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Non avrebbe chiesto di morire, Loris Bertocco

Bertocco Loris

Loris Bertocco | Facebook

Paola Belletti - Aleteia Italia - pubblicato il 13/10/17

Storico esponente dei Verdi, in Veneto, 59 anni, infermo da quando ne aveva 19. Amava vivere, anche nella sofferenza. Non ha più sopportato le continue umiliazioni e ha temuto l'abbandono totale

La violenza pacata e sistematica di un apparato burocratico che umilia i disabili. È questo che abbiamo scoperto all’opera su Loris Bertocco. Loris è già morto. Ha viaggiato e pagato per essere soppresso, ieri, in Svizzera.

Repubblica ha pubblicato integralmente il suo lungo, intenso memoriale. Vi invitiamo a leggerlo tutto.

La testata denuncia chiaramente che la causa reale della richiesta di soppressione è da ricercarsi nell’abbandono da parte dello stato, però gli articoli correlati parlano dell’iter di legge per il fine vita…

Dietro le sue righe si sente un uomo coraggioso, colpito con particolare durezza dalla sofferenza. L’incidente da ragazzo, a 19 anni, che lo instrada lungo il suo erto calvario di paralisi, aggravamenti continui, dolori, perdita di autonomia. Eppure non si sente vibrare la nota calante del lamento, in questo scritto. Si intravvede piuttosto lo sforzo, enorme, -ma sarà stato allenato, come un asceta, dai lunghi anni di fatiche -di essere chiaro, integro e dignitoso.

Quello che emerge dalla sua lettera è una composta disperazione. Un’angoscia sommessa e totale.

Indotta, non sorgiva in lui. Sì perché riconoscendosi, e a ragione, lo stato di sofferente severo non si sottrae alla bellezza della vita. Avrebbe vissuto ancora, se gli avessimo assicurato le condizioni per farlo.

La moglie, oppressa dall’eccesso di carico che la cura e l’assistenza al marito le costavano, ad un certo punto se n’è andata. Lui la scusa. La comprende. E anche noi possiamo farlo, sul piano esistenziale, almeno. Perché una moglie, da sola, si è ritrovata a portare intero questo carico così greve? Che non era il marito, in sé, ma le cure. Non è la persona il peso. Sono le cure di cui ha bisogno.

Siamo in una società dove gli affetti sono sbandierati pubblicamente però dove sporcano, dove costano, sono affari tuoi; dove la famiglia, vista come discutibile e sostituibile forma di appagamento relazionale, non ha più titoli per esigere dal Pubblico il sostegno come dovere, fondato sul diritto e su una morale naturale condivisa.

Tutto questo è mostruoso. È di una barbarie e di una vigliaccheria inconcepibili.

Mettiamoci nei panni di Loris, ora vuoti, ahinoi! (E preghiamo per la sua anima e le nostre)

“Quindi oltre alla sofferenza che correda il mio stato di disabile grave, fatemi capire, occorre che dia fondo a tutte le mie forze, per proseguire con una sempre più umiliante questua allo stato? Che si sparpaglia in regioni e province, Asl anzi Ats e infine l’asst però c’è anche l’Ucam e occorre interfacciarsi con l’assistente sociale e chi più ne ha più ne metta?”

Cioè noi, Italia, facciamo davvero questo alle persone più in difficoltà in assoluto? Nel periodo di maggior debolezza? Quando per condizione di salute si trovano impedite nell’esercizio della loro libertà?

Sì, è così. È esattamente così. Sistematicamente. In quanti possiamo testimoniarlo!

Sono affranta, addolorata, indignata e spaventata.

Leggendo la lettera di Loris è vero che chiede di morire. Ma è ancora più vero che non è la prima cosa che ha chiesto. Solo ora dopo tanti anni, 40 anni, di vita complicata, durissima eppure vissuta con forza e attaccato al bene che ogni vita tiene in tasca. Anche le più difficili.

Scrive con un contegno calmo e forte. Eppure è disperato. Deprivato della speranza che ha tenuta stretta finché ha potuto.Questa sua decisione, possiamo dirlo perché lo dice lui, è effetto di un vero mobbing, di una istigazione al suicidio. Ma che società è questa che quanto più hai bisogno tanto più ti crea ostacoli? Più sei debole, più ti chiede sforzi e peripezie e umiliazioni per implorare aiuto? Facendoti capire che scocci, e parecchio, con tutte queste richieste? Che sarebbero tutti più felici e sollevati se tu non ci fossi?

Ma che uomini sono, questi, delle Commissioni di valutazione che respingono, due, tre volte progetti di assistenza?

Lo sanno quanto tempo e pazienza saranno serviti a Loris (e a tutti i suoi omologhi!) per arrivare anche solo a redigere un progetto? A ottenere firme, pareri, certificati? A ridire sempre daccapo che malattia abbiamo, che necessità, che handicap, che tipo di menomazione?

In tanti, tutto questo, lo viviamo. Sì certo ora, per noi, non è così tragica la situazione, perché siamo in due adulti e forti (mai avuto così tanta paura di ammalarmi come ora). E abbiamo una bella rete di amicizie che ci incoraggia e ci fa sentire la sua vicinanza. Abbiamo quattro figli e uno, l’ultimo è disabile grave. Mi dispiace raccontarlo perché esistono pudore e riservatezza, eppure lo dico. Perché è su questo pudore che giocano, nei vari uffici! È su questo volersela cavare da soli che alla fine fanno conto. Su questo non voler offrire ad estranei la propria vita.

Il nostro piccolo ha già quattro anni. Ha incontrato circa dieci specialisti diversi. Affrontato due interventi e relativi lunghi protocolli post operatori, affrontato circa quindici ricoveri, di cui alcuni lunghissimi, terapie, controlli.

Visite legali-Inps – Asl- 104-Rinnovi di certificati-Incontri con equipe sul territorio-etc. -Sospensioni immotivate di sussidi- rinunce a ricorsi “perché non vi conviene, se mai ripresentate la domanda”.

E ogni anno, lungo tutto il corso dell’anno, siamo continuamente sottoposti a protocolli. Controlli, domande da presentare. Cose da dimostrare. E ogni anno il Comune taglia le ore di assistenza scolastica. E nemmeno risponde alle domande consegnate all’ufficio protocollo. E se ne frega del fatto che se il piccolo non ha assistenza allora io devo tenerlo a casa (se qualcuno non provvedesse altrimenti!).

Dice su La Stampa Antonella Boralevi “Leggevo e, se fossi stata con Loris in quel piccolo paese nella bassa di Venezia, Fiesso, mentre dettava, credo che l’avrei abbracciato. Così, d’impulso. Poi me ne sarei andata, portandomi addosso una vergogna che non so nominare. Io credo che l’assistenza ai disabili pagata dallo stato sia un dovere. Non solidarietà, non pietà”.

Invece in tanti, tantissimi siamo vessati, torturati. E non è facile fare sempre la voce grossa. Nemmeno scartabellare di continuo documenti, siti, vademecum. Nel nostro caso, che riguarda tutta la zona del basso Garda, hanno addirittura eliminato la figura della fisioterapista per la neuropsichiatria infantile. Da un anno. Abbiamo scritto, telefonato, fatto presente.

Ma sapete cosa? Ci si stanca. E il tempo sottratto a questo e agli altri figli? E a me, a mio marito?  Quello sì ha un valore inestimabile.

Ho contato le persone con le quali dobbiamo interfacciarci per le questioni burocratiche: 26. Per difetto. Non ho contato ad esempio l’Unione Ciechi, alla quale ci siamo appoggiati per accelerare certe pratiche. E mi sarà sfuggito qualche altro soggetto. Le dietiste oppure l’ottico convenzionato per lenti a contatto speciali. O la referente della misura XY in regione. Facciamo 30, che siamo più sicuri.

Ma torniamo a Loris.

Non voleva morire e basta;  non voleva vivere sentendosi feccia, fardello inutile, costo senza senso. Come se gli aiuti a lui fossero soldi buttati. Credeva nel rispetto della vita, certo a modo suo, con la sua storia.  Aveva ideali ecologisti eppure non ha conosciuto o non ha fatto propria la grande svolta cosmica che ha portato Cristo, con la Redenzione, che rinnoverà anche il Creato, per cui sperava solo in un mondo più pulito, in risorse usate meglio in sprechi (un’enormità!) evitati. Ma la natura non va pulita, va salvata anch’essa.




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Credeva nella bellezza, nell’amore, nell’eros, nell’amicizia, nella poesia, nella musica, nella lotta politica. Ha creduto in tutto ciò che ha potuto. Di questo gli sarà chiesto conto, non di ciò che non ha conosciuto.

Senza Cristo, io credo, questa sevizia continua perpetrata per anni, questa dimenticanza da parte di chi doveva aiutarlo non sapeva più come viverla. Ha sopportato tutto. Ora lo terrorizzava la cecità totale e di più la desolazione dell’abbandono e della perdita totale di autonomia.

Davvero, siamo proprio sicuri, che l’uomo possa essere giudicato in base a quanto costi mantenerlo?

Che ve ne fate dei soldi che tagliate ai disabili e alle loro famiglie?

Parliamo di questo. Parliamo dei bilanci. Dove pensate di spostare queste risorse? Chi godrà di tutto questo risparmio? Dove allocherete tutti i soldi sbloccati da queste attività di inutile assistenza? Parliamone.

E cosa insegniamo ai ragazzi? Che non devono ammalarsi e che disprezzare chi è handicappato va bene? Che accelerare la fine dei deboli, degli anziani, dei terminali sia saggio e pietoso?

Già lo diciamo con l’aborto: se sei nato così peccato perché avresti potuto essere abortito. Ora ci aggiungiamo che se sei malato e improduttivo puoi essere ucciso. E che libertà sarebbe mai quella di chiederlo personalmente per se stessi? Non ci accorgiamo che è un cedimento, un dire basta, un tentativo folle per uscire da cul de sac di non senso, fatica e disperazione?

È un principio di follia che inoculiamo in tutta la società. A tutti arrivano questi enzimi che accelerano la ferocia verso il debole.




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Servono santi. Servono uomini coraggiosi e santi. Serviamo tutti, chi può si butti nella mischia. Serviamo uomini, serviamo umani. Ma fino in fondo, fino alla fine. Non un istante di meno. Nella lotta per difendere la giustizia e il diritto centrati sulla persona e la famiglia e, quando ci toccherà, nel vivere la nostra personale sofferenza fino al suo naturale termine. Soffrire non è senza senso! Chi meglio di un cristiano può scorrazzare per il mondo a ricordare questo? E chi meglio di un malato può ricordarci chi siamo e perché è bello che ci siamo? Io ti amo perché sei tu e perché ci sei! (Oltre questo c’è la partecipazione al mistero insondabile della sofferenza che emenda, purifica, espia…).

Ho provato a contemplare, di nuovo, Gesù Cristo, dal giovedì sera al venerdì alle tre. Ha subito ogni dolore, ogni tormento, ogni sofferenza fisica, psichica e spirituale. Ed era lì, alla fine, fissato alla croce nel modo più dolorifico possibile. Ogni respiro uno strazio indicibile. Ma Dio Onnipotente ha detto no alla falsa pietà degli uomini che avevano solo fretta di andarsene da lì. Non hanno potuto accelerare la Sua morte. La lancia ha trafitto un corpo già morto.

Significa che è così che si muore. A tempo debito.

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