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Perchè Don Pino Puglisi è un esempio di resilienza?

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia Italia - pubblicato il 27/11/17
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La sua resistenza è stata la capacità di essere scomodo, tessendo una lotta alla mafia “silenziosa”

Un parroco di periferia, con grandi orecchi e un sorriso disarmante. Un uomo che ha pagato col suo sangue la dimostrazione che il cambiamento è davvero possibile. La sua dolce concretezza – come testimonia chi ha conosciuto Padre Pino Puglisi – ha protetto i bambini e gli adolescenti che le criminalità organizzate volevano sacrificare distruggendone la creatività e il sentimento di efficacia.

Sergio Astori, in “Resilienza” (edizioni San Paolo) accosta il prete siciliano ad un vero e proprio esempio di resilienza.

Padre Pino Puglisi (per tutti i suoi amici “3P”), è stato capace di «accumulare il maggior numero d’informazioni utili, aspettando più che si può, prima di agire», in contro-narrazione rispetto al “presidio del territorio” operato dalle mafie. Forse proprio per questa capacità di “contro-tessitura” 3P è diventato scomodo fino al martirio.

Ucciso in odio al suo ministero sacerdotale

Nelle parole di monsignor Vincenzo Bertolone, vescovo postulatore della causa che il 25 maggio 2013 ha portato alla beatificazione del coraggioso parroco di Palermo assassinato dalla mafia il 15 settembre 1993, giorno del suo compleanno, «il riconoscimento del martirio da parte del Santo Padre significa che don Pino Puglisi è stato ucciso in odio al suo ministero sacerdotale».



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La verità di Cristo

«La sua azione – prosegue Bertolone – a favore della giustizia, della pace, della dignità, della promozione dei piccoli affinché fossero liberati dalla malapianta della mafia è stata la ragione di fondo per la quale Bagarella, il capo dei capi della mafia, e i Graviano, che erano i capi di Brancaccio, si vedevano togliere il terreno sotto i piedi in quanto la gente non dipendeva più da loro, e don Pino Puglisi doveva essere eliminato perché in quel territorio non ci doveva essere altro Dio che il dio di “Madre natura” cioè la mafia».

E monsignor Bertolone continua: «Non è stato un prete contro, ma per l’uomo, un sacerdote che ha avvertito il bisogno incoercibile di proporre, in ogni modo e con ogni mezzo, la verità di Cristo».



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La ricetta per vincere la mafia

Per le riflessioni sulla resilienza, 3P è esempio vivo di come si vince la tirannia del tempo vivendo pienamente la propria vita, di come si vince un sistema che controlla con sopruso con la forza di un’inerme debolezza, di come si vince ogni ristrettezza morale e chiusura mentale indicando ai più giovani di guardare con fiducia oltre ogni ristretto confine.

La “strategia” resiliente di Puglisi

Quell’andare e venire di tempi e scelte è proprio della resilienza e il magistrato presso il Tribunale di Caltanissetta Giovanbattista Tona a lo ha riassunto efficacemente in una frase: «Fermarsi, guardarsi indietro, capire che non si è capito e poi riprendere il cammino cercando la direzione, ma senza rinunciare alla strada».



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Come Gandhi

Tona traccia un ritratto perfetto della resilienza di Pugliesi. «Ha lottato per la libertà, tanto quanto Gandhi, con una semplicità disarmante. È andato incontro al nemico, non allo scontro con lui. Avrebbe potuto anche sembrare folle, eppure era così: disarmante. Tanto più grande era il sistema da cambiare e tanto più semplice era l’approccio per poterlo cambiare».

La “finta” protezione mafiosa

I modi gentili e fermi di Padre Puglisi «facevano vacillare l’idea centrale su cui si sosteneva il reclutamento dei più giovani. Mentre i signori dell’illegalità chiedevano di essere adorati come se fossero una nuova dea madre, i sorrisi di 3P dimostravano quanto fosse vano affidarsi a una forma così superstiziosa e sacrilega di protezione».

Secondo il magistrato «aveva la dignità della debolezza. Era inattaccabile perché era inerme. Mostrava di non avere nulla, di non volere conseguire nulla e in ogni caso di non avere nulla da perdere. Perché alla fin fine poteva fare a meno di tutto. Almeno di tutto quello che potevano dargli gli uomini. Del Vangelo, di cui non poteva fare a meno, nessuno poteva privarlo».



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Il paradosso di Don Pino

Al popolo di Brancaccio quel parroco dagli abiti consunti e con la macchina scassata «sembrava quindi uno che, dimesso com’era, poteva tenere testa a tutti e non aveva paura di nessuno. E quindi o era potente o era pazzo o era un esibizionista. Forse per questo – osserva il giudice – negli ambienti a lui ostili circolava la domanda dileggiante, con modo di dire tipico siciliano: “Ma perché non fa il prete?”».

A pensarci bene qui sta tutto il paradosso di Puglisi che tanto somiglia al paradosso del Vangelo. Proprio lui che oggi è indicato come esempio di prete autentico, il “prete e basta” posto in antitesi con la mediatica definizione di “prete antimafia”, era proprio quello che la cultura mafiosa, tanto intrisa di devozionismo e secolaristica religiosità, considerava uno che, anziché fare quello che faceva, “avrebbe dovuto fare il prete”.

La sua forza

Insomma, conclude Toma, «i piccoli li attraeva e i grandi li confondeva. Con il suo agire franco e luminoso, con il suo essere determinato e forte proprio perché inerme e debole, dava energia a chi voleva resistere alla cultura mafiosa ma suscitava resistenze in chi quella cultura condivideva».