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Amare da soli? Impossibile

La gloria di Dio è rendere l’uomo capace di amore. Riflessioni dalla lettura dell’omelia di Monsignor Delpini, Arcivescovo di MilanoPer lavoro ho dovuto ascoltare l’omelia di insediamento di monsignor Delpini, arcivescovo di Milano, quella del 24 settembre, di cui avevo letto qualche eco nei titoli online, e che mi era distrattamente piaciuta (una volta, poi, facciamo un post a parte sulla gestione della quantità eccessiva di informazioni che arrivano dalla rete, e anche sull’assalto di cose belle alla nostra portata: sono troppe e, anche qui, come nella vita spirituale, ci vuole un metodo. Poi mi dite il vostro, io vi dico il mio, versione reale e versione “photoshoppata”, quella in cui una me stessa disciplinata come un monaco ortodosso ha un elenco di libri da leggere, e procede ordinata, e non apre Facebook se non dopo avere ultimato la liturgia delle ore. La versione reale la racconto in privato a chi mi promette che mi vorrà bene comunque).

Comunque, dicevo, questa volta non l’ho solo scorsa velocemente ma l’ho ascoltata tutta perché dovevo trovare una frase  per il pezzo su di lui che stavo montando. Lo so, è una vergogna, ma mi pagano pure per fare questa cosa. Un’omelia commovente, dolcissima e profonda, una musica, quasi, un canto.

Il cuore: la gloria di Dio è rendere l’uomo capace di amore. Non un rullo di tamburi, non spade fiammeggianti, ma la capacità di amare è segno dell’onnipotenza di Dio. Il fatto che renda noi, creature di fango, capaci di una cosa così fuori dalla nostra portata.

Ogni giorno – mi ha detto poi monsignor Delpini nell’intervista – vedo persone che si alzano per aiutare i figli ad andare a scuola, per lavorare, che guidano piano in auto per non fare incidenti. Ogni giorno vedo tracce di questa gloria di Dio.

E io? Io – mi sono chiesta – sono capace di amare? Ho avuto una sorta di disvelamento. Un’apocalisse. Sia nel senso di disvelamento, sia nel senso di fine del mondo. Perché con orrore ho avuto come l’intuizione della mia incapacità di amare. Io non ne sono capace. Neanche so amare i più cari tra i cari quando mi deludono, quando non sono all’altezza delle mie aspettative, quando per esempio sembrano dirmi, con la loro condotta, che io ho sbagliato qualcosa come madre (più esattamente, ci sono momenti in cui mi chiedo non se ho sbagliato qualcosa, ma se ho fatto qualcosa di giusto).



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Ecco, amare è difficile. Amare è una grazia. Amare i vicini è difficilissimo. Perché non è solo questione di essere gentili con un estraneo, quello è facile. È questione di accettare la tua immagine che l’altro che ti conosce bene ti rimanda di te, e che non è sempre lusinghiera. Amare i vicini è la cosa più difficile del mondo, perché ha a che fare con la nostra verità. Quindi amare davvero implica sempre, prima, accettare il limite.

A volte noi crediamo di amare Dio perché non amiamo nessuno. Tutti sono sbagliati (tranne noi), tutti deludono, allora ci rifugiamo in una nostra idea di Dio. Lui sì che è amabile, lui sì che ci ama.

Quando ti senti troppo mistica, vai a trovare la suocera – dice sempre un frate che conosco. Quando ti senti brava, fai qualcosa di serio per tua cognata, per il cugino. Perdi qualcosa di tuo. Ma non l’oretta di volontariato. Fatti rovinare il programma. Stai con i figli e accetta che non facciano assolutamente niente di quello che tu credevi di avere insegnato. Lo evitano scientificamente. E continuano imperterriti nonostante le tue prediche. Accetta di tacere e continua ad amare. Anzi, comincia. Perché io sospetto che, dopo avere ascoltato omelie, ritiri, incontri, conferenze, meditazioni, sto ancora all’inizio.

Amare da soli è impossibile. Noi come san Paolo vediamo il bene, ma non riusciamo a farlo. E non si tratta di sforzarci ancora di più, ma di arrenderci alla nostra cattiveria, e di mendicare la grazia di essere guariti. Ogni tanto. Almeno per qualche momento.



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