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Epilessia: quella scarica che oggi si può controllare

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BenEssere - pubblicato il 11/12/17

Le crisi possono avere manifestazioni molto diverse che non necessariamente comportano una perdita di coscienza. A seconda dell’area del cervello interessata cambiano le terapie da adottare.

di Francesca Mascheroni in collaborazione con il professor Federico Vigevano, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale pediatrico “Bambino Gesù” di Roma

Una vita di qualità, con qualche limite, è vero, ma valutato di volta in volta e solo se veramente necessario. È questo l’obiettivo che oggi ci si propone di offrire a coloro che soffrono di epilessia, una patologia un tempo piuttosto invalidante e su cui circolano ancora numerosi pregiudizi e luoghi comuni. Per esempio, non tutti sanno che
le crisi epilettiche possono avere manifestazioni estremamente diverse e che non necessariamente comportano una perdita di coscienza. «Proprio così», spiega il professor Federico Vigevano, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale pediatrico “Bambino Gesù” di Roma. «Le manifestazioni della malattia assumono forme differenti, a seconda dell’area del cervello coinvolta».

Che cos’è l’epilessia

È una malattia del cervello causata da un’alterazione dell’attività dei neuroni. Questa alterazione tende a provocare scariche elettriche abnormi, in una zona più o meno vasta. Se la crisi interessa un’area ristretta di un emisfero cerebrale, viene chiamata “focale” o “parziale”; se invece coinvolge entrambi gli emisferi si definisce “generalizzata”. La “scarica anomala” delle cellule cerebrali che è alla base di queste crisi può determinare sensazioni (percezioni insolite di odori, suoni, sapori) o azioni involontarie, brevi compromissioni della coscienza (le cosiddette “assenze”) o completa perdita di contatto con l’ambiente, automatismi, irrigidimento di…uso e scosse che si manifestano in tutto il corpo. Anche la frequenza è molto variabile: «In qualche caso, si possono avere più crisi al giorno», afferma l’esperto. «In altri, si hanno invece solo uno o due episodi nel corso dell’intera vita (per esempio, in certe forme infantili con crisi notturne). Proprio perché possiamo avere varie forme di epilessia, con diversi tipi di crisi, è più corretto usare il plurale: le epilessie».

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C’è una predisposizione genetica

La maggior parte delle epilessie esordisce prima della pubertà. Nel 30Ï40 per cento dei casi alla base c’è una predisposizione genetica. Ma come si arriva alla diagnosi? «In effetti, la diagnosi di crisi epilettica non sempre è facile, soprattutto nei casi in cui non vi siano stati sintomi ben evidenti, come nelle convulsioni clonico-toniche», risponde lo specialista. «Oltre al racconto del paziente e, soprattutto, a quello di testimoni, in genere si ricorre a un elettroencefalogramma, esame in grado di cogliere eventuali anomalie dell’attività elettrica cerebrale anche al di fuori della crisi epilettica. Un ulteriore approfondimento si può avere dalla Risonanza magnetica, con cui è possibile individuare l’eventuale lesione cerebrale causa dell’epilessia».




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Valutare caso per caso

La terapia principale è quella farmacologica: «Attualmente esistono molti farmaci per questa patologia», commenta il professor Vigevano. «In particolare, gli antiepilettici di ultima generazione sono in grado di tenere sotto controllo i sintomi, con una notevole riduzione degli effetti collaterali. Dobbiamo comunque attentamente valutare la situazione caso per caso, in modo da ritagliare un trattamento il più possibile su misura del paziente e delle sue esigenze. Per questo è fondamentale sottoporsi con regolarità agli incontri con lo specialista, così da ottenere i risultati migliori». Non generalizzare, ma valutare caso per caso, è anche la strategia vincente per non dare limitazioni ingiustificate: «Oggi non è detto che un paziente epilettico non possa prendere la patente, se le sue condizioni sono buone e non ha crisi da almeno due anni», osserva l’esperto. «Allo stesso modo, sempre sotto stretto controllo medico, una donna che soffre di questa malattia, se lo desidera, può intraprendere una gravidanza con bassissimi rischi».

Quando i farmaci non funzionano

Con i farmaci, si riesce a controllare le crisi nel 60-70 per cento dei casi. Ma quali alternative si hanno quando
nessun trattamento farmacologico sembra funzionare? «Ad alcuni pazienti viene proposto l’intervento chirurgico, che consiste nel rimuovere la zona cerebrale da cui ha origine la crisi», spiega il professor Vigevano. «Naturalmente, è fondamentale essere assolutamente sicuri che tale area sia circoscritta e che la sua asportazione non provocherà al paziente alcun tipo di deficit neurologico: un’informazione che si ottiene grazie a un accurato e sofisticato studio pre-chirurgico. Purtroppo, proprio a causa di questa indispensabile selezione, solo il 10-15 per cento dei pazienti può giovarsi della chirurgia».

Una porta aperta verso il futuro

Una soluzione alternativa può essere la neurostimolazione, un approccio particolarmente interessante e che potrebbe aprire, in futuro, nuovi orizzonti: «Al paziente viene applicato sottopelle, a sinistra dello sterno, una specie di pace-maker che, tramite un sottilissimo elettrodo inserito nel nervo vago, invia al cervello degli impulsi elettrici ripetitivi, in grado di tenere sotto controllo l’ipereccitabilità dei neuroni», spiega lo specialista. «Attualmente si stanno cercando di realizzare nuove tipologie di dispositivi, in grado di andare più in profondità e soprattutto
più vicino all’area da cui parte la crisi, per risultati sempre più mirati ed efficaci». Una tecnica che negli ultimi anni è stata usata per malattie come il disturbo ossessivo-compulsivo, la depressione maggiore e la malattia di Alzheimer. Come si vede, le applicazioni si vanno sempre più allargando.

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