“Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata”
(Elie Wiesel, La Notte)
Chi ha vissuto l’esperienza di vegliare un ammalato, soprattutto nel caso in cui si tratti di una persona cara, sa cosa voglia dire lottare con il sonno: fai di tutto per rimanere sveglio, raccogli tutte le tue energie, fai appello a tutte le tue risorse, ma capita comunque che ti addormenti, magari per brevi tratti, brevi istanti che sfuggono al controllo. Così accade anche nella vita: per quanto possiamo impegnarci a rimanere svegli, capita comunque di addormentarsi.
Ci addormentiamo per stanchezza o per sfiducia, ci addormentiamo perché siamo delusi o perché non vogliamo vedere come stanno veramente le cose, ci addormentiamo perché siamo superficiali o perché abbiamo perso il coraggio di aspettare ancora.
Questo brano del Vangelo descrive proprio il sonno che si diffonde nella comunità stanca di aspettare il suo sposo. Dovrebbe essere una notte di festa, una notte di gioia perché finalmente ritorna colui che aspettiamo, lo sposo, colui che dà pienezza alla vita. E invece quella notte si trasforma in un tempo di delusione: le cose non vanno come ci saremmo aspettati. Dio non rispetta i tempi che avevamo previsto, lo sposo non arriva secondo i nostri calcoli.
Stando al racconto della parabola, si addormentano tutti, sia le fanciulle sagge che quelle stolte, come a dire che addormentarsi è inevitabile, è una dimensione che attraversa la nostra vita. Non dobbiamo cercare lì, nel sonno, la differenza tra le vergini sagge e quelle stolte.
Al centro della parabola c’è infatti un’altra immagine, quella della lampada e dell’olio. Sono due simboli molto presenti nel linguaggio biblico: la lampada ci ricorda l’invito di Gesù a essere luce del mondo; ci ricorda la lampada che non può essere messa sotto il moggio, ci ricorda che non si può sprecare la vita, non ci si può nascondere sotto un secchio per evitare di vivere; ci ricorda ancora la città sul monte che fa luce al viandante per indicargli la meta, come la nostra vita dovrebbe aiutare gli altri a ritrovare la direzione.
Le dieci fanciulle che portano le lampade richiama soprattutto l’immagine della comunità invitata a danzare nella gioia per fare festa allo sposo che viene. È l’immagine della Chiesa chiamata ad attendere con gioia il ritorno di Cristo. È un’immagine che forse rimanda all’interpretazione rabbinica del coro delle fanciulle nel Cantico dei Cantici, l’immagine cioè dei discepoli che portano la luce della Legge (Torah) e vegliano nell’attesa del Messia.
La lampada però ha bisogno dell’olio per continuare a splendere: è l’olio dell’accoglienza, usato appunto per accendere le torce in attesa dello sposo; ma l’olio è anche quello che viene messo sulle ferite di chi è stato bastonato dalla vita, come nella parabola del Samaritano; è soprattutto l’olio con cui è unto e consacrato il Messia, colui che il nostro cuore continuamente aspetta.
L’olio è quindi il simbolo di gesti molto personali e profondi e forse per questo la parabola esclude che lo si possa trovare al mercato, magari a buon prezzo. Ci sono gesti nella nostra vita che possiamo fare solo noi, gesti che non possono essere rimandati. Ci sono situazioni che ci chiedono di essere pronti, perché non ci sarà un’altra occasione.
Dove sta dunque la differenza tra le fanciulle sagge e quelle stolte? Non certo nell’addormentarsi, ma nell’aver preparato la propria lampada. A volte infatti la lampada si può spegnere, ma se nella vita ci saremo esercitati ad accenderla, ad usarla, allora nei momenti di buio sapremo dove mettere le mani.
Il problema delle fanciulle stolte non è il sonno, il loro problema è più antico, non si sono mai prese cura della lampada che è stata loro affidata. Lo sposo infatti dice loro di non conoscerle affatto. Nella loro vita non si sono mai preoccupate di conoscere lo sposo, per questo adesso sono trovate impreparate.
Nel pieno della notte, anche nel buio più profondo, un grido di gioia ci sveglierà. La notte non può durare per sempre, lo sposo ritornerà. Non riponiamo allora la nostra lampada in cantina, ma proviamo a tenerla accesa, anche se al mondo sembrerà inutile e incomprensibile.
Leggersi dentro
– Cosa fai per tenere accesa la tua lampada?
– Come vivi i momenti di buio della tua vita?
Vangelo della 32ma Domenica del Tempo Ordinario (Mt 25, 1-13):
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]