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Che vuol dire “peccare contro lo Spirito Santo”? Come ci si può arrivare?

Mani al cielo

Natali _ Mis|Shutterstock

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 30/10/17 - aggiornato il 19/01/23

In più di un passo evangelico Gesù spende parole terribili per chi giunga a “bestemmiare lo Spirito Santo”, addirittura spiegando che non può esserci perdono per quel peccato. Vediamo cosa significa e perché Cristo fu tanto duro sull'argomento.

«Perciò io vi dico: ogni peccato e (ogni) bestemmia sarà perdonata agli uomini; ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parli contro il Figlio dell’uomo, sarà perdonato; ma chi parla contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato né in questo mondo né in quello futuro.

Mt 12, 32

In verità vi dico: ai figli degli uomini saranno perdonati tutti i peccati e qualunque bestemmia avranno proferita; ma chiunque (colui che) avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non ha perdono in eterno, ma è reo di un peccato eterno». Egli parlava così perché dicevano: «Ha uno spirito immondo».

Mc 3, 28-30

Capita, di tanto in tanto, di ripensare a questi passi, o di imbattersi in qualcuno che per la prima volta vi ha inciampato, e di tornare così a porsi le domande: «E io avrò mai bestemmiato contro lo Spirito Santo?». E se possiamo escludere questo caso, riuscendo ad assicurarci con una qualche certezza di non aver mai proferito parole blasfeme sulla terza Persona della Trinità, non è altrettanto facile escludere in toto di aver peccato contro lo Spirito Santo… in fondo ogni peccato offende “Dio”, la Sua semplice e indivisa natura, ugualmente propria di tutte e singole le Persone divine. Quindi in un certo senso… ogni peccato è contro lo Spirito Santo! Ma dunque arriviamo rapidamente a un bivio che porta a due assurdità uguali e contrapposte: infatti o tutti abbiamo peccato di questa colpa indelebile, e dunque per nessuno di noi c’è salvezza; o tutto è perdonabile e non è vera questa parola di Gesù.

Chiaramente nessuna delle due ipotesi è accettabile, e anzi ognuna delle due – se portata alle estreme conseguenze – avrebbe per effetto l’evacuazione intera del contenuto della fede cristiana. Una cosa interessante, però, è che ogni contesto storico (dettato anzitutto dalla collocazione spazio-temporale dell’uomo in ricerca, e poi anche dalla sua cultura, dalla condizione sociale, dal ceto e via dicendo…) pone sulla Rivelazione le questioni che più sente vive. In tal senso si verifica una volta di più il detto secondo cui ogni critica (cioè in senso lato ogni giudizio, ogni ricerca, ogni domanda…) è un’autobiografia – e visto che parliamo di teologia dovremmo dire che ogni domanda che poniamo è un evento rivelativo in sé stesso, ovvero – senza scomodare Feuerbach – rivela a noi stessi chi siamo noi e, spesso, quali sono gli ostacoli che frapponiamo tra noi e Dio. Vediamo qualche esempio.

Nell’antichità

Non ci si stupisca troppo, ma se si eccettuano i due grandi genî della cristianità prenicena – cioè Tertulliano per l’Occidente latino e Origene per l’Oriente greco – gli oscuri versetti da cui siamo partiti non ebbero grande fortuna. Proprio perché erano oscuri, osserverà giustamente qualcuno. Vero, ma non solo: all’oscurità dei versetti si aggiungeva l’oscurità della stessa fede trinitaria, che fino alla fine del IV secolo non avrebbe avuto una dottrina chiara e unanimemente condivisa sullo Spirito Santo. Poiché dunque i teologi procedono normalmente spiegando le cose oscure tramite quelle chiare, e lumeggiando il tutto al progressivo chiarore del sensus fidei, questi versetti furono lasciati spesso a suonare in sordina, per i primi secoli dell’avventura cristiana, proprio perché non era utile ad alcuno inlustrare obscurum per obscurius, come si dice.

Nel difficilissimo cinquantennio che separò il primo Concilio di Nicea (325) dal primo Concilio di Costantinopoli (381) i versetti in questione erano diventati ancora più spinosi da affrontare: se infatti da una parte si stava ancora combattendo con gli strascichi dell’arianesimo (tutt’altro che morto), e quindi si lottava per affermare che Gesù Cristo era «Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero», i nemici della divinità di Cristo potevano usarli come leva per muovere ai cattolici ortodossi la pesante accusa di voler proseguire la “deriva politeistica” ampliando il numero delle persone divine (quasi alla maniera gnostica). A parte quest’accusa, i passi venivano utili anche ad argomentare la tesi ariana della non-divinità del Figlio: proprio la versione matteana afferma apertamente che non saranno tollerati quegli stessi peccati che, indirizzati contro il “Figlio dell’uomo”, saranno invece remissibili. Dunque due buone ragioni per non maneggiare quei testi esplosivi.

Come sempre, però, lo stesso Spirito suscitò grandi artificieri, nella fattispecie san Basilio di Cesarea in Oriente e sant’Ambrogio di Milano in Occidente, i quali (più o meno indirettamente ripescando nelle meravigliose eredità di Origene e di Tertulliano) riuscirono a maneggiare i versetti della discordia senza restarne uccisi.

Dopo aver messo al sicuro la divinità di Cristo, infatti, i due si diedero a dimostrare quella dello Spirito utilizzando, tra gli altri passi scritturistici, proprio questi. Leggiamo Ambrogio:

Penso, grande Imperatore [il De Spiritu Sancto di Ambrogio è dedicato a Graziano, N.d.T.], che ne risultino soprattutto confutati quelli che respingono lo Spirito Santo. Che sappiano, costoro, come essi sono confutati non solo dalle testimonianze degli Apostoli, ma pure da quella di Nostro Signore; come possono osare di respingere lo Spirito Santo, dal momento che il Signore stesso disse: «Colui che bestemmierà contro il Figlio dell’uomo, gli sarà perdonato; ma chi bestemmierà contro lo Spirito Santo non sarà mai perdonato, né qui né altrove» [Mt 12, 32]. E come fanno costoro a ricacciare lo Spirito Santo tra le cose create? O chi sarà tanto cieco da pensare che se uno maledice una creatura non ci sarà modo di perdonarlo? Infatti gli ebrei furono privati della divina protezione perché adoravano il cancello del paradiso, mentre chi adora e confessa lo Spirito Santo è accetto a Dio, ma colui che non lo confessa è reo di sacrilegio senza perdono: certamente ne consegue che lo Spirito Santo non può essere annoverato tra le cose create, ma poiché Egli è al di sopra di tutte le cose un’offesa a Lui è rea di castigo eterno.

E subito Ambrogio, che si rende conto di aver offerto un fianco troppo scoperto al contropiede degli “pneumatomachi” (venivano chiamati così, nella polemica, quanti negavano la dignità dello Spirito Santo), riprende:

Ma bada con attenzione a cosa ha detto il Signore: «Colui che bestemmia contro il Figlio dell’Uomo sarà perdonato, mentre chi bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà mai perdonato, né ora né alla fine dei tempi». Dunque un’offesa contro il Figlio è diversa da una contro lo Spirito Santo? Se la loro dignità è unica, ed è comune a entrambi, lo stesso vale per l’offesa. Però se qualcuno – distratto dal corpo umano, soggetto ai sensi, dovesse pensare in qualche modo che il passo si spiega col riferimento al Corpo di Cristo (che non dovrebbe apparirci cosa degna di poca attenzione, visto che esso è il tempio della castità e il frutto della Vergine!), egli si rende colpevole, ma non viene escluso dal perdono in quanto può ancora accedervi mediante la fede. Ma se uno nega invece la dignità, la maestà e l’eterno potere dello Spirito Santo, e pensa che magari i demonî non vengano scacciati dallo Spirito Santo, bensì da quello di Belzebù… non si può ricevere il perdono lì dove si è all’apice del sacrilegio: chi ha negato lo Spirito Santo ha negato anche il Padre e il Figlio, perché è lo stesso Spirito di Dio che è lo Spirito di Cristo.

Ambrogio, De Spiritu Sancto, 3, 53-54

Come si vede, dunque, c’è stata un’epoca in cui il peccato contro lo Spirito Santo significava in estrema sintesi “negare la divinità della Terza Persona” (e tutti gli attributi che ne discendevano).

Nell’età moderna

Con un balzo di più di mille anni arriviamo al Catechismus ad Parochos, ovvero il famoso “catechismo tridentino”, il primo dell’età moderna. Il grande Concilio di Trento intendeva offrire uno strumento agile e completo per istruire i pastori in cura d’anime sulle verità della fede cristiana (si erano registrati casi sconvolgenti, incredibili a dirsi oggi: c’erano preti che dicevano messa recitando un’Ave Maria sulle offerte…).

Nel Catechismo tridentino non si fa espressamente l’esegesi di questo versetto, ma in più punti se ne illustra di fatto il significato, e con tinte che mostrano chiaramente come la polemica ariana-pneumatomaca sia ormai decisamente alle spalle della Chiesa: l’uguale divinità delle Persone non dev’essere più affermata contro gli eretici (all’epoca le eresie erano altre), ma per la crescita e la cura dei fedeli. In particolare, illustrando il senso di un articolo specifico del Credo dedicato allo Spirito Santo, il Catechismus ad Parochos insegna:

Nel chiarire questa parte, i parroci dovranno impiegare tutto il loro zelo e la loro diligenza, non essendo lecito al cristiano ignorare o fraintendere questo articolo al pari di quelli precedenti. Perciò l’Apostolo non permise che alcuni cristiani di Efeso ignorassero la Persona dello Spirito Santo. Avendoli interrogati se avessero ricevuto lo Spirito Santo e avendo essi risposto di non saper nemmeno se esistesse lo Spirito Santo, egli soggiunse subito: “Con quale battesimo dunque siete stati battezzati?” (At 19,1.2). Con queste parole volle significare che è necessarissima ai fedeli la conoscenza ben particolare di questo articolo. Da esso, come frutto principale, riceveranno la convinzione che, a ben riflettere, devono ascrivere tutto quanto hanno, a dono e beneficio dello Spirito Santo. Ciò li farà sentire più modestamente e umilmente di sé e li inciterà a porre ogni loro speranza nell’aiuto di Dio. Questo appunto deve essere il primo gradino del cristiano verso la somma sapienza e felicità.

CaP 96

Non fa male, in un’epoca in cui il Concilio Tridentino viene impugnato come “grande Concilio dogmatico”, in un’artificiosa contrapposizione a concilî più recenti che, in quanto “pastorali”, non sarebbero dogmatici, godere della squisita sensibilità pastorale dello stesso: le verità della fede infatti ci istruiscono interiormente su come sentire di noi stessi. E molto opportunamente a questa considerazione, contenuta nella parte che espone il Simbolo, fa seguito questo bel passaggio nella parte che illustra il Decalogo (perché è la fede che legge la Scrittura, non viceversa), e in particolare il primo comandamento:

Mancano a codesto comandamento coloro che non hanno fede, speranza e carità e sono tanti! Infatti rientrano in questa categoria gli eretici, gli increduli circa le verità proposte dalla Chiesa, nostra santa madre; coloro che prestano fede ai sogni, ai presagi e a tutte le altre vane fantasie; quelli che perdono la speranza della propria salvezza, cessando di confidare nella divina bontà; coloro, infine, che contano unicamente sulle ricchezze, sulla salute e sulle forze del corpo. Questa materia è più largamente spiegata da coloro che hanno scritto intorno ai vizi e ai peccati.

CaP 302

Nell’età contemporanea

Nel corso dei secoli a seguire, poi, le disquisizioni degli esegeti, dei moralisti, dei mistici e dei maestri di ascetica si sarebbero cristallizzate in una risposta composta da sei frasi, consegnateci in sintesi dal Catechismo di San Pio X, con cui Papa Sarto (che i modernisti indicano come uomo algido solo perché fu inflessibile argine alle loro eversioni, mentre la storia ce lo consegna quale pastore attento e premuroso – per esempio fu il primo a stabilire regolari catechesi al popolo in Vaticano…) insegnò ai nostri nonni – quando erano bambini – come si faccia a “peccare contro lo Spirito Santo”. Ancora se lo ricordano, i nostri nonni:

  1. Disperare della salvezza;
  2. Presumere di salvarsi senza merito;
  3. Impugnare la verità conosciuta;
  4. Invidiare la grazia altrui;
  5. Ostinarsi nei peccati;
  6. Restare impenitenti fino alla fine.

Ognuno potrà agevolmente comprendere le ragioni dei singoli punti di questo elenco: benché si possano tenere corsi e corsi di teologia, su queste sei frasi, era una risposta pensata perché anche i bambini potessero capirla. Una rapida nota, semmai, potremmo farla sul fatto che questi sei peccati sembrano ascriversi sia ai “rigoristi” (che talvolta impugnano la verità conosciuta…) quanto ai “lassisti” (che spesso presumono di salvarsi senza merito…). Inoltre, da questo elenco si capisce anche bene in che senso tali peccati siano irremissibili: a ben considerarli, ciascuno di essi è un netto chiudersi alla grazia di Dio, il quale «vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità» (1Tim 2, 4). Viceversa, se si nutre invidia per la grazia altrui, se si presume di non dover far fruttare la grazia in veri meriti e opere buone, se ci si macchia di una qualunque di queste colpe… abbiamo già cacciato il Signore molto lontano dal nostro cuore. E Cristo che volle invitarsi a pranzo dal pubblicano ci sarebbe andato, se questi non lo avesse accolto?

Più o meno cent’anni dopo San Pio X, Benedetto XVI promulgò un nuovo catechismo sintetico, basato sul grande Catechismo della Chiesa Cattolica a cui egli stesso aveva contribuito in misura determinante ma divulgato “in pillole”, seguendo il precedente delle domande e risposte. Giovanni Paolo II lo aveva voluto, ma il Papa polacco morì pochi mesi prima della pubblicazione, quando il lavoro era già praticamente completato. Nel Compendio non si trova più la domanda sui “peccati contro lo Spirito Santo” (forse per l’accresciuta sensibilità storico-critica su quanto quei passi siano tuttora problematici), ma alla domanda “Che cosa implica l’affermazione di Dio: «lo sono il Signore Dio tuo» (Es 20,2)?” si legge come risposta:

Implica per il fedele di custodire e attuare le tre virtù teologali e di evitare i peccati che vi si oppongono. La fede crede in Dio e respinge ciò che le è contrario, come ad esempio, il dubbio volontario, l’incredulità, l’eresia, l’apostasia, lo scisma. La speranza attende fiduciosamente la beata visione di Dio e il suo aiuto, evitando la disperazione e la presunzione. La carità ama Dio al di sopra di tutto: vanno dunque respinte l’indifferenza, l’ingratitudine, la tiepidezza, l’accidia o indolenza spirituale, e l’odio di Dio, che nasce dall’orgoglio.

Compendio del CCC 442

E davvero troviamo compendiata in un paragrafo l’importanza di un’adesione intelligente e volitiva alla Rivelazione, dalla quale promana una trasformazione mistica che investe tutta la nostra persona e la riveste di attitudini soprannaturali. Quelle stesse che dallo Spirito vengono e che ci rendono quasi impossibile, a meno che non ci abbrutiamo in gravissimi peccati, bestemmiare contro lo Spirito.

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