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Un semplice motivo per il quale i matrimoni stanno fallendo

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Cerith Gardiner - pubblicato il 21/10/17

Lo psicologo sociale Eli Finkel offre una spiegazione perfettamente comprensibile e facili rimedi da adottare

Alla fine del 2016, il Time ha riferito che il tasso di divorzio è crollato “al punto minimo in quasi 40 anni” e, cosa ancor più positiva, in base ai dati raccolti dal National Center for Family and Marriage Research della Bowling Green State University, sembra che i tassi di matrimonio stiano aumentando. Tutte notizie promettenti. Visto però che ancora troppi matrimoni finiscono in un divorzio – circa il 50% secondo i dati dei Centers for Disease Control and Prevention –, la strada da fare è ancora lunga.

E allora, quando The Atlantic ha pubblicato di recente un’intervista a Eli Finkel, docente di Psicologia Sociale presso la Northwestern University e autore di The All-or-Nothing Marriage, l’abbiamo letta per vedere se poteva gettare qualche luce sul perché molte coppie non durano “finché morte non ci separi”.

Per riassumere la teoria di Finkel, tutto si riduce a una parola: aspettative. Al giorno d’oggi, le coppie che si sposano cercano il signore o la signora Perfezione. Dev’esserci non solo attrazione fisica e mentale, ma anche la pressione aggiuntiva di assicurarsi che abbia il lavoro giusto, lo stipendio giusto e che sappia curare il figlio piccolo mentre invia un’e-mail al capo.




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E non è tutto. Al di sopra di tutto questo, un coniuge deve avere la capacità di far sentire realizzato il partner. Come afferma Finkel, l’antica “aspettativa di amare e curare il nostro coniuge” si è trasformata nell’“aspettativa che il nostro coniuge ci aiuterà a crescere, a diventare una versione migliore e più autentica di noi stessi”. È una cosa difficile per qualsiasi coppia che si barcamena tra lavoro, casa e bambini.

Finkel sostiene che al giorno d’oggi non è insolito sentir dire: “È un uomo splendido e un padre amorevole, gli voglio bene e lo rispetto, ma sento che il nostro è un rapporto stagnante”. Molte coppie, aggiunge, possono lamentarsi dicendo: “Sento che non sto crescendo e non ho intenzione di portare avanti per i prossimi trent’anni un matrimonio in cui mi sento ristagnare”.

Onestamente, “un uomo splendido e un padre amorevole” dovrebbe essere abbastanza per far ritenere a qualsiasi donna che il marito sia una perla rara, ma sembra che vogliamo che il nostro coniuge ci completi in un modo irrealizzabile. Quando diventiamo responsabili della nostra felicità? È giusto fare affidamento solo su una persona perché ci aiuti a crescere, o affermi tutto ciò che facciamo o che siamo?




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Anche se Finkel scende più in dettaglio e vale di leggere tutta l’intervista, c’è un suo suggerimento sul matrimonio da prendere particolarmente in considerazione:

Esorto chiunque a pensare a ciò che cerca nella relazione e a capire se queste aspettative sono realistiche alla luce di quello che si è, di chi è il partner e di quelle che sono le dinamiche che si hanno insieme. Se è così, come si raggiungeranno tutte quelle cose insieme? O come si può rinunciare ad alcuni di questi ruoli che si giocano nella vita l’uno dell’altro e affidarli, diciamo, a un altro membro della propria rete sociale?

Finkel riassume i risultati di uno studio di Elaine Cheung della Northwestern University, che ha scoperto che “le persone che hanno portfolio sociali più diversificati, ovvero più persone a cui rivolgersi per diversi tipi di emozioni, tendono ad avere in generale una qualità di vita superiore”. Se quindi l’onere di soddisfare emotivamente il coniuge non grava più su un’unica persona, ci saranno meno richieste all’interno del matrimonio. Con una qualità di vita superiore ci si sentirà più realizzati, e quindi sarà più improbabile ricorrere al divorzio nei periodi più difficili.




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E allora è questo che dobbiamo fare nella nostra comunità. Dobbiamo cercare una spalla su cui piangere, qualcuno con cui ridere e a cui chiedere aiuto e offrirlo. Se pensiamo alle generazioni passate, in cui la maggior parte delle mogli stava a casa, constatiamo che le donne cercavano sollievo e compagnia nelle vicine in situazioni simili. Ovviamente i tempi sono cambiati, ma se ci prendessimo il tempo di guardare a chi ci sta vicino nel vicinato o nella comunità ecclesiale troveremmo il sostegno di cui abbiamo bisogno per affrontare il tran tran quotidiano, e avremmo meno la sensazione che il nostro coniuge non sia abbastanza.

Ad ogni modo, possiamo anche rivolgerci a un altro uomo nella nostra vita: Gesù. Non solo ascolta tutte le nostre preoccupazioni e i nostri dubbi, ma ci dà anche la fede per superare i momenti difficili. Ci conosce, il suo amore è incondizionato ed è disponibile h 24, 7 giorni su 7! E si aspetta che abbiamo bisogno di Lui nella nostra vita, un’aspettativa su cui possiamo fare affidamento.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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