Gli dissi che dovevo aver avuto “8 o 13 anni”. Non riuscivo neanche a ricordarlo.
“Capisci che sei in uno stato di peccato mortale”, mi disse. “Non puoi ricevere la Comunione quando sei in peccato mortale”.
Gli promisi che avrei smesso di farlo e che mi sarei informato sugli orari delle confessioni quando fossi tornato a casa a Tucson.
“No”, obiettò lui. “Puoi confessarti anche subito. Sei impegnato?”
“No”, ammisi. E allora mi portò alla chiesa del campus, e nel tragitto ripassammo le regole.
“Devi confessare i peccati mortali per nome e numero”, disse elencando i peccati mortali che pensava potessi aver commesso e aiutandomi a capire quante volte potevo averli commessi da quando avevo “8 o 13 anni”.
Diciassette minuti dopo ero in ginocchio nel confessionale di padre Robert Plushkell, il gesuita che aveva assunto come missione personale il fatto di essere disponibile per le confessioni nel campus.
Elencai anni di infrazioni, per nome e numero, facendo esattamente quello che Dan mi aveva detto di fare.
Dev’essere sembrato strano a padre Plushkell. Probabilmente aveva ascoltato moltissime confessioni meccaniche di persone che non sembravanno essere davvero coinvolte in quello che dicevano, e altrettanto probabilmente aveva ascoltato moltissime confessioni sentite e accurate di persone che tornavano ad accostarsi al sacramento dopo anni di lontananza.
Probabilmente, però, non aveva sentito molte confessioni lunghe una vita così specifiche e al contempo meccaniche.
Alla fine del mio elenco mi chiese: “Sei pentito?”
“Sicuramente”, dissi io.
“Voglio che tu torni a confessarti ogni settimana per un po’”, mi disse. “In genere non raccomando la confessione settimanale, ma tu ne hai bisogno”.
“Nessun problema”.
Dan mi aspettava fuori dal confessionale, e mi chiese ansioso come mi sentissi.
Dissi che non sentivo niente.
“Il demonio fa sempre così”, mi disse. “Non ti fa sentire niente dopo la confessione ma la Grazia è ancora lì”.
Aveva ragione. Da quel giorno la mia vita è completamente cambiata.