La nuova conduttrice di Unomattina svela: «Ho vissuto momenti di sofferenza, oggi vivo un cristianesimo convinto e “ho messo da parte la sciabola” perché ho scoperto l’importanza della mediazione»
di Francesca D’Angelo
Della sua fede, Benedetta Rinaldi non ha mai fatto mistero: era la sua cifra distintiva ai tempi di Radio Vaticana e di A Sua immagine, quando il proprio credo rappresentava un elemento di attendibilità, e continua a esserlo ancora adesso, a Unomattina. Dopo una stagione di successi a La vita in diretta Estate, da settembre Rinaldi è infatti approdata alla conduzione del contenitore mattutino di Rai Uno, al fianco di Franco Di Mare. E l’impressione è che dietro a quello stile di giornalismo solido ed elegante non ci sia solo la professionalità maturata in oltre 13 anni di televisione, ma anche uno sguardo diverso sulla vita. Quello sguardo di chi è cresciuto respirando in un ambiente fortemente cattolico per poi riscattare questa eredità di valori, rivendicandola come propria. Di chi non si accontenta di una fede composta, chiusa nelle granitiche certezze, ma ricerca il confronto dialettico lasciandosi appassionare da quell’«equilibrio dinamico che è la vita», come spiega la stessa Rinaldi, «non possiamo programmare l’esistenza: siamo in continuo cambiamento. Quello che conta non è mantenere il controllo su ciò che accade, ma avere chiara la propria meta».
Dunque, lei ha ricevuto una formazione cattolica?
«Fino alle medie ho studiato dalle suore, poi alle superiori sono passata dai Salesiani e, infine, ho frequentato l’università Lumsa. Sono stati, tutti quanti, degli ambienti molto accoglienti e stimolanti, anche se devo dire che, crescendo, ho particolarmente apprezzato i Salesiani: da loro mi sono proprio divertita! Hanno una mentalità e un’organizzazione stupende: spronano a studiare ma anche a guardarsi intorno e a cercare di scoprire i propri talenti. È stato con loro che ho iniziato a interessarmi di radio e di tv».
Quando ha sentito come propri i valori trasmessi a scuola e in famiglia?
«Periodicamente, a ridosso di grandi cambiamenti esistenziali, ho attraversato profonde crisi: a 8 anni; a 16 anni, quando ero adolescente, e poi a 34 anni, in concomitanza con la decisione di sposarmi. Attraverso questa maturazione sofferta sono passata da una fede un po’ ingenua, credulona, poco inerente alla realtà, a una fede ragionata e più convinta, che si misura con le prove della quotidianità e non è semplicemente l’assorbimento di un’educazione esterna. In particolare ho imparato ad ammorbidire il mio giudizio: anziché brandire la sciabola, ho capito che è importante mediare ed essere più comprensivi verso chi non la pensa come te. Non esiste il bianco e il nero: ci sono anche le sfumature. Il tutto senza però fare un passo indietro rispetto ai valori profondi in cui credo».
La sua terza crisi è avvenuta in concomitanza con il matrimonio: è stato un passo particolarmente travagliato?
«Come coppia, io e mio marito abbiamo dovuto affrontare alcune prove che normalmente accadono molto dopo il matrimonio: prima delle nozze, è venuto a mancare suo padre.