toto quest’ultima disposizione: il breviario precedente alla riforma può essere usato soltanto dai «chierici costituiti “in sacris”», e unicamente nella versione «promulgata dal B. Giovanni XXIII nel 1962» (Art. 9 § 3). Tanta è l’importanza del cammino avviato dal Movimento Liturgico del XX secolo, irrinunciabile per ogni sensibilità cattolica.
Il diavolo, però, sta nei dettagli, e un anno dopo la Laudis canticum abbiamo scoperto nell’Institutio generalis de Liturgia Horarum, quanto segue:
I tre salmi 57, 82 e 108, nei quali prevale il carattere imprecatorio, vengono esclusi dal salterio corrente. Cosí pure alcuni versetti di qualche salmo sono stati omessi come viene indicato all’inizio del salmo. L’omissione di questi testi è dovuta unicamente a una certa qual difficoltà psicologica. Infatti questi stessi salmi imprecatori si trovano nella pietà del Nuovo Testamento, per esempio nell’Apocalisse al cap. 6, 10, e in nessun modo intendono indurre a maledire.
IGLH (1971), n. 131
Insomma, dagli anni ’70 del ’900 la Chiesa è tornata a incoraggiare massivamente i fedeli cristiani a familiarizzarsi con quei testi in cui, «per essere opportunamente lodato dall’uomo, Dio stesso si è lodato; e poiché si è degnato di lodare sé stesso, per questo l’uomo ha trovato come lo possa lodare» (così il sommo Agostino). Contemporaneamente, per timore di ferire orecchie troppo pie (o come si dice a partire dal XX secolo: per «una certa qual difficoltà psicologica»), il salterio è stato arbitrariamente sforbiciato e diversi salmi si sono viste inferte proditorie mutilazioni.
Trovate che io sia troppo duro? E che direste, se potessi assicurarvi che André Wénin, professore all’Università Cattolica di Lovanio, ha pubblicato un libro dedicato ai Salmi censurati (tradotto da EDB in italiano)? Mi torna in mente il folgorante scambio di battute di Rossella e Rhett al ballo di beneficienza:
– Un altro ballo e la mia reputazione è rovinata per sempre!
– Chi ha coraggio fa a meno della reputazione, mia cara…– Rhett! [risolino] Dite delle cose scandalose!
Eppure è Dio stesso a insorgere contro quanti si preoccupano più della sua reputazione (“sua” di Dio, intendo: non la propria), e lo fa direttamente dalle pagine della Sacra Scrittura. Il libro di Giobbe, difatti, che per quasi quaranta capitoli (eccettuata la cornice narrativa) ha visto il protagonista protestare duramente la propria innocenza sfogando al contempo la propria bile e «urlando contro il Cielo», aveva mostrato per altrettante pagine i suoi devoti amici che venivano a lenire l’amarezza del suo lamento con rimproveri astratti che avrebbero voluto castrarne il rantolo. Tutti bravi teologi, gli amici di Giobbe; tutti avvocati di Dio e sacerdoti della teodicea: «Con Dio non si alza la voce, Giobbe: evidentemente te la sei cercata».
Il finale di Giobbe, ovvero “la versione di Dio”
E alla fine il Signore compare «levandosi dal turbine», e dopo aver duramente ammonito Giobbe, come si può solo tra persone che hanno in comune l’aver molto patito, si rivolge ai suoi zelanti avvocati, parlando con il loro corifeo:
La mia ira si è accesa contro di te e contro i tuoi due amici, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe. Prendete dunque sette vitelli e sette montoni e andate dal mio servo Giobbe e offriteli in olocausto per voi; il mio servo Giobbe pregherà per voi, affinché io, per riguardo a lui, non punisca la vostra stoltezza, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe.
Gb 42, 7-8
Ecco, è Parola di Dio: il Signore non si disturba, se alziamo la voce durante la preghiera. Anzi, osserva acutamente Wénin nel suo libro, nella Bibbia è Caino il personaggio che si rifiuta di dire il proprio dolore a Dio, e per questo immediatamente sfoga quel dolore inespresso nell’atto che non fu il primo peccato della storia, ma che divenne bensì il primo omicidio.
Se la Bibbia non parlasse di violenza non mi interesserebbe, non sarebbe credibile perché non parlerebbe del mondo in cui viviamo.
Sì, signori: queste parole non sono di Quentin Tarantino, ma di un ultrasessantenne europeo docente di teologia.
Ora, per quanto io ami i salmi deprecatori e abbia sempre lamentato l’interruzione sul più bello del Salmo 137 (una cosa per me immorale quanto un coitus interruptus!), certo bisogna riconoscere che sono testi difficili, ostici e da spiegare con calma. Il cristianesimo, però, non è in balia di imam folli in giro per il mondo: il suo testo viene spiegato autenticamente dal Magistero, a cui – come ricordava lo stesso Paolo VI in Laudis canticum – spetta il compito di introdurre adeguatamente i fedeli alla preghiera del salterio.
Eppure quella dello struzzo non è una soluzione: se anche si può accettare come principio pedagogico l’acclimatazione graduale alla violenza di certe pagine bibliche, si deve pure lamentare che gran parte dei commenti ai salmi (anche ottimi, tipo quello di Luís Alonso Schoekel o di Paul Beauchamp!) si limitano appena a dire due parole sull’esegesi allegorica quando proprio non possono farne a meno, ma non tematizzano a dovere l’argomento dell’imprecazione nella preghiera. Wénin denuncia duramente, quindi che alcuni sono stati riscritti, «così da conferire loro un tono più accettabile»; altri sono stati trattati come anticaglie precristiane, un residuato veterotestamentario «declassato dalla rivelazione cristiana»; altri ancora sono stati interpretati come «il riflesso dell’uomo vecchio» che si oppone al Vangelo e «dal quale dobbiamo ancora essere salvati». Qualche esegeta ha perfino (impudentemente!) argomentato che in certi Salmi «si apprende ciò che Dio non è». Personalmente saluto queste pagine di Wénin con grande gioia, ritenendo che faranno molto bene a molti e alla Chiesa tutta. Sono euforico nel dirlo? Sì, direi col salmista stesso: «Come un guerriero eccito il mio ardore». E Wénin non è meno esplicito:
Sono arrabbiato con la mia Chiesa che priva i credenti di una risorsa straordinaria, fonte senza pari di intelligenza della vita umana e di spiritualità.
Gli appunti delle lezioni di Bruna Costacurta
Ha tutte le ragioni del mondo. Mi consola il ricordo delle lezioni della professoressa Bruna Costacurta, in Gregoriana, che pure lei affrontava l’argomento (con determinata delicatezza e un tocco virile in guanto rosa). Rileggo le sue parole nei miei appunti:
Questo ci porta ad interrogarci sul problema della violenza nei salmi, nei testi che dovrebbero essere testi di preghiera. È un problema dibattuto. Questa violenza diventa imprecazione, richiesta di vendetta, ma come mettere insieme queste due dimensioni, come pregare e imprecare? È il problema dei salmi imprecatori, ma in molti salmi ci sono frasi imprecatici. Un esempio è il salmo 83. Si chiede a Dio di intervenire e secondo le modalità della storia e della natura, fare come il turbine, come il fuoco, il terremoto, insomma distruzione totale. E poi «distruggili come è successo al tempo dei Giudici al tempo dei Cananei e Madianiti». A cosa si fa riferimento qui? Gdc 7 e 8: Gedeone che spaventa i Madianiti, i quali finiscono con l’ammazzarsi a vicenda; i Cananei in Gdc 4 e 5: il generale Sisara fugge sconfitto, chiede riparo alla tenda di Giaele che quando si addormenta gli ficca nella tempia il picchetto della tenda.
Questi nemici si stanno rivolgendo contro Dio e il salmista lo dice chiaramente: «Sono i tuoi nemici, coloro che ti odiano, allora svegliati, intervieni». E nel momento in cui nomina questi nemici si scopre che sono popoli che sono stati nemici di Israele con la volontà di opporsi a Dio, di impedire il realizzarsi del suo progetto, sempre una dimensione blasfema, sono nemici del popolo ma in primis di Dio, hanno tutti svolto una funzione di contrapposizione anche al divino. Quello che adesso dicono i nemici contro cui il salmista si scaglia ha una valenza blasfema: chiedono che Israele non sia più ricordato da Dio. «Conquistiamo per noi pascoli di Dio», e qui usano un verbo teologico molto usato in Dt, il verbo usato per dire ciò che Dio dà in eredità: «Prendiamoci questa eredità di Dio non come un suo dono, ma per strappare questo dono e così interrompere l’alleanza». Il dono è rifiutato e Dio affermato come infedele. Davanti a questa ostilità nei confronti del divino, ecco il salmo che chiede l’intervento del Signore, che deve piantare il chiodo nella tempia del nemico.
Ci troviamo nella Scrittura davanti a preghiere che chiedono morte al Dio della vita. È contraddittorio? Cosa dire davanti a questi testi? Certo non è soluzione fare finta che non ci siano: cerchiamo di capire cosa vogliono dire. La prima cosa è che questi salmi sono preghiere che nascono dalla consapevolezza che il male e il peccato sono realtà contro Dio: chi prega il salmo imprecatorio non è tanto preoccupato del male che riceve quanto del fatto che il male mette in gioco Dio, fa male a Dio. Se il male trionfa senza che Dio intervenga, diventa legittimo chiedersi dove sia Dio. Se il male vince, dov’è Dio? O non c’è o è impotente, che è la stessa cosa.
La preghiera imprecatoria si preoccupa di Dio e aiuta chi prega a capire la profondità del male e dell’orrore del male. Il salmo imprecatorio ti costringe a reagire, dicendoti che se davanti al male rimani fermo, calmo, tranquillo, sorridente, se tu fai questo stai mentendo, vuol dire che non te ne importa niente, o sei connivente o sei indifferente. Prova a farti toccare da quell’orrore, vivi fino in fondo quell’orrore e poi vediamo se resti ancora calmo. Il salmo imprecatorio dice che davanti al male bisogna reagire violentemente e ti fa tirare fuori tutta la tua violenza; la preghiera imprecatoria fa sì che questo desiderio di vendetta venga fuori, che si abbia il coraggio di dirlo, ma come preghiera, mostrando la nostra realtà di violenza a Dio, mettendola davanti a Dio per chiedere a lui di convertirci, se trasformiamo il nostro desiderio in preghiera in realtà ci stiamo rinunciando, chiediamo sì a Dio di fare vendetta, gli chiediamo questo però poi dicendogli che sia lui a farlo, nella consapevolezza che quando siamo noi a fare vendetta usiamo i nostri criteri, quando la fa Dio, bene, Lui la farà secondo i suoi criteri.
Noi chiediamo che Dio vinca utilizzando le nostre immagini, ma lasciando a Dio di fare vendetta a suo modo. E il modo di Dio ormai lo conosciamo, Dio fa vendetta perdonando, distruggendo il vitello d’oro, polverizzandolo e poi dando le seconde tavole. Dio fa vendetta distruggendo non il peccatore ma il peccato, e ultimamente fa vendetta mandando suo Figlio ad uccidere la morte e a distruggere il peccato. Pregare i salmi imprecatori è chiedere che venga pasqua, che la morte muoia, è chiedere quello che chiediamo nel Pater, venga il tuo regno, venga presto, venga con tutta la forza di Dio, la violenza non della nostra vendetta, ma la violenza del nostro desiderio del regno di Dio, i salmi ci prestano le parole per chiedere con forza che venga il regno e sia il regno di pasqua lì dove la morte muore e il peccato è vinto. Allora questi salmi ci aprono al desiderio di salvezza, trasformando il desiderio di morte in desiderio di vita. E non ci dimentichiamo che quando chiediamo che il male venga distrutto con tutta quella violenza, stiamo anche chiedendo che sia distrutto il nostro male, chiediamo che quel chiodo sia infilato nella nostra tempia per poterci aprire al bene della vita.
I salmi deprecatori secondo Agostino
Che balsamo, rileggere questa lezione… e che gioia nel ricordare che non si tratta dell’accomodamento allegorizzante che gli esegeti moderni si danno negli ultimi anni, ma proprio di una stretta prova di fedeltà alla Tradizione ermeneutica della Chiesa. Torniamo a sederci tra i cristiani di Ippona, che nelle parole di Agostino si scoprivano fratelli e sorelle del salmista proprio a partire dal suo dolore. Agostino ci mostrerà che anche noi siamo fratelli del salmista, e fratelli e sorelle del suo popolo di allora, che veniva guidato dalla Parola – proprio come noi – verso l’incontro con Cristo.
Gettate via le vanità e rinati alla [vera] vita, avanzino verso Dio e ripaghino Babilonia. Con quale ricompensa? Con la stessa che lei aveva usata verso di noi. Siano soffocati i suoi piccoli! Sì! In compenso [del male arrecatoci] siano sfracellati i suoi piccoli e muoiano. Chi sono i piccoli di Babilonia? Le cattive passioni appena nate. C’è infatti della gente che contrasta le tendenze cattive quando sono invecchiate. Ma tu quando vedi nascere in te una passione, prima che si irrobustisca e divenga abitudine cattiva, mentre è ancora piccola, non consentirle di acquistar forza di abitudine perversa. Schiacciala mentre è ancora piccola. Ma tu forse temi che anche schiacciata non muoia. Ebbene, sbattila sulla pietra, la quale pietra è Cristo.
Fratelli, che i nostri strumenti non cessino di suonare mediante la pratica di opere buone. Cantatevi a vicenda i cantici di Sion. Avete ascoltato volentieri [la nostra parola]; ebbene, con maggiore slancio eseguite ciò che avete ascoltato, se non volete essere salici di Babilonia, alimentati dalle sue acque e privi di frutti. E sospirate verso l’eterna Gerusalemme. Là dove vi precede la vostra speranza sia orientata la vostra vita. Là saremo insieme con Cristo. Anche ora Cristo è nostro capo, ma ora ci governa dall’alto: un giorno ci accoglierà in quella città e saremo con lui, divenuti uguali agli angeli di Dio. Non avremmo mai osato immaginarci una sorte simile se non ce l’avesse promesso la Verità. Questa sorte desiderate ardentemente, o fratelli! ad essa pensate di giorno e di notte. Qualunque prosperità di questo mondo vi arrida, non ve ne fidate! né intavolate amichevoli discorsi con le vostre passioni. Si tratta d’un nemico grande? uccidetelo sulla pietra. Si tratta di un nemico minuscolo? schiacciatelo sulla pietra. I grandi nemici uccideteli sulla pietra; i piccoli schiacciateli sulla pietra. Vinca la pietra. Siate costruiti sulla pietra, se non volete essere travolti dal fiume, dai venti, dalla pioggia. Se volete essere armati nella lotta contro le tentazioni del mondo, cresca e si irrobustisca nei vostri cuori il desiderio della Gerusalemme eterna. Passerà la prigionia, verrà la felicità, sarà condannato l’ultimo nemico e noi trionferemo col nostro Re liberi dalla morte.
Aug., in Ps. 136, 21-22