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L’invasione della moda del “senza”

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Emanuele Fant - Credere - pubblicato il 03/11/17

I cibi per intolleranti vengono consumati anche da chi potrebbe farne a meno: siamo alla ricerca di una vita priva di contrasti. Ma forse anche di sapore

Al supermercato fisso gli scaffali. Pasta senza glutine. Caramelle senza zucchero. Hamburger senza carne. Il mercato del «senza» sta crescendo negli ultimi anni con un ritmo che nessuno si aspettava. Gli esperti di marketing sono stupiti dai repentini successi di prodotti che sulle confezioni esibiscono l’attraente parolina: senza polifosfati, senza grassi idrogenati, senza coloranti artificiali.

Privare un cibo di un ingrediente essenziale nasce come operazione inclusiva: alcune categorie di intolleranti alimentari hanno oggi vita più facile. Ma l’espansione di questa fetta di mercato non è proporzionata alla quantità di persone che davvero hanno bisogno di prodotti speciali. Quindi molti compratori riempiono il carrello di formaggi senza latticini e minestroni privi di fagioli senza una vera motivazione, se non l’attrazione per la preposizione privativa.




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Perché l’indicazione «senza» ci rassicura? Ripenso a quando, da bambino, ci immaginavamo la casa del futuro: era senza spigoli (pareti tondeggianti), senza colori (arredi rigorosamente bianchi), aveva una macchina senza bisogno di un pilota parcheggiata in giardino. Nei nostri sogni l’evoluzione faceva misteriosamente rima con privazione (di contrasti? di fatiche? di emozioni?). Il presente ha confermato la nostra intuizione: il design, la moda, l’architettura hanno generato palazzoni con il vetro trasparente al posto dei muri, uffici minimali, arredamenti integralmente privi di colori.

Il successo del «senza» ha poi varcato i suoi confini: sperimentiamo già decessi indolori, concepimenti senza rapporti sessuali, un’educazione amicale che non prevede nessun «no». Ma siamo sicuri che un mondo privo di contrasti sarà davvero più umano?




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Mi urtano e mi cade il pesto senza aglio che tengo in mano. Penso che forse ho spinto troppo in là la riflessione. Lo raccolgo e lo rimetto sullo scaffale. Prendo quello normale e vado in cassa. Credo che oggi sfiderò la mia cattiva digestione, per il piacere fuorimoda di un sapore.

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