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Davvero abbiamo bisogno di una giornata mondiale per l’aborto sicuro e libero?

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Paola Belletti - Aleteia Italia - pubblicato il 28/09/17

Esiste un movimento presente in tutto il mondo che si fa promotore di questa terribile istanza

È vero, sa già di ricorrenza consolidata perché l’anno scorso si era fatta largo, senza troppa fatica, fino alla prima linea delle notizie in evidenza, questa fantomatica Giornata mondiale per l’aborto sicuro. E libero.

Nel 2016, tra i titoli su giornali on e offline, spiccava spesso la sigla ONU. Per questo si era portati a credere fosse ormai una festa comandata nel nuovo calendario liturgico progressista.

Ma se andiamo a controllare, su Ansa, sul sito Onu Italia, su Google, inserendo Abortion+Day +Onu o OMS ovvero le due principali sigle mondiali che potrebbero dare dignità pubblica a questo appuntamento, non esce nulla.

Ci sono invece risultati che riconducono ad un movimento definito “dal basso”, di donne che combattono contro la violenza sulle donne stesse. (Nel video sulla pagina italiana di Non una di meno le protagoniste, vestite sommariamente, di grigio e di nero, sono armate di mattarello, mascherate e parlano di una guerra.

E ci mettono dentro stupri, gravidanze indesiderate, gli stipendi bassi, la disoccupazione, i medici obiettori, il femminicidio, il carico familiare, la cura dei figli tutta su di loro, il corpo come destino che invece loro no…. E che si vogliono vestire come pare a loro ed uscire per le strade quando pare a loro).

Ed in questa categoria – quella del tutto, senza distinguo, esecrabile della violenza sulle donne – rientrerebbe anche la non assoluta sicurezza delle pratiche abortive.

Si stima, è scritto in home page su medical express, chiamato in causa come autorevole gruppo di lavoro, che almeno la metà dei 50 milioni abbondanti di aborti che avvengono  ogni anno nel mondo non siano sicuri.

Altra considerazione che viene fatta in base a questi numeri è che laddove le leggi sull’aborto siano molto restrittive aumenta l’insicurezza delle interruzioni di gravidanza. Il nesso, la diretta proporzionalità, tra salute della donna e totale libertà di accesso all’aborto è così fondato.




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Ricapitolando esiste almeno un gruppo di lavoro internazionale; esistono gruppi di attivisti anch’essi presenti in tutto il mondo che spingono perché il 28 settembre (che gli avrà fatto poi questa data? Indagherò meglio sul motivo della scelta) diventi la giornata che celebra la sicurezza dell’aborto. Mi preme ricordare, senza nessun gusto per il gioco di parole, che la sola cosa sicura di tutti gli aborti è la morte del bambino.

Si assiste inoltre al salto sul carro dell’istanza femminista così largamente e confusamente intesa da personalità di vago genere, anche in Italia. Basti seguire una manciata di tweet della seconda carica dello stato spesso rompe il silenzio per dire di lavoro, donne, dignità, femminicidio, famiglia e famiglie. O riscontrare l’adesione alle manifestazioni di oggi della sigla sindacale della CGIL.

La stessa che si era precipitata ad avvisare tutta preoccupata l’Europa (un attimo, l’Europa: quella minoranza aggressiva e burocraticamente armata che si aggira per quegli uffici, a Bruxelles) del fatto che in Italia ci fossero troppi medici obiettori e non ci fosse, ancora, un accesso sufficientemente facile all’aborto.

La pretesa fondazione scientifica della necessita di sensibilizzare – ancora – l’opinione pubblica mondiale sull’aborto è presa dalle pagine di una antica e prestigiosa rivista medica, The Lancet. La testata appartiene alla casa editrice Elsivier, fondata in Olanda nella seconda metà dell’800.

Questo dettaglio geografico, apparentemente lezioso, ve lo comunico per il fatto che, guardando il sito in questione, dal quale ho tratto i soliti spunti, le solite argomentazioni a favore dell’allargamento dell’accesso all’aborto, la solita reprimenda agli stati che ancora non permettono alle donne di togliersi il bambino dal ventre in tutti i momenti possa tentarle questo pensiero, la mia attenzione è stata attratta anche da un’altra notizia.

Immaginatela, solo per un attimo, da sola, a tutta pagina. Letta all’improvviso senza prima aver ragionato di sicurezza abortiva, di salute della donna, di autodeterminazione, di aborti clandestini, di stupri, di gravidanze di adolescenti povere; senza prima aver sentito di nuovo il quasi peana che canta la parziale vittoria delle donne per la loro quasi riconquistata supremazia sui loro corpi. La loro comprensibile impazienza è tutta dovuta alla sfilza di quasi.

La notizia, del febbraio di quest’anno, è questa: una “nave aborto” (abortion ship) olandese arriva in Guatemala per consentire alle donne guatemalteche di abortire in acque internazionali, aggirando così le leggi super restrittive del loro retrogrado paese.

Nel 2012 le autorità marocchine avevano respinta un’altra“Abortion ship”. L’idea è stata varata nel 1999 dalle, manco a dirlo, Womans on waves.

Mi stupisce la tenacia. Mi trova tristemente ammirata la loro determinazione. Mi stupiscono la progettualità e l’insistenza. E i soldi, certo, le risorse necessarie a sostenere queste iniziative. Non credo esista una filiera intera di filoabortisti talmente sospinti dall’ideale da far avere gratis anche la nafta a queste navi. E carburante di vario genere ad altri progetti di altro genere.

I soldi non mi stupiscono. Mi sorprende che ci siano tante donne convinte che questa strada sia quella giusta. Convinte, stra convinte, che abortire sia un diritto. Sicure, strasicure, anche per me e per voi, che il proprio riscatto, la propria vera emancipazione, sia oltre quella porta. Sia dopo quella scritta: aborto.

Per questo è possibile trovarsi ora, in mezzo alle onde anomale di questo nostro tempo, e sentire fischiare venti che dicono: più aborti e più sicuri e più liberi per tutte le donne e in tutto il mondo.

A Roma si troveranno in piazza dell’Esquilino, alle 18.

Confido che a qualcuna, ad una, almeno, possa attraversare la mente, come un passero entrato in cucina, il pensiero terribile e magnifico che invece no. Che non è così. Che diventare madri ha un senso enorme anche quando capita non voluto. E un essere che inizia a vivere nel nostro utero, lasciato vivere, vivrà. E ne che ne saremmo addirittura felici.




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