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Sei una di quelle persone che amano molto ma non sanno amare bene?

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Ollyy - Shutterstock

padre Carlos Padilla - pubblicato il 05/11/17

Molte persone amano molto ma non rendono felici le persone amate

Gesù mi chiede di amare il prossimo come me stesso. Mette sullo stesso piano l’amore per Dio e l’amore per il prossimo: Amerai il prossimo tuo come te stesso.

Il cuore non si può dividere in due parti. Non posso dire di amare molto Dio se poi non amo gli uomini. Nell’amore per il prossimo si vede se amo Dio.

Il profeta lo sottolinea: “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido (…) Quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso”.

Voglio imparare ad amare chi soffre, il bisognoso. Il forestiero che cerca rifugio nella mia terra. Il maltrattato e il disprezzato. Quello che nessuno ama. Quello che esige che io lo ami. Chi non ha nulla da darmi quando io lo amo.

Voglio amarlo con un amore immenso. Con quell’amore infinito di Dio che io non possiedo. So che l’amore di Dio in me mi rende più capace di amare. Amplia il mio cuore. Lo rende più grande.

Leggo nel Levitico (19, 18): “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso”. Gesù risponde con la legge. Con quello che i faresi conoscevano molto bene.

Penso a questa misura dell’amore e sento che mi supera. È vero che Dio non mi chiede la sua stessa misura per l’amore. Oggi non mi chiede di amare il nemico. Non mi chiede di amare con un amore infinito.

Mi propone qualcosa apparentemente molto più facile. Amare gli uomini come amo me stesso. Non è impossibile. Ma tutto dipenderà da com’è l’amore per me stesso.

Mi sento piccolo. Vorrei trovare il modo per amare bene me stesso. Spesso non mi voglio tanto bene. Mi amo male. Forse per questo amo male gli altri. Devo imparare ad amare me stesso per poter amare bene.

L’altro giorno leggevo un blog intitolato “Non amarmi molto, amami bene”, e ho ascoltato una canzone che diceva lo stesso nel ritornello: “Non voglio che mi ami tanto, voglio solo che ami bene. Mi sono stancato delle tue false promesse. Ho solo bisogno che tu mi faccia sentire bene”.

Voglio imparare ad amare bene. Non voglio amare molto, quanto piuttosto amare bene. Un amore che nobiliti. Un amore che nasca da un’autostima sana. Voglio amarmi nella mia verità per poter amare gli altri nella loro verità. Amare bene davvero e nella giustizia.

So che quell’amore guarisce e libera. Essere amato da un amore del genere mi rende più libero. Mi fa riconoscere la mia verità.

Amare bene non è così semplice. Molte persone amano molto ma non rendono felici le persone amate. Dov’è la chiave? Un amore che non vuole possedere ma liberare. Un amore che non ama per dovere, ma con libertà. Perché non posso amare per necessità.

Non voglio amori che mi tolgono la pace e la libertà. Chi ci ama deve amarci perché decide di farlo e non perché non potrebbe vivere senza amarci, sottomesso, o perché si sente incapace, inferiore, schiavo anziché re. Chi ama deve farlo liberamente. Se non amasse continuerebbe a sopravvivere, a esistere, ad essere coraggioso e ad avere autostima. Ma vuole farlo volontariamente.

Un amore che non vuole cambiare la persona amata. Un amore che non trattiene. Un amore che non schiavizza. Un amore che non maltratta. Quanto è facile arrivare a maltrattare pretendendo di amare bene! Con parole, gesti, silenzi. A volte il maltrattamento deriva dalla propria insicurezza, dai complessi.

Cerco di amare bene l’altro ma tante volte gli do solo il tempo della mia noia, il tempo che mi avanza. Amo bene ma non ammiro e non nobilito chi amo. E quando l’ammirazione scompare l’amore langue.

Un amore che non parla bene di colui che ama non è un amore sano. Un amore che non rispetta non è un amore sano. È un peccato quando l’eccesso di fiducia mi fa sottolineare con frequenza gli errori del prossimo e magnificare i suoi errori. Forse è il mio orgoglio che non mi permette di guardare con umiltà chi amo. Non riesco a strappargli un sorriso. Non riesco a sostenerlo in mezzo alla tormenta.

Voglio essere amato quando sono stanco e addolorato. Quando non trionfo e sto da solo. Quando gli altri si dimenticano di me. Voglio essere amato quando tutti mi respingono e mi disprezzano. Voglio essere amato quando io stesso non riesco ad amarmi bene.

L’altro giorno ho letto qualcosa di vero: “Amami quando lo merito di meno perché sarà quando ne avrò più bisogno”. Il mio amore per l’altro deve trarre il meglio da lui. Con pazienza e rispetto.

Giorni fa diceva il tennista Rafa Nadal: “Se tutti esigessimo di più da noi stessi anziché esigere tanto dagli altri il mondo andrebbe meglio”.

È curioso. Esigo la perfezione dagli altri mentre passo sopra molto facilmente ai miei difetti. Sono esigente con gli altri e indulgente con me stesso. Trovo sempre una giustificazione.

Vedo che la mia parte è la più difficile. Il mio cammino è il più arido. Mi giustifico. Con gli altri sono inflessibile. Critico e condanno facilmente tutti.

Padre Kentenich parlava di due gradi dell’amore. Da un lato l’amore primitivo, che consiste nel fatto che amo i miei genitori e Dio per amore nei confronti di me stesso.

L’amore per Dio può avere un grado basso: i maestri di spiritualità chiamano “amore di concupiscenza” il grado più basso dell’amore. In esso amo Dio a causa di me stesso. Mediante l’esercizio di questo amore spero nella mia soddisfazione o felicità, o di essere più forte, maturo e puro. Ciò vuol dire che in primo luogo tengo qualcosa per me stesso.

Questo amore è molto comune nella mia vita. Amo l’altro per convenienza, per amore per me stesso. Perché mi rende più felice amare che odiare, amare che disprezzare. Quell’amore primitivo mi porta a chiedermi sempre se l’altro mi rende felice, se si sforza di farmi davvero felice, come diceva la canzone che citavo prima. È la misura del suo amore che mi importa davvero.

Forse perché credo che essendo amato sarò capace di amare di più dopo. Non lo so. L’amore primitivo esiste ed è importante. È il primo passo dell’amore. È necessario.

Ma è certo che sia autoreferenziale. Chi ama così vive pensando alla propria felicità. È un amore che ha posto la misura dell’amore nella propria necessità. Ho bisogno di essere amato bene. Ho bisogno di essere reso felice. Ho bisogno che mi regalino tutto ciò che mi attira.

L’amore dei fidanzati ha molto di quell’amore in un primo momento. Mi sposo perché mi rendano felice. Do per scontato che in quel tentativo io farò felice l’altro. Ma l’accento è posto su di me.

È così anche l’amore del figlio che vuole essere curato, valorizzato, nobilitato, protetto. È l’amore che riceviamo a piccole e grandi dosi fin dalla culla.

Poi, però, col passare del tempo, l’amore deve maturare se vuole continuare ad esistere. Quando l’amore matura si purifica dalle tendenze egoistiche. L’amore primitivo che si cerca diventa un amore che si offre con generosità.

Padre Kentenich aggiunge che la purificazione dell’amore consiste nell’amare l’oggetto innanzitutto a causa di esso e non per amore nei miei confronti.

Amo l’altro per lui, per quello che vale, perché voglio la sua felicità. Voglio che si senta bene al mio fianco. Voglio che sia una persona migliore. Che tiri fuori ciò che ha di meglio dentro di sé.

Voglio un amore così perché è quello che mi libera, che mi nobilita. Un amore paziente e allegro che sa tirar fuori il meglio dagli altri. Un amore che perdona. Che torna a confidare dopo essere stato deluso. Un amore che richiede che io impieghi tutte le mie forze. Un amore che mi rispetta nel mio mistero e cammina al mio fianco senza mettermi fretta. Questo è l’amore che ho sempre desiderato.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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