Rivolgendosi ai partecipanti al corso promosso dal Tribunale della Rota Romana ed incentrato sul tema “Il nuovo processo matrimoniale e la procedura Super Rato”di Amedeo Lomonaco
La “consolazione pastorale” è il fine della nuova normativa matrimoniale. E’ quanto ha affermato stamani Papa Francesco rivolgendosi ai partecipanti al “Corso di formazione per chierici e laici”, tenutosi dal 20 al 25 novembre a Roma. L’iniziativa, promossa dal Tribunale della Rota Romana, è incentrata sul tema: “Il nuovo processo matrimoniale e la procedura Super Rato”. La nuova normativa – ha aggiunto il Santo Padre – è “espressione della Chiesa che è in grado di accogliere e curare chi è ferito in vario modo dalla vita e, al tempo stesso, è richiamo all’impegno per la difesa della sacralità della vita”. Ha quindi rivolto una esortazione:
“Nel vostro servizio, voi siete chiamati ad essere prossimi alla solitudine e alla sofferenza dei fedeli che attendono dalla giustizia ecclesiale l’aiuto competente e fattuale per poter ritrovare la pace delle loro coscienze e la volontà di Dio sulla riammissione all’Eucaristia”.
Si recuperi la prassi sinodale
Di fronte “alle questioni più spinose che riguardano la missione evangelizzatrice e la salvezza delle anime – ha poi spiegato il Pontefice – è importante che la Chiesa recuperi sempre più la prassi sinodale della prima comunità di Gerusalemme”:
“Lo spirito sinodale e la consolazione pastorale diventino forma del vostro agire nella Chiesa, specialmente in quell’ambito così delicato che è quello della famiglia alla ricerca della verità sullo stato coniugale dei coniugi. Con questo atteggiamento ognuno di voi sia leale collaboratore del proprio vescovo, al quale le nuove norme riconoscono un ruolo determinante, soprattutto nel processo breve, in quanto egli è il ‘giudice nato’ della Chiesa particolare”.
Il processo breve non è un’opzione
Nella nuova normativa è stata abolita la doppia sentenza conforme, e si è dato vita al cosiddetto “processo breviore”, rimettendo al centro la figura e il ruolo del vescovo diocesano o dell’eparca, nel caso delle Chiese orientali, come giudice delle cause. Il vescovo diocesano – ha precisato Papa Francesco – è “giudice personale ed unico nel processo breviore”. Tale processo – ha ricordato il Papa – “non è un’opzione che il vescovo diocesano può scegliere ma è un obbligo che proviene dalla sua consacrazione e dalla missio ricevuta”.
Misericordia, prossimità e gratuità
La figura del vescovo-diocesano-giudice è “l’architrave”, “il principio costitutivo e l’elemento discriminante dell’intero processo breviore”. “Egli – ha aggiunto il Pontefice – è competente esclusivo nelle tre fasi del processo breviore”: l’istanza, “che va sempre indirizzata al vescovo diocesano”, l’istruttoria e la decisione. Uno dei criteri fondamentali è “la misericordia”. Tale fondamento – ha affermato il Papa – richiede che “il vescovo diocesano attui quanto prima il processo breviore”. “La prossimità e la gratuità sono le due perle di cui hanno bisogno i poveri, che la Chiesa deve amare sopra ogni cosa”.
Tenere presenti due recenti lettere apostoliche in forma di “Motu Proprio”
Papa Francesco ha anche sottolineato che è necessario “riservare grande attenzione e adeguata analisi” alle due sue recenti lettere apostoliche, in forma di “Motu Proprio”, “scaturite da un contesto sinodale”, “espressione di un metodo sinodale” e “approdo di un serio cammino sinodale”:
“Mitis Iudex Dominus Jesus” sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio nel codice di diritto canonico. Sono indicate disposizioni – si legge in questa lettera apostolica – per favorire “non la nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi, non meno che una giusta semplicità, affinché, a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio”.
“Mitis et misericors Iesus” sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio nel codice dei canoni delle Chiese Orientali. “I Sinodi delle Chiese orientali, che devono essere soprattutto spinti dall’ansia apostolica di raggiungere i fedeli dispersi, avvertano fortemente – si sottolinea in questo documento – il dovere di condividere la conversione, e rispettino assolutamente il diritto dei vescovi di organizzare la potestà giudiziale nella propria Chiesa particolare”.