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L’angoscia costante e ossessiva di finire all’Inferno nasconde forse una patologia?

The painful quest of fertility junkies

© Emmanuel DUNAND / AFP

Gelsomino Del Guercio - Aleteia Italia - pubblicato il 26/09/17

Chi ha fede e prega per paura del giudizio di Dio rischia di vivere un disagio psichico. Perchè stravolge a modo suo l'azione divina

Un nostro lettore ci scrive:

“…Ovviamente per me che soffro di ansia fortissima… l’Islam che minaccia di mandare all’inferno chi non crede nella sua religione è terribile d’altronde qualsiasi religione che mi minaccia di mandarmi all’inferno se non credo in lei ottiene attenzione da me perché mi crea angoscia terribile! È bruttissimo….e se Dio ci vuole infelici ed è cattivo? Potete capire la mia situazione!! Grazie di cuore”

A.

Questa paura dell’Inferno e del giudizio divino nasconde una patologia? Il professore Giuseppe Crea, docente di psicologia alla Pontificia Università Salesana spiega ad Aleteia perché una persona inizia ad avere una paura del genere.

LA PUNIZIONE “POSITIVA”

«La paura di una punizione – premette Crea – può avere un carattere educativo perché permette alla persona di prendere coscienza dell’errore commesso e al contempo di provvedere a riparare il danno commesso. La punizione quindi non ha solo un carattere restrittivo ma diventa motivo di confronto in vista di un cambiamento».




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UNA VALENZA “NON EDUCATIVA”

Nella teologia della Chiesa, prosegue il docente, il richiamo costante ai Novissimi, ovvero alla vita nell’aldilà, all’Inferno, al Purgatorio e al Paradiso, oltre ad evidenziare il destino finale di ciascun uomo «ha anche una valenza educativa che dà alla persona una prospettiva di crescita».

Se invece l’individuo vive tale prospettiva «in termini punitivi e restrittivi, quindi limitanti la sua libertà di scegliere il bene, si allontana da questa visione. Allora anziché essere un’occasione per crescere verso la comunione con Dio diventa motivo di ripiegamento su di sé e sulle proprie paure».

MODO “PERSONALIZZATO” E “AUTOREFERENZIALE”

Quando Dio viene vissuto punitore e dispensatore di castighi, «la paura dell’Inferno diventa un modo personalizzato e autoreferenziale di guardare all’azione di Dio».

Personalizzato perché «risponde a dei criteri personali di riferirsi a Dio, a seconda della propria storia personale e delle abitudini apprese nel modo di concepire la ricompensa, il perdono, la punizione.La persona ha imparato a subire il torto della propria manchevolezza, e tende a mantenere una distanza riparatrice nei confronti di Dio per evitare di coinvolgersi in un cammino di conversione».

Tale modalità è anche altamente autoreferenziale perché «mette al centro i propri interessi (la paura porta a chiudersi nel proprio mondo fatto di insicurezze), ed è in riferimento ad un proprio “tornaconto” personale: addebitando a Dio-punitore la responsabilità del male, ci si esime dal prendersi la responsabilità di cambiare il proprio modo essere, fatti per il bene».




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IL BENE DIVENTA UN PERICOLO

Questa concezione sbagliata dell’azione divina che degenera in preoccupazione, ha un suo sbocco. Il timore di subire un giudizio divino negativo al momento della morte.

«Il giudizio universale – sottolinea Crea – è il bene a cui si rivolge la creatura che è in continua ricerca del Creatore. Il bene massimo per l’incontro finale con Dio, la venuta del Salvatore che riporterà ordine del disordine. Tutto questo fa parte della teologia escatologica della Chiesa. Se la persona ha paura di tutto questo, vuol dire che ci sono delle dinamiche intrapsichiche e interpersonali chel’hanno portata a vedere il bene come pericoloso, e ad abituarsi invece a vedere nell’accettazione paralizzante del “male” una soluzione estrema per restare passivi e non darsi da fare».




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NON CI SI FIDA DI DIO

Il Giudizio Universale, aggiunge il docente di psicologia, «attira l’intero progetto di Dio per l’umanità, perché dà senso all’esistenza di ogni creatura. Se invece blocca la persona, che ne ha paura, vuol dire che i suoi dinamismi interiori non sono sufficientemente adeguati per fidarsi e affidarsi a questo incontro con l’Assoluto, vuol dire che la persona ha bisogno di “controllare” la bontà di Dio con i propri parametri di giudizio, fatti di diffidenzae paura».

LA METAFORA DEL BAMBINO

Se il Giudizio Universale non spinge la persona a vivere bene il presente, ma anzi al contrario la porta a sentirsi a rischio, «è come quel bambino che teme di essere scoperto mentre fa qualcosa di nascosto: c’è sempre paura di sbagliare e di essere giudicati non per il bene ma per il male. E’ come se si avesse bisogno di privilegiare il male anziché il bene nella propria vita».




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“L’AFFEZIONE PER IL MALE”

E tale sensazione negativistica «si auto-avvera man mano che la persona resta bloccata nella paura di ciò che succederà nel Giudizio Finale, piuttosto che essere capace di liberarsi e aprirsi alle tante opportunità di bene che ha a disposizione. Se ci si chiede il perché di tale “affezione per il male”, come dicevo,vuol dire che ci sono dei meccanismi di controllo psichico che la persona ha imparato ad adottare nel rapporto con gli altri e con l’Altro».

QUANDO E’ UN DISAGIO PATOLOGICO

Ma c’è una patologia che sottende a questo stato di ansia e paura costante? Crea è categorico: «Se tale paura blocca la persona nelle sue scelte, allora si può parlare di un disagio patologico. I comportamenti ossessivi, come anche i deliri religiosi, sono le forme più estreme di tale malessere. Come ho avuto modo di scrivere nel libroLe malattie della fede, lì dove c’è un eccesso di confronto normativo, emergerà la tendenza alla sottomissione passiva e acritica».




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FEDE RIGIDA E FONDAMENTALISTA

È la fede, afferma Crea, «di chi dà per scontato che la Provvidenza possa risolvere e soddisfare i propri bisogni e ignora le risorse e i doni che Dio ha messo a disposizione dell’uomo per continuare la sua opera di collaborazione nella Creazione».

Se poi il confronto con le regole, l’istituzione, la norma etica e morale «si fa odiosa ed emotivamente sgradevole», la fede che ne scaturisce «è dominata da fondamentalismi interiori rigidi e ostinati, da un modo di autogestirsi particolarmente direttivo, esigente ed inflessibile. Oppure, al contrario, potrà instaurarsi una religiosità basata sul senso di superstizione, da ignoranza delle cose di Dio. Quando tale rigidità diventa disagio grave, occorre farsi aiutare da un esperto».

IL VERO BENESSERE SPIRITUALE

Una fede autentica, un aiuto sacerdotale, può realmente incidere positivamente sul trattamento di chi soffre di questo disturbo?

«La fede – ammette Crea – non ripara dalla paura del male, soprattutto se tale paura serve alla persona per vivere con un senso di inadeguatezza che tende a proiettare nel proprio rapporto con Dio».

La fede, «facilita la riscoperta di un rapporto costruttivo con se stessi, con gli altri e con l’Assoluto. Se la persona riprende questo percorso di riconciliazione – chiosa il docente della Salesiana – allora vivere la fede diventerà sempre più un cammino di benessere spirituale profondo oltre che di benessere spirituale».

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