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Perché i figli non ci ascoltano più

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Lucetta Scaraffia - L'Osservatore Romano - pubblicato il 16/11/17

Perché i nostri figli, ma più in generale i giovani, non ci ascoltano più? Da molte parti si stanno alzando voci che denunciano l’interruzione di quella trasmissione di saperi, valori, insegnamenti e principi morali fra le generazioni che aveva sempre assicurato una tenuta morale e culturale del tessuto sociale. E naturalmente anche della tradizione cristiana: tanto è vero che il tema sarà al centro del prossimo sinodo.

Nel libro Riprendiamoci i nostri figli (Marsilio) Antonio Polito ha avuto il coraggio di uno sguardo attento e impietoso sul mondo dei giovani, che conosce attraverso tre figli di età molto diverse. Con l’idea giusta che prima di decidere che fare bisogna capire bene cosa sta succedendo, e soprattutto bisogna individuare le forze che stanno lavorando per portare via i figli da quel progetto di trasmissione che sta al cuore di ogni percorso educativo.

Certo, un problema è quello della piramide demografica rovesciata, che vede al centro delle attenzioni di varie generazioni di adulti pochi giovani, giovani che non conoscono l’eguaglianza, non hanno mai sperimentato la fratellanza, perché non hanno fratelli. Da lì deriva la diffusione rapida del male del secolo, il narcisismo, e questo fa sì che siamo di fronte a una generazione che rivela una estrema sensibilità verso i rimproveri, perché non è abituata a essere criticata.

E oggi spesso a rimproverare è rimasta solo la famiglia, mentre un tempo le regole di disciplina erano le stesse a scuola, in famiglia, in parrocchia, in pubblico, ovunque ci fossero adulti che vigilavano. Oggi la famiglia che rimprovera è sola, perché per essere considerati buoni genitori, buoni insegnanti, buoni preti, è necessario ricevere l’approvazione dei ragazzi. La scuola non sa più richiedere e ottenere impegno e preparazione proprio quando è richiesto un certo grado di preparazione culturale per non rimanere intrappolati nella ridda dei lavori precari e sottopagati. Ma ogni percorso di studi che impone sforzo e dedizione è svalutato, e «basta contrapporre la ricerca della felicità e dell’autorealizzazione alle regole e agli obblighi del rendimento di studi, e il gioco è fatto» commenta l’autore.

Questo si traduce in un tragico impoverimento del linguaggio, che l’uso della rete trasforma in parole mozze, segnali, disegni: l’effetto di tutto ciò è profondo perché, scrive l’autore, significa «il rifiuto del linguaggio in sé, considerato e vissuto come una prigione, che viene sostituito con forme di comunicazione più stringate, più brutali, più povere». E tali diventano i rapporti, anche quelli amorosi.

I giovani vivono e comunicano solo emozioni, e rivendicano il diritto a una straordinaria fragilità emotiva. In tutto questo il grande assente, oltre alla ragione è il libero arbitrio, cioè la capacità di discernimento: nel loro universo morale sembra non esserci spazio per la responsabilità individuale, perché non c’è libertà, ma solo biologia. Il dominio dell’istinto sembra prevalere su tutto, per una sopravvalutazione di una malintesa idea di autenticità. Fin da bambini, in questa assenza di discernimento, cedono immediatamente a tutte le lusinghe di una pubblicità on line che li raggiunge ormai per vie indirette, nei social e nei giochi, cercando di modellare i loro gusti fin dall’infanzia.

Fra i prodotti desiderati che Polito individua come più difficili da gestire vi è infatti lo smartphone, che «rende i nostri figli incontrollabili», non solo perché del tutto svincolati da ogni possibile sorveglianza, ma anche sempre più lontani: sono infatti «dappertutto e contemporaneamente sempre tra di loro».

Per non parlare dei numerosi e loquaci cattivi maestri che da tutti i media li tranquillizzano dicendo che esistono droghe leggere non dannose che si possono prendere senza timore. In questo difficile mondo nuovo, dove la tradizione è percepita solo come un ingombro da cui liberarsi, i genitori secondo Polito sono stati abbandonati anche dalla Chiesa. Che come tutti i rappresentanti degli adulti, in parte è scesa troppo sul loro terreno, in parte è troppo lontana e impreparata nei confronti del loro mondo.

E così i giovani non trovano più risposta a quell’anelito al grande, all’ideale, al mistero che sentono vivo al loro interno. Ma al quale non basta rispondere con il volontariato, con la morale, con frasi generiche che vanno bene per tutti. Per farsi ascoltare bisogna sapere bene a chi si parla, e ritrovare autorevolezza e forza, ritrovare lo spirito per farli emergere da una realtà che li umilia.

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