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5 modi per arrabbiarti con Dio e confidarti con Lui nella preghiera

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Catholic Link - pubblicato il 03/10/17
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di Luisa Restrepo

Spesso mi arrabbio con Dio (non so se dire che lo faccio più di quanto dovrei, perché non so quante volte sia permesso di farlo). La questione è che prima pensavo che non andasse bene, che significasse che la mia fede e il mio amore erano deboli. A poco a poco, con l’aiuto dello Spirito Santo, ho capito che la preghiera è un grido interiore, un fiume che sgorga dal più profondo della nostra interiorità e che non si riesce a contenere. Ciò non vuol dire che il nostro dialogo con Dio sia una cascata senza controllo di emozioni e sentimenti, ma che dev’essere un alveo naturale nel quale il nostro spirito Lo incontra. Dev’essere l’incontro di due tipi di fame, di due persone che si amano; e visto che si amano dialogano, discordano, discutono…

Pensando a questo, ho voluto elaborare questa lista per approfondire un po’ e “giustificare”, in base alla mia esperienza, l’“arrabbiatura” nei confronti di Dio.

Prima di iniziare vi avverto che le risposte corrispondono alla logica di un Padre che ci ama profondamente e che vuole che godiamo del suo amore, anche se spesso pensiamo che non ci stia amando.

1. Quando sembra che Dio non ci ascolti e non ci risponda

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Dio ha sempre gli orecchi attenti alle nostre suppliche. Quelli che spesso non sanno se ci abbia ascoltato o no siamo noi, e dubitiamo. Sì, dubitiamo, ci arrabbiamo e ci lamentiamo del fatto che non ci ascolti perché non risponde…

Più di una volta mi hanno chiesto: “Quando preghi, come sai che Dio ti ascolta?”, o “Come puoi ascoltarlo?” Sinceramente, trovo molto difficile spiegarlo e dico sempre la stessa cosa: “Se la tua preghiera è da creatura a creatore è molto difficile ascoltare qualcosa. Se invece la tua preghiera è da figlio a Padre ascolterai sicuramente. Se sei suo figlio, Dio per te non è un agente esterno, un grande e onnipotente personaggio superiore. Se sei figlio, Egli è il soggetto agente della tua vita, colui che muove la tua esistenza dal di dentro, che ti ricrea e ti chiama tutti i giorni alla vita. Quando comprendiamo che Cristo vive in noi e che attraverso di noi si rivolge al Padre (come figlio), la nostra preghiera cambia.

Per questo, se ti arrabbi perché Dio non ti dice nulla, arrabbiati con te stesso, perché hai dimenticato chi è tuo Padre e come rivolgerti a Lui.

2. Quando non vogliamo fare ciò che ci chiede

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È tipico, e a me succede spesso. Non è che non ascolti Dio, è che non voglio ascoltarlo. Abbiamo un udito selettivo. Quando ci chiede cose meravigliose siamo tutto orecchi, ma quando le cose diventano difficili all’improvviso non sentiamo bene e ci arrabbiamo perché non ci piace ciò che ha da dirci.

Ammetto che nella maggior parte dei casi è difficile seguire il Signore quando le cose che mi chiede hanno a che vedere con la Croce. Mi capita (e credo che succeda a tutti) come agli apostoli, che sono stati invasi dalla paura di fronte alla sofferenza e alla morte. Ma tutto si capisce se guardiamo la Croce partendo dall’amore. Se Gesù è il soggetto agente della mia vita, lo sarà anche della mia preghiera. Si tratta di permettere a poco a poco che lo Spirito Santo ci unisca a Cristo, e così, nella preghiera, sperimentando ciò che sperimenta Cristo, potremo amare di più, pensare e sentire come Lui. In questo modo non ci sarà un abisso tra la nostra umanità debole e il nostro desiderio di voler stare sulla Croce con Lui.

Per questo, in base alla logica dell’amore, se divento una cosa sola con Lui le croci saranno sempre meno pesanti.



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3. Quando la nostra vita è un deserto

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Di fronte alla prova, è molto facile pensare che Dio ci abbia abbandonati. Può accadere che mi permetta di attraversare un deserto, di dolore, di dubbi e di aridità, per purificare il mio amore e la mia fede. Santa Teresina ebbe alla fine della sua vita una prova interiore di fede e di speranza, giorni molto difficili in cui non le era facile credere, ma disse che non aveva mai compiuto tanti atti di fede durante la sua vita. Se c’è qualcosa che ho imparato, è che quando viviamo tempi difficili siamo costretti a compiere atti di fede, a metterla in pratica e a permetterci di credere senza vedere: “Signore, tu non mi dai le risposte che vorrei, ma voglio credere in te”. È nei momenti di aridità che la nostra fede diventa più profonda, diventa una decisione che ha bisogno di tutta la mia libertà e di tutta la mia fiducia.

In definitiva, scelgo sempre quello in cui voglio credere. Sono io che decido di credere.

4. Quando non vogliamo pregare perché questo ci mette davanti ai nostri lati oscuri

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A volte pregare è doloroso, ci mette davanti ai nostri timori, alle nostre angosce, alle nostre miserie, alle nostre mancanze, e questo non piace a nessuno, ma anche se può sembrare paradossale, deporre la nostra piccolezza davanti a Gesù ci riempie di pace. È lì che possiamo essere guariti, è lì che possiamo essere salvati. Noi esseri umani siamo abituati a vivere di apparenze, abbiamo la sensazione di poter fare tutto e che mostrarci bisognosi sia un segno di debolezza. Dio permette nella nostra vita delle strade senza uscita perché affrontandole ci rendiamo conto che dobbiamo essere costantemente creati dal nulla.

L’umiltà ci mette nella condizione di pace di dire che non siamo né ciò che gli altri pensano di noi né ciò che pensiamo noi, ma ciò che pensa Dio. La preghiera è uno splendido invito a riconciliarci con la nostra umanità per lasciarci amare e santificare. Come dice Santa Teresina, “Ciò che è gradito a Dio della mia picola anima è che io ami, la mia piccolezza e la mia povertà”.

Nella vostra preghiera, permettetevi di dire costantemente al Signore: “Colui che ami è malato”, ed Egli vi dirà: “Cammina nella fede e nella speranza che sarai guarito”.



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5. Quando siamo molesti con Lui perché non capiamo perché succedono le cose

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A volte la ribellione nei confronti di Dio ostacola il nostro rapporto con Lui. Ci sono momenti in cui diciamo come il profeta Geremia: “ha abbandonato me, la sorgente d’acqua viva, e si è scavato delle cisterne, delle cisterne screpolate, che non tengono l’acqua” (Geremia 2, 13), oppure: “Signore, mi sono impegnato per te e mi hai lasciato senza niente”. Sono momenti difficili in cui abbiamo perduto l’entusiasmo e non abbiamo consolazione. In queste occasioni è bene fare due cose: aprirgli il nostro cuore così com’è, esprimergli tutti i nostri dubbi, e chiedere allo Spirito Santo di donarci la grazia di rispondere a queste domande: “Qual è la sfida che mi viene rivolta? Qual è l’atto di fede che sono chiamato a compiere? Quale conversione nell’amore?” Quando Dio ci dà la grazia di capire questo, la prova acquista senso. Così, nonostante il contesto negativo in cui vivo, ho la libertà che nessuno mi può togliere, la libertà di scegliere di trarre un bene dal male che mi si presenta.

A volte si ha l’impressione che sia tutto perduto, che il male non scomparirà mai, ma c’è sempre un bene possibile. Qual è il bene che Dio vuole che io compia?

Non cerchiamo tanto noi stessi nella preghiera, lasciamoci purificare da Dio. Egli vuole che impariamo a pregare in modo realistico, ad avere pazienza e a sperare in Lui. Cerchiamo di liberare il nostro cuore dalle false aspettative delle persone, della realtà, di noi stessi, delle nostre comunità… Siamo liberi quando accettiamo la nostra miseria, quando accettiamo gli altri con i loro limiti anche se ci hanno deluso. Solo così Dio ci darà la luce nella nostra preghiera; forse non una luce immensa e permanente, ma quella di cui abbiamo bisogno per ogni giorno.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

 

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