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Perché mi costa tanto ascoltare davvero Dio?

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padre Carlos Padilla - pubblicato il 06/10/17

Non ascolto il discorso che credo di conoscere. Non mi lascio sorprendere perché ho già giudicato in anticipo nel mio cuore

Oggi Gesù mi invita a dare il mio “Sì” a Dio. Mi parla e io lo ascolto: “’Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: ‘Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna’”. Vuole che lavori nella vigna. Mi cerca. Mi chiede. Si avvicina. Sono suo figlio e vuole che io stia con Lui. E io voglio seguire i suoi passi. Ma non lo ascolto.

Dice San Benedetto nella Regola: “Ascolta, figlio, i precetti del Maestro, e porgi le orecchie del tuo cuore”. Gesù mi invita ad andare nella vigna. Ma io non lo ascolto. Vivo concentrato su me stesso, su quello di cui ho bisogno, e mi perdo in ciò che succede intorno a me.

Voglio ascoltare con l’orecchio del cuore. È la cosa più importante. E non sempre la faccio. A volte cerco di fare due cose allo stesso tempo. Dico di ascoltare ma poi penso alle mie cose. Dico che sto attento ma solo a metà, e cerco di fare più cose.

A volte ho bisogno che mi ripetano varie volte la stessa idea. Per comprenderla. Dimentico quello che mi ha detto qualcuno. Non sto del tutto attento. E questo mi costa con coloro che mi parlano con parole umane.

Mi dicono delle cose. Mi chiedono. E io non ascolto. O penso alle mie cose. O interpreto ciò che mi dicono ancor prima che pronuncino un’unica parola. Credo di sapere già quello che pensano prima ancora che parlino. E non li lascio parlare perché so cosa mi diranno. Forse sbaglio. Ma continuo a farlo.

Non ascolto il discorso che credo di conoscere. Non mi lascio sorprendere perché ho già giudicato in anticipo nel mio cuore. Non mi stupisco. Non mi apro a ciò che è nuovo. Ho un giudizio già preconfezionato nell’anima. E non permetto che entri il sospetto.

Spesso ascolto così male! Arrivano da me e io non ascolto. Penso alle mie cose. Il mio cuore è indurito. Non riesco ad ascoltare gli uomini, e men che meno i silenzi di Dio.

Leggevo giorni fa: “Il silenzio non è un’assenza, ma la manifestazione di una presenza, la più intensa di tutte le presenze. In questa vita ciò che conta davvero avviene in silenzio. Il sangue scorre nelle nostre vene senza far rumore, e solo nel silenzio siamo in grado di ascoltare i battiti del cuore” [1].

Mi piace il silenzio in cui mi parla Dio. È lì che posso ascoltare la sua voce. Comprendere la sua domanda. Cosa vuole Dio da me? Spesso non lo so. Mi lascio trascinare dalla corrente. Da ciò che fanno gli altri. Da quello che il mondo si aspetta da me.

Ma non sto attento a Dio. Non so come parla al mio cuore. Il suo silenzio apparente mi fa male. È come se tacesse quando in realtà parla. È come se la sua voce fosse spezzata quando pronuncia parole profonde. E io non sono capace di fare silenzio per ascoltare la sua voce.

Vorrei poterlo fare. Mi metto in cammino ogni mattina, e il rumore e le richieste del mondo mi allontanano dalla mia profondità. Dal mio mare. Mi portano a riva, dove non ascolto Dio.

Quanti minuti di silenzio sono capace di fare durante la giornata? Il trambusto mi si infila nell’anima. Parole. Tante parole. Non trovo la pace. Non ci riesco. Non ascolto la sua domanda. Cosa vuole Dio da me? Vuole che vada a lavorare nella vigna. Ma mi costa sentirlo.

[1] Cardinale Robert Sarah, La forza del silenzio, 30.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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