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Come sapere chi sono in realtà?

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Jaromir Chalabala

padre Carlos Padilla - pubblicato il 25/09/17

Devo imparare a mettere a tacere le grida del mondo per ascoltare quelle della mia anima

Credo di dovermi soffermare abbastanza per poter affondare nel mio cuore e sapere chi sono in realtà. Per sapere qual è la mia verità unica e amarla. Credo che solo in base alla verità Gesù possa entrare nella mia vita. Solo in base alla verità riconosciuta posso donarmi agli altri e amarli. Solo partendo da ciò che sono potrò essere felice.

A volte, però, non so neanche io chi sono davvero. Vivo in cornici che mi proteggono. Cerco di assomigliare agli altri. Di rispondere a uno standard, a uno stile determinato. Per non uscire fuori dagli schemi ed essere accettato da tutti. Per essere uno tra tutti, senza stonare. Nascondo la mia verità. Quello che penso davvero, quello che sono nel profondo.

È vero che a volte mi definisco in base alle cose che faccio, ma sono molto più di questo. Sogno mete lontane, ma sono anche molto più di queste mete, che sono quasi fuori da me e alle quali tendono anche molte altre persone.

E allora, quando mi fermo a pensare e taccio, mantenendo un silenzio sacro, scopro qualcosa di mio, di unico, irrinunciabile. Una verità nascosta, conosciuta da pochissimi. Bacio quella verità che è il mio nome, la mia essenza, quello che anima il mio corpo e gli dà vita. Quella forma originale tanto mia di amare, di essere e di pensare. Così originale che mi sembra terra vergine in cui io stesso mi sento estraneo. Ma sono io. È la mia vita. È la mia verità.

Voglio essere capace di sapere come sono. Voglio ascoltare attentamente dentro di me. Per sapere dove mi trovo. Qual è la domanda fondamentale che sboccia nella mia anima quando taccio e ascolto?

Ci sono persone, e ne conosco alcune, per le quali il loro mondo interiore è sconosciuto. Vivono sulla superficie della vita e apparentemente sono felici. Navigano solo dove si tocca, fuggendo dalle profondità, temendo ciò che è sconosciuto.

E tutto questo funziona fino al momento in cui nella loro vita accade qualcosa di difficile. Restano sole. Iniziano la paura e i dubbi. Temono di aver sbagliato strada. Si stupiscono dei loro sentimenti nelle situazioni complesse. Devono affondare per trovare il senso di quello che accade.

Non voglio che mi succeda la stessa cosa. Voglio approfondire, affondare, guardare dentro di me. Per questo oggi mi soffermo a contemplare la mia immagine.

E mi pongo una domanda. Se incontrassi davvero Gesù, cosa gli domanderei? Quali paure condividerei con Lui? Cosa gli chiederei per avere la pace? In definitiva, cosa mi manca per essere felice? Lo guardo ora nascosto in me. Glielo chiedo.

Forse non conosco bene quanto credo i fiumi che solcano la mia anima. Quei fiumi interiori lungo i quali navigano le mie paure, le mie insicurezze, le mie preoccupazioni, le mie oscurità, le mie tentazioni. Non so quali siano i miei dubbi più profondi fin quando non guardo dentro, nel profondo del mio mare, nel più profondo. E scopro le mie paure e le mie forze. I miei timori e le mie speranze. Il bene e il male. Le cose belle e quelle brutte.

Vedo tutto nascosto, schivo, fuggitivo. Mi sfugge quel fuoco che arde dentro di me. E delle dense nubi a volte offuscano il mio ottimismo.

Credo che quando affronto la vita e i suoi timori forse rispondo con ricette imparate in passato. E sento che mi turbo di fronte a ciò che non conosco, a quello che non controllo. Chi sono io? Racconto quello che faccio, quello che ho raggiunto, quello che desidero. Non guardo al di là di quello che tocco in questo momento.

Credo forse che il mio valore risieda nelle mie ore di servizio, nelle mete raggiunte, in ciò che ho imparato col passare degli anni. Il dolore e la tempesta muovono tutto quello che non è vero dentro di me e mi puliscono.

Quando accade questo, la mia barca naufraga nella tormenta, e allora non mi servono a nulla le risposte facili da manuale. Tremo. Per questo devo imparare a mettere a tacere le grida del mondo per ascoltare quelle della mia anima.

Diceva padre Josef Kentenich: “Si tratta in particolare di questo, di imparare a parlare con Dio, di coltivare una vita interiore profonda, una biunivocità con Dio” [1].

Voglio essere così unito a Dio da poter vivere della sua luce. Voglio riconoscermi vedendomi riflesso in Lui. La sua immagine nella mia immagine. Il mio volto nel suo cuore ferito. Mi costa guardare nel profondo e non perdermi nei mille dettagli della vita. Voglio scoprirmi nel quotidiano. Non nei grandi momenti, ma nella vita che scorre lentamente, giorno per giorno.

Cercando di spiegare la sua opera, la pittrice Cristina Rueda ha affermato che “è un’epoca difficile per chi cerca la verità, per gli uomini e le donne che si affacciano al mistero di Dio nel proprio cuore. In questo mondo ingannevole e confuso, pieno di tutto e vuoto di senso, vorrei dare calma e tranquillità con l’umità della tela, del colore e del disegno. È nella purezza delle piccole cose, nell’ordinario che passa inosservato, in cui nessuno cerca e dove si trova tutto”.

Nella luce si vede meglio l’interiorità confusa della mia anima. Nella chiarezza recupero l’anima perduta. E lì riposo sapendo che non sono solo in mezzo al cammino. Scopro che nella mia verità c’è tutto un Dio nascosto che mi ama da quando sono stato concepito. Nella mia povertà c’è la sua ricchezza più grande. Sono amato come sono perché sono riflesso di tutto il suo potere.

Lo so, ma me ne dimentico. Per questo voglio essere capace di guardare in faccia la mia indigenza, la mia povertà, la mia insensatezza. Baciare la mia verità nascosta. La mia bellezza occulta.

Sono un cercatore della verità, della mia verità. Guardo dentro di me cercando tracce del cielo. Sono lì, sicuramente, nelle pieghe della mia anima. Ma questa introspezione a volte mi sembra impossibile. Desidero immergermi di più nelle mie correnti. E sapere verso dove vado. Da dove vengo. Chi sono.

[1] J. Kentenich, Milwaukee Terziat, N 21 1963

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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