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‘Gli anni più belli’: sfidare i limiti per superare il cancro

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Dire - Agenzia di Stampa Nazionale - pubblicato il 06/11/17
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Un giovane di 21 anni racconta la sua esperienza con una malattia terribile e la perdita di una gambadi Annalisa Ramundo

Ventuno anni, un tumore diagnosticato l’ultimo anno di liceo, nove mesi di chemioterapia, diverse operazioni, due recidive, due infezioni, sei mesi di antibiotici, una gamba amputata. Tre anni che, raccontati per numeri, assomigliano a un incubo. Non è così per Giacomo Perini, il protagonista de ‘Gli anni più belli. Così la malattia ha cambiato la mia vita’, il cortometraggio della giornalista Livia Parisi che lo scorso 27 ottobre si è aggiudicato il primo premio della giuria del concorso ‘Oncologia e cinema’, promosso dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom).

Un racconto autobiografico di un percorso di malattia che, per questo giovane ragazzo, è stata l’occasione di scoprire se stesso e tutte le nuove passioni che ora riempiono la sua vita. Perché Giacomo, solo poche ore dopo la diagnosi, ha capito che il tumore non l’aveva deciso lui, ma era lui a poter decidere come reagire.

“Quando mi hanno dato la diagnosi mi è letteralmente caduto il pavimento sotto i piedi, il baricentro della mia vita si è spostato, perché ho avuto la sensazione immediata che la mia vita, molto inquadrata tra il liceo e l’equitazione, sport che facevo a livello agonistico, sarebbe cambiata del tutto- racconta all’agenzia di stampa Dire Giacomo-. Lo stesso pomeriggio della diagnosi ho capito però che affrontare la malattia con paura e rassegnazione non mi avrebbe portato a niente e che se avessi reagito cercando qualcosa di buono all’interno del tumore, da quell’avvenimento tragico poteva nascere una grandissima opportunità“.

Un’opportunità che Giacomo è riuscito a cogliere grazie allo sport, la sua “palestra di vita”.

“Se non avessi fatto dieci anni di equitazione, pieni di sacrifici, difficoltà, cadute, non avrei affrontato la malattia così- continua-, perché lo sport ti fa capire due cose: che le cose più belle sono le più difficili da raggiungere, che bisogna percorrere la strada per intero senza fare scorciatoie e che ogni centimetro è fondamentale per raggiungere quel sogno e quell’obiettivo; e, dall’altra parte, che le cadute che nella vita di tutti giorni definiamo metaforiche, nello sport succedono fisicamente. E che la caduta, nello sport come nella vita, non rappresenta la fine, cioè: ‘Smetto di fare sport, smetto di vivere’, ma ti permette di capire dove hai sbagliato e come puoi migliorare per continuare a perseguire quell’obiettivo che ti sei prefissato. Ti dà una visione veritiera della vita e degli strumenti necessari per affrontarla al meglio”.

Affrontare, ad esempio, l’amputazione di una gamba. “Sono stato operato il 22 dicembre e, dopo due mesi, il 17 febbraio, stavo su una barca. Dopo qualche mese poi sono entrato nella squadra paralimpica di canottaggio“.

Una condizione, la perdita dell’integrità fisica, che Giacomo ha deciso di affrontare come aveva affrontato il tumore. Non come un limite, ma come un’opportunità.

“Da un limite può nascere qualcosa di molto più profondo e importante- spiega-. Devi riuscire però a non fermarti al limite, ad andare oltre, a guardare l’infinito che può nascere proprio grazie a quella sensazione che tu hai di non poter più fare quello che facevi prima. Forse è vero che non puoi più fare quello che facevi prima, ma puoi fare molte più cose. Io non faccio più equitazione ma faccio molte altre cose che sono nate in questi anni di malattia”.

E tra le tante cose che Giacomo ha scoperto di voler e saper fare durante la sua malattia ce n’è una fondamentale, che è stata la chiave di volta per il suo rapporto positivo con il tumore. “Raccontarela mia malattia attraverso i post su Facebook e la scrittura di un libro è stato uno degli aspetti che, messi insieme, mi ha permesso di affrontarla al meglio, perché la scrittura mi ha permesso di dare parole esatte a quello che io sentivo dentro. Esternare scrivendo mi ha permesso di avere una sensazione più chiara di quello che dovevo affrontare e, soprattutto, mi ha permesso di capire come lo dovevo affrontare. Ogni capitolo era un peso in meno che mi tenevo dentro, e quindi sono riuscito, grazie alla scrittura, ad affrontare la malattia con leggerezza”. Scrittura che Giacomo definisce “una cura psicologica per l’anima” e che lo ha portato nel 2016 a pubblicare per Intermedia ‘Non siamo immuni‘, il libro che poi è diventata, grazie a Livia Parisi, un docufilm: “Ho accettato perché le immagini potevano raccontare meglio di mille parole tutti quei luoghi che io frequento e che rappresentano le mie passioni di oggi, nate proprio grazie alla malattia, e riuscivano ad arrivare in modo più diretto e senza filtri alle persone che le guarderanno”.

E per Giacomo quelli della malattia sono stati proprio gli anni più belli, nonostante la solitudine della malattia, quel momento in cui “scende la sera, si spengono le luci del reparto, si crea un silenzio assordante e resti tu con la malattia“.

Superare quel momento, secondo Giacomo, significa “cominciare a essere te stesso, ad avere la consapevolezza di quello che stai affrontando e di quello che ti può dare quell’avvenimento. La cosa straordinaria della malattia- continua- è che dopo aver vissuto infanzia, adolescenza, maturità, ti dice: tu devi nascere nella tua vera vita. La malattia ti fa diventare un’altra persona, non vuol dire solitudine e smarrimento, ma conoscere se stessi, riuscire a rispondere alle domande che ti pone in maniera obbligatoria”.

Risposte che Giacomo ha deciso di dare anche ad adolescenti o genitori di ragazzi che gli chiedono come affrontare la malattia e trovare un senso. “La cosa che mi viene sempre in mente è di essere felici per quelli si ha e non infelici per quello che la malattia ti toglie, per quello che non si ha, perché soltanto in questo modo si può vivere la vita al massimo. Questa consapevolezza ti permette di vedere la bellezza anche nel limite. Quello che dico ai ragazzi è che gli uomini e le donne che saranno è determinato dall’essere riusciti a trasformare i limiti e i problemi in punti di forza, perché ti danno una visione veritiera della vita e ti fanno capire chi sei, dove ti trovi, ma soprattutto chi devi diventare e dove devi arrivare”.

 

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